Giuseppe Antonio Borgese fu una figura di primo piano nella cultura italiana di inizio Novecento, troppo in fretta dimenticato e solo recentemente riscoperto, attraverso le molte pubblicazioni che hanno richiamato l’attenzione su una produzione eclettica e copiosa dove i romanzi, le poesie e le opere teatrali si alternano alle traduzioni, agli interventi su giornali e riviste, ai saggi accademici e ai resoconti di viaggio.
Fine critico letterario, oltre che germanista e studioso di estetica, Giuseppe Antonio Borgese è rimasto celebre per la sua opposizione al Fascismo, che lo portò a unirsi ai pochissimi che scelsero di non prestare il giuramento di fedeltà al regime, e per il suo esilio volontario negli Stati Uniti, al quale seguì, negli ultimi anni della sua vita, un rinnovato impegno politico per la realizzazione di una Costituzione mondiale.
Soprattutto, però, anche negli anni della sua rimozione intellettuale, Borgese rimase celebre per il suo primo romanzo, Rubè, “forse il più bel romanzo italiano scritto tra le due guerre” (secondo una definizione di Claudio Giunta e Gianluigi Simonetti, in un articolo di alcuni anni fa), che raccontò la disillusione di una generazione e influì profondamente sulla stagione successiva del Neorealismo.
A 72 anni dalla sua morte, riscopriamo allora la vita, le opere e il pensiero di Giuseppe Antonio Borgese.
La vita e le opere di Giuseppe Antonio Borgese
Di origini siciliane, Giuseppe Antonio Borgese (Polizzi Generosa, 12 novembre 1882 – Fiesole, 4 dicembre 1952), dopo aver intrapreso gli studi di Giurisprudenza a Palermo, si trasferì giovanissimo a Firenze, dove si dedicò alla filologia e alla storia. Qui collaborò anche con le riviste di Corradini (Regno) e di Papini (Leonardo) e fondò la rivista Hermes.
Dopo la tesi di laurea, dedicata alla critica romantica in Italia e molto apprezzata da Benedetto Croce, oltre a un soggiorno in Germania, Borgese avvia collaborazioni giornalistiche con Il mattino, La Stampa e il Corriere della sera: in quest’ultimo giornale, tra alterne vicende, scriverà per tutta la sua vita.
Negli stessi anni pubblica anche importanti saggi di critica letteraria, come quello dedicato a Gabriele d’Annunzio (1909) e i tre volumi de La vita e il libro (1910-13), continua a fondare nuove riviste, inizia la carriera universitaria a Roma, dove insegna Letteratura tedesca, e si distacca progressivamente da Croce.
Di fronte al primo conflitto mondiale Borgese assunse posizioni interventiste e nazionaliste, mentre alla fine della guerra il suo impegno, anche diplomatico, per ristabilire la pace lo rese sempre più isolato.
Proprio questo lo determinò a un minore impegno politico al quale però, corrispose, negli anni tra le due guerre una più intensa attività artistica e critica. A Milano, dove insegnò anche Estetica e Storia della Critica, pubblicò in questi anni:
- i romanzi Rubè (1921) e I vivi e i morti (1923);
- la raccolta delle Poesie (1922)
- i saggi: Ottocento europeo (1927) e Poetica dell’unità (1931).
Mentre era negli Stati Uniti, nel 1931, come professore invitato all’università di Berkeley, in California, il regime impone il giuramento di fedeltà ai docenti universitari: Borgese scelse un volontario esilio politico e non tornò in Italia.
In America, dove rimane fino al 1948 e sposa la figlia dello scrittore Thomas Mann, insegna in diverse università, continua a corrispondere per il Corriere, e si oppone in modo sempre più fermo al Fascismo, come dimostra il sodalizio intellettuale con Gaetano Salvemini e la pubblicazione di Goliath (1937).
Gli ultimi anni della sua vita sono caratterizzati dall’impegno per un progetto politico utopico: promosse, infatti, un Comitato per la realizzazione di un organismo sovranazionale che avrebbe dovuto garantire un nuovo ordine mondiale, pacifico e finalizzato a evitare una nuova guerra atomica; fu durante quest’esperienza che si impegnò anche nella scrittura di una bozza di quella che avrebbe dovuto essere una Costituzione mondiale.
Tornato in Italia, riprese l’insegnamento e l’attività critica, fu candidato al Nobel per la Pace e morì improvvisamente.
Giuseppe Antonio Borgese scrittore e letterato
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Nella vasta produzione letteraria di Borgese, che comprende anche poesie, opere teatrali e novelle spiccano soprattutto i romanzi Rubè e I vivi e i morti, pubblicati nei primi anni venti del Novecento.
Soprattutto il primo riveste una grande importanza nella letteratura italiana perché inaugura la riscoperta del romanzo, a seguito di una stagione dominata dalle prose eleganti e di maniera.
I romanzi di Borgese possono, quindi, essere considerati un imprescindibile punto di passaggio tra il verismo di Verga, e la nuova narrativa novecentesca che trova in Pirandello e in D’Annunzio i suoi iniziatori.
Anche i personaggi dei romanzi di Borgese sono rivelatori di una tendenza che, nei decenni successivi, avrà grande fortuna nella letteratura italiana: Filippo Rubè e Eliseo Gaddi sono due anti-eroi, due inetti che spalancano le porte non solo, ad esempio, al Vitangelo Moscarda di Pirandello, all’Andrea Sperelli di D’Annunzio o allo Zeno Cosini di Svevo ma anche agli indifferenti a cui, con modalità diverse, daranno corpo e forma scrittori neorealisti della generazione successiva, come Alberto Moravia o Vitaliano Brancati.
Filippo Rubè è, ad esempio, un nazionalista interventista che, per il suo slancio superomistico si imbarca nell’impresa della guerra, dove vive la sconfortante esperienza della paura. Ciò lo porterà prima alla disillusione e poi, dopo sfortunate vicende amorose, alla rovina e alla morte ingloriosa.
Recensione del libro
Rubè
di Giuseppe Antonio Borgese
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Anche ne I vivi e i morti, romanzo quasi del tutto privo dell’azione che caratterizzava il precedente, e quindi più cerebrale e involuto, il protagonista Eliseo Gaddi sceglie di ritirarsi in campagna dopo la morte prematura del fratello, di cui si sente responsabile: è un commiato definitivo dal mondo, un rifiuto della barbarie e delle convenzioni sociali, una fuga in una introspezione solipsistica dove quest’intellettuale ombroso ricerca il conforto della spiritualità.
Borgese, dunque, offre un ritratto impietoso della sua Italia: racconta le manie e l’insoddisfazione di borghesi inadeguati ai propri ideali, il tedio e le idiosincrasie di vite che aspirano a un cambiamento decisivo, provocato dall’amore o dallo spiritismo, ma che poi si risolvono in un definitivo annullamento.
La filosofia di Giuseppe Antonio Borgese
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Dal punto di vista filosofico, Borgese si inserisce in quella composita reazione al Positivismo che in Italia trova il suo migliore rappresentante in Benedetto Croce, al quale il nostro è inizialmente vicino, per poi distanziarsene.
Nella sua attività accademica si concentra inizialmente sul Romanticismo, sia tedesco sia europeo, e individua in Francesco De Santis il maestro ideale da valorizzare e riattualizzare.
In una lapide a lui dedicata, nel suo paese natale, sta scritto che:
“volle l’unità nell’arte e nel mondo”.
È questa la cifra migliore del suo pensiero, sia estetico che politico: il desiderio di superare ogni particolarismo e ogni faziosità, per giungere a un’unità armonica. Proprio, per questo, nella sua riflessione matura elaborò una poetica dell’unità che:
- intendeva l’arte come un’attività spirituale autonoma, che univa in sé una forma e un contenuto, in essa il sentimento trovava una figurazione artistica, non c’era separazione tra l’uomo (lo scrittore) e l’opera, tra la vita e l’arte;
- L’artista era sempre indissolubilmente legato al suo tempo, il rapporto tra arte e società assumeva quindi un’importanza primaria, anche quando si trattava di valutare le opere altrui;
- Il processo di creazione artistica, infine, non è ispirazione pura ma comporta sempre anche l’applicazione di una tecnica (sia essa pittorica o compositiva);
- Il romanzo è la forma più alta di narrazione, perché è di per sé dotato di una struttura organica, di un respiro ampio e della capacità di offrire una “rappresentazione integrale dell’uomo” quanto mai necessaria nella società del dopoguerra; per questo guardò con interesse a Verga, come al Werther di Goethe, e rifiutò sdegnosamente lo sperimentalismo dei futuristi e l’arte dei frammenti lirici, propria dei vociani.
Questi principi di carattere estetico guideranno l’intensa attività critica di Borgese, che sottolineò gli aspetti psicologici e valoriali e investì molti autori, non solo italiani. Rimangono celebri alcuni suoi giudizi:
- considerò, ad esempio, la poesia di Pascoli troppo frammentaria;
- con D’Annunzio ebbe un rapporto di amore e odio, descrisse la sua arte individuandone tra i motivi portanti un "idealismo panico" e una tensione al superomismo eroico, ne apprezzò il "liberismo lessicale" ma evidenziò anche i suoi molti limiti;
- fu, infine, sua la definizione canonica del crepuscolarismo – come di una poesia dai colori spenti (simili a quelli del crepuscolo), dove comparivano spesso stati d’animo umbratili e stanchi, che trattava tematiche modeste, con uno stile programmaticamente trasandato e prosastico – nella quale, però autori come Gozzano o Corazzini non si riconobbero mai.
Vicino al socialismo liberale di Carlo Rosselli, nella riflessione e nell’azione politica ricercò la stessa unità: sulla scorta dei 14 punti di Wilson, rielaborò in modo originale il pacifismo kantiano e tentò di concretizzare l’idea di uno stato (organismo) sovranazionale che agisse sulla base di una utopica Costituzione mondiale globale.
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Per quanto riguarda, infine, la riflessione storica è da segnalare il suo saggio Goliath, the March of Fascism (scritto prima in inglese e poi tradotto in italiano nel 1946), una genealogia del Fascismo che muove dall’esaltazione della romanità e del cattolicesimo fatta da Dante, per arrivare alla nascita del nazionalismo, passando per personaggi come Cola di Rienzo e Francesco Crispi. Accanto a questa controstoria del regime Borgese mette in luce, già in quegli anni, le responsabilità della monarchia nell’ascesa di Mussolini e il benestare delle altre potenze europee alla sua politica estera imperialista.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi è Giuseppe Antonio Borgese, l’intellettuale italiano che rifiutò il Fascismo
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