I giorni sbagliati
- Autore: Jacopo Tondelli
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Laurana
- Anno di pubblicazione: 2020
Brevemente, la trama: Paolo Bonomelli, figura di spicco della politica italiana, sparisce nel nulla dopo lo scandalo che lo ha visto coinvolto in festini con ragazze minorenni. Sulle sue tracce, per ritrovarlo e capire cosa sia davvero successo, l’amico di vecchia data Alessio Piccoli e la giornalista Laura Bentivoglio.
Mi si perdonerà questa estrema sintesi nel ripercorrere le vicende della storia raccontata da Jacopo Tondelli nel suo I giorni sbagliati (Laurana Editore 2020), ma c’è una spiegazione doppia a motivarne la scelta: da una parte, essendo il romanzo avvolto dalle vesti del giallo, vorrei lasciare al lettore totale autonomia nel comprendere la vicenda e metterne insieme i pezzi per arrivare, con curiosità massima, all’epilogo; dall’altra, sono molti altri gli aspetti dei quali mi preme parlare rispetto a questo esordio nella narrativa di Tondelli, primo fra tutti la compresenza di due generi letterari differenti ai quali si aggiunge una disamina, se non saggistica certamente reale, del giornalismo contemporaneo.
L’autore, infatti, pur costruendo la narrazione intorno a un mistero che necessita di essere svelato e rispettando quindi, sotto ogni punto di vista, la struttura del giallo, che resta il frame di riferimento principale per I giorni sbagliati, descrive il lavoro delle redazioni, come avviene la scelta dei pezzi da pubblicare e delle persone alle quali spetta un certo incarico e cioè i meccanismi tipici del lavoro giornalistico; del resto Tondelli il giornalista lo fa da anni e il mondo che racconta è un mondo vissuto in prima persona. Per questo i dettagli che fornisce al lettore circa questa professione sono appassionati e realistici allo stesso tempo e, dunque, credibili, anche quando vengono in qualche modo caricati per supportare il pathos richiesto dall’intrigo che sostiene la narrazione. La presa in causa del giornalismo diventa anche, per Tondelli, il mezzo tramite cui dire come la pensa rispetto ad alcune dinamiche che ha visto ripetersi negli anni e verso le quali nutre, per certi aspetti, un rassegnato cinismo, che forse però altro non è che una lucida constatazione della realtà giornalistica: se facessimo coincidere la conclusione del romanzo con il pensiero di Tondelli-persona potremmo essere certi di questa visione negativa, ma non è da escludere che, anche nelle ultime pagine, la voce che sentiamo è quella del Tondelli-autore il quale, magari, ha solo preferito proporre una possibile prospettiva critica di analisi circa la questione.
“La crisi dei giornali non è colpa di internet, è colpa nostra, di noi giornalisti. Non diamo mai notizie, non raccontiamo mai storie scomode per il potere”.
Quindi I giorni sbagliati è un giallo, ambientato nell’Italia dei nostri giorni, che ci offre uno spaccato convincente del giornalismo di oggi. Eppure, a questi due elementi, Tondelli è stato capace di aggiungerne un terzo che costituisce, a mio avviso, la vera forza del romanzo e dove l’influenza di Tondelli (Pier Vittorio) non manca di farsi sentire: non solo l’autore di Altri libertini viene esplicitamente nominato e a lui viene anche dedicato un cameo, ma è proprio l’impianto e il linguaggio che Tondelli (Jacopo) adotta per questa parte dell’opera che rimanda chiaramente alla narrativa tondelliana.
Dal racconto che l’autore fa dei personaggi, dal mostrare al lettore come sono arrivati al punto in cui la vicenda ha inizio, scaturisce infatti un vero e proprio romanzo generazionale, capace di tracciare le vicende di ragazzi nati negli anni Settanta, in una parabola che è personale e sociale insieme: il rapporto con la politica, la costruzione/distruzione dei grandi ideali, gli amori e gli innamoramenti, l’ascesa sociale, la dinamica città/provincia. Negli spaccati che descrivono tutte queste vicissitudini, Tondelli non solo costruisce un racconto vivido di cos’è stata e cosa sarà sempre la gioventù, ma, soprattutto, dimostra l’importanza di non perderla mai del tutto e di provare a mettere in atto dei meccanismi di resistenza verso i compressi e le brutture del mondo, privato e professionale.
“A spingermi in quel girone di tempo perduto fu la corrente riformista, e non me ne lamentai mai con nessuno. Benché vedessi chiaramente “l’emorragia dei giorni del varco del corrotto intendimento”, come diceva il nostro amatissimo Sereni, me lo facevo andare bene. Mi raccontavo che era l’unico modo per cambiare le cose, per esserci davvero oggi e soprattutto domani, e mi godevo già il piccolo status del potere in sedicesimo”.
“Conobbi una donna. Era la prima donna vera che incontravo davvero. Bastò a farmi innamorare per la prima volta. Dal sesto piano del suo palazzo nel nord di Tel Aviv, il lungomare era una lingua appiccicosa camminata da formiche luminose, e il mondo mi sembrava minuscolo rispetto all’enormità dei nostri corpi e del suo inglese americano che inseguivo compiaciuto del capire quasi tutto. […] Furono due mesi potenti, fatti di cose non nuove che succedevano però tutte per la prima volta nella nostra vita”.
“Il mondo dei miei genitori era sempre più lontano dal mio, la mia vita si divaricava sempre di più dalle mie origini e il matrimonio formalizzò una distanza che diventava sempre più larga. Era come se la mia lingua, la lingua che loro mi avevano insegnato, giorno dopo giorno acquisisse vocaboli nuovi e pronunce diverse, che loro faticavano a riconoscere”.
È il fatto stesso di dare così ampio spazio al percorso di formazione, alla costruzione del sogno che guiderà una vita, la risposta autentica che il romanzo prova a dare, perché i veri giorni sbagliati sono, prima di tutto, quelli in cui iniziamo a dimenticarci da dove siamo partiti, in cui disconosciamo le nostre origini, la nostra idea di amore; i giorni cioè nei quali smettiamo di essere chi siamo per diventare qualcun altro che fatica a somigliarci. E la vicenda di Paolo Bonomelli ci aiuta, in forma di exemplum, a capirne bene il perché.
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