Il conto delle minne
- Autore: Giuseppina Torregrossa
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2009
Lungo la strada dove a Palermo campeggia palazzo Steri, un tempo sede dell’inquisizione, nonna Agata, d’origine catanese, senza inibizioni conversa con la propria nipotina che porta il suo stesso nome. Le racconta poi il martirio di sant’Agata mentre insieme preparano i dolci, chiamati in dialetto “minne”, cioè mammelle, in ossequio alla tradizione religiosa del cinque di febbraio. Comincia così il bel romanzo di Giuseppina Torregrossa intitolato “Il conto delle minne” (Mondadori, Palermo, 2009). Il procedimento, che è memorialistico anche se non propriamente autobiografico, privilegia l’uso dell’indicativo presente, rendendo così immediata e fresca la scrittura.
Ecco affiorare, tra i profumi e gli umori della terra d’Isola, la storia d’una famiglia a partire dalla sconfitta dei Fasci siciliani. Del tutto indigeno il sentire che, raccontato al femminile, si mostra intriso di una forte carica erotica e attraversato da terragne presenze culturali e comportamentali. Anche i mezzi espressivi utilizzati fanno avvertire il fascino sonoro della sicilianità. Siamo tra il sacro e il profano, tra le “minne” della Santuzza e quelle della seduzione. L’immaginario vi affonda le radici, vi si annoda, produce storie sui segreti del talamo; in fondo sono le “minne” il filo conduttore dell’intera narrazione: minne che danno piacere; minne che nutrono i neonati; minne “ammalorate” che incidono profondamente sul disagio estremo della femminilità.
L’autrice scrive:
“ … erano l’assicurazione per la mia salute, il dolce amuleto che mi avrebbe accompagnato nella mia vita di donna."
L’intreccio della saga familiare si sviluppa lungo quattro generazioni che, guardate nell’ottica della macro-storia, vengono incise in accattivanti medaglioni di personaggi vissuti talora aperti al sorriso. In particolare, la rappresentazione mostra complessi problemi relazionali come l’insoddisfazione del rapporto coniugale, la solitudine e la pazienza rassegnata delle donne, l’assenza di dialogo con i figli, l’autoritarismo maschile che domina incontrastato. Prende corpo, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, la fisionomia della narratrice nel nuovo scenario della speculazione edilizia nonché dell’alleanza della mafia con la politica e la finanza. A cuore aperto lei esibisce la sua confessione (dall’estraneità con i genitori all’odio per il proprio corpo). E’ la sezione più partecipata, meno prolissa del libro: vivaci le pagine in cui, insofferente a ogni restrizione, si sottrae al gelido proibizionismo materno per diventare medico:
“Agata è inutile che studi perché ti devi sposare, sei femmina e al destino non si scappa."
Si reca a studiare nel Continente e diventa ginecologa. Per un irresistibile bisogno di riconciliarsi con le proprie radici, poi torna a Palermo, nella terra dove «i desideri delle donne non contano niente, mentre quello che vogliono gli uomini diventa destino». Le sembra di sentire la voce di nonna Agata: “ma che ci sei venuta a fare? Questo è un posto dal quale si può solo provenire.” Ancorché innamorata, a renderla fragile è l’ossessivo, erotico, violento rapporto con un uomo sposato. Il tumore al seno e il senso d’abbandono: il vuoto le sarà colmato dal ritrovamento dell’antica ricetta della nonna sulle minne di sant’Agata. Una donna, amica e amante, la sosterrà lungo la dura risalita. Nell’inatteso felice epilogo lei riprende la voglia di vivere anche nel recupero dell’amabile tradizione familiare.
Il conto delle minne
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