Il fantasma della memoria. Conversazioni con W.G. Sebald
- Autore: W.G. Sebald
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Treccani
- Anno di pubblicazione: 2019
Scrivere di W. G. Sebald è molto difficile, come pure rivolgere a lui delle domande quando era ancora in vita: perché lui era davvero un maestro della divagazione, ma sapeva essere anche molto serio, addirittura furente su alcune questioni di attualità politica e sociale. Autori del calibro di Tim Parks, di Charles Simić ci hanno provato, insieme a loro altri autori e così è nato questo libro dal titolo Il fantasma della memoria. Conversazioni con W.G. Sebald (Treccani editore, 2019, curatela di Lynne Sharon Schwartz, trad. Chiara Stangalino, prefazione di Filippo Tuena).
Gli appassionati lettori di W.G. Sebald sanno che nel 2001, a causa di un malore, lo scrittore ebbe un bruttissimo incidente stradale che lo portò alla morte. Gli stessi intervistatori avevano un appuntamento con Sebald per porgli delle domande, che invece, a causa della sua prematura scomparsa, si sono trasformate in brevi saggi.
Filippo Tuena nella prefazione a questo volume ci rivela che W.G. Sebald fu pubblicato postumo in Italia; di lui avevamo tradotto solo Gli anelli di Saturno per Bompiani, nel 1998, quando lo scrittore già godeva di una certa notorietà e Gli Emigrati, sempre per Bompiani, che usci con una svista clamorosa, perché nel titolo all’interno del libro fu scritto dalla tipografia “Gli Emigranti”, con una differenza sostanziale che stava a indicare coloro che stanno ancora scegliendo dove vivere.
A quanto pare Sebald rimase deluso dalla svista e decise di passare ad Adelphi, ma c’è da dire che anche questa è una congettura, poiché non c’è niente di certo sul perché cambiò editore. E poi è tutto postumo; quando uscì Austerlitz, forse il maggiore successo di Sebald in Italia, per Adelphi, lo scrittore era scomparso circa da sette mesi.
Austerlitz è il romanzo più famoso di Sebald, forse perché l’unico in cui appare una vera e propria narrazione con trama. Nato a Praga, Jacques Austerlitz viene evacuato in treno perché ebreo e per sfuggire alla guerra. Il bambino ha quattro anni e finisce in una casa di gallesi molto seri, poco accomodanti, dove è bandita qualsiasi tenerezza. Anche se c’è una trama, il libro è pieno di digressioni, di divagazioni, corrispondenti a come Sebald ci aveva abituati con Gli anelli di Saturno.
Di solito il personaggio tipo di Sebald è un vagabondo che ama camminare e viaggia per tutta l’Italia oppure si fa a piedi tutti sobborghi di New York. Le sue opere sono un mix ben riuscito, geniale, di memoir romanzato con inclusi pezzi di saggistica. La maggior parte sono volumi che comprendono anche fotografie e l’intento dell’autore, se non avesse avuto quel fatale incidente stradale, era quello di stravolgere vieppiù lo stile della fiction.
Nel saggio di Tim Parks, lo scrittore si sofferma sulla sofferenza che è insita nelle opere di Sebald e scrive:
I personaggi del Nostro sono uomini pronti a sopprimere la follia senza indugi nel momento stesso in cui essa mostri la sua indomabile testa. Sono così spaventati di impegnarsi nella vita, da diventare morbosamente e masochisticamente complici della malinconia, sempre pronti a farsene travolgere.
Chi scrive ha fatto molta fatica all’inizio ad accettare la sofferenza e la malinconia e il dolore di Sebald, tanto da essere tenerli proprio a distanza. In Vertigini c’è la parte in cui Sebald scrive di Stendhal, che giunto in Italia assiste a una rappresentazione del Cimarosa, che narra un matrimonio segreto. Ne rimane tanto colpito da cercare una prostituta per perdere finalmente la propria verginità, dopo che si era innamorato della protagonista bruttina e insignificante che era nell’opera di Cimarosa come attrice. Poi malauguratamente si abituò all’amore mercenario tanto da ammalarsi di sifilide.
Nelle opere di Sebald c’è molto di Kafka, la vita sembra arrestarsi proprio sul più bello, proprio come accadde a Kafka nel suo ultimo anno. Innamorato di una donna che ricambiava il suo amore, senza più un padre che lo teneva sotto controllo, poteva vivere anni se non proprio felici, almeno sereni. E poi in Sebald troviamo la passione per lo scrittore viandante Robert Walser, che amava passeggiare quanto scrivere e gli influssi filosofici dell’ormai parigino Emil Cioran.
Leanor Wachtel chiede a Sebald perché negli Emigrati ci siano storie di quattro uomini presi nella loro vecchiezza e Sebald risponde che non è tanto l’età che conta, ma il fatto che si suicidarono proprio in età avanzata. Tre sono piuttosto famosi, il nostro Primo Levi, Paul Celan e Jean Améry e non sono stati capaci di sopravvivere oltre con il ricordo della Shoah, perché sono rimasti soffocati dal peso della memoria, invitati da scuole e università per parlare dei campi di concentramento. Non hanno più voluto rispondere, perché spaventati da loro stessi, da quello che avevano visto. Perché poi, una volta liberati sono riusciti di nuovo a lavorare, a stare “in famiglia”, mentre nel proprio Io più profondo non sono riusciti più a stare sulla terra nemmeno un giorno di più.
Proprio tenendo conto di questa domanda si arriva forse al grande tema di Sebald: il senso del tempo, cosa sono il presente e il passato rispetto al futuro.
Chissà, forse se avesse prima saputo che non c’era più tempo per lui, avrebbe potuto sciogliere alcune ossessioni o leggere libri importanti messi da parte. Se c’è uno scrittore che più di altri ha saputo narrare la fragilità dell’essere umano è stato proprio W. G. Sebald.
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