Il nemico italiano
- Autore: Enrico Di Stefano
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2021
Un’ora segnata dal destino batte nei cieli della patria. Scandita dalle parole di Benito Mussolini, la dichiarazione di guerra a Francia e Inghilterra non scontenta il protagonista del romanzo Il nemico italiano. Anche la folla oceanica in Piazza Venezia e i connazionali davanti alle radio Balilla accolgono con entusiasmo l’ora delle decisioni irrevocabili. Prima di questo titolo, pubblicato nell’autunno 2021 da Algra Editore (Catania, 144 pagine), Enrico Di Stefano ha già dato alle stampe due romanzi e una raccolta di racconti di fantascienza. Ama il genere fantastico l’insegnante etneo di matematica e scienze alle medie, ma questa volta si è dedicato alla storia, un’altra delle sue passioni, con la letteratura, la musica, i fumetti, l’enigmistica, il cinema e gli scacchi.
È chiaro subito ch’è un buon libro, la vicenda si fa seguire e l’autore ha tanto da dire. Del resto, quando un romanzo di storia è ben scritto, il vantaggio di conoscere il contesto e gli eventi in cui l’autore colloca le azioni e i pensieri dei protagonisti facilita la lettura e consente di apprezzare appieno l’opera narrativa.
Di Stefano, poi, avvia la narrazione in una città molto nota al recensore. Il 10 giugno 1940, il ventiduenne sottotenente pilota Antonio Mori ascolta il discorso del Duce mentre sorseggia un vermut in un esclusivo circolo nel centro di Bari. Da figlio di un maestro non si sarebbe mai potuto permettere l’accesso, ma è ospite di un pari grado e amico, l’aristocratico Ernesto Forti della Torre.
L’autore li presenta fisicamente ed è come vederli ripresi da un’inquadratura cinematografica. Entrambi pugliesi, compagni di scuola al liceo classico e al corso di volo, sono quanto mai diversi fisicamente e caratterialmente. Antonio è scuro, di media statura, proporzionato, con due baffetti che aggiungono un tono ai pochi anni d’età. Il giovane figlio del conte è il tipico normanno: occhi azzurri, capelli chiari ribelli tenuti a bada solo a stento dalla brillantina. Il moro è calmo e composto, il biondo ribolle di entusiasmo, spirito d’iniziativa e guasconate.
Nell’apprendere della guerra, Antonio dissimula l’entusiasmo mantenendo un’espressione concentrata, per non stonare in un contesto tanto elegante e riservato. Manifesta come tutti, se non altro solo a parole, la certezza “nell’immancabile vittoria”. Ernesto è altrettanto misurato, ma si dice impensierito dalla scelta di entrare nel conflitto al fianco dei tedeschi. Conosce soprattutto l’Inghilterra, la sua gente e forza economica: per esserne all’altezza, l’Italia deve ancora macinare tanta strada. A meno che il conflitto non lo vinca Hitler per tutti, sempre ammesso che questo convenga agli italiani, dice.
Scettici sul grande passo sono anche mamma Elena (“la più brutta delle feste e nostro figlio Antonio è invitato”) e papà Anselmo: giudica azzardata la mossa del Duce, espone i giovani del Paese a un rischio tremendo. Alla replica di Antonio che Hitler sconfiggerà il potente impero britannico, replicano entrambi con tanti dubbi sui vantaggi per l’Italia di una guerra vinta per noi dai tedeschi. Il giovane ufficiale riflette che sul conflitto appena iniziato, il migliore amico e i genitori la pensano allo stesso modo.
I due piloti sono assegnati al 99° Gruppo Bombardieri Terrestri di Cameri, in provincia di Novara e sebbene legatissimi, non sono d’accordo nemmeno sulle qualità dell’aereo che dovranno pilotare, il bimotore Fiat BR 20 Cicogna, un bombardiere medio, 5 uomini d’equipaggio, tre mitragliatrici (anteriore, ventrale, dorsale). Per Antonio, è superiore al Blenheim britannico, vale il Dornier 17 tedesco e trasporta tante bombe quanto i due velivoli messi insieme. Per Ernesto ha un punto debole, motori potenti ma non altrettanto affidabili ed è anche meno veloce del Savoia Marchetti S79. Da quei difetti dipende la loro sicurezza in volo.
Lo scrittore catanese descrive con efficacia il clima generale di esaltazione fanatica dei primi giorni di guerra, il culto per Mussolini, il consenso al fascismo e alle sue leggi liberticide, come quelle che dal 1938 hanno tolto i diritti agli ebrei. Ernesto è sempre più simpatico quando fa il verso ai goffi atteggiamenti dei gerarchi, ostenta l’amicizia con un compagno di scuola ebreo e dichiara provocatoriamente di volersi fidanzare con una bellezza etiope, in barba ai pregiudizi razziali del regime. Perfino il sottotenente Mori trova incoerente l’esaltazione della pura razza ariana da parte di un popolo meticcio come gli italiani.
Emergono con chiarezza la sufficienza e il distacco con cui i piloti usciti dai trienni regolari dell’Accademia guardano i corsisti arruolati tra gli universitari su deroga ministeriale. Il comandante di gruppo non ha difficoltà nel riconoscere d’avere fatto di tutto per dirottarli, prima di cedere all’insistenza di chi da Caserta giurava sulle capacità dei due ufficiali di complemento.
Poche ore di volo allo Stormo e una decina di giorni di guerra bastano per ridimensionare la “migliore aviazione del mondo”. Il Cicogna non è un granché, alla mercè dei caccia nemici. Navi francesi bombardano indisturbate Genova.
“Signori, si va in scena”. Saranno schierati in Belgio per colpire l’Inghilterra, Spazio a tutto quello che ci si può attendere e che Di Stefano racconta, suscitando grande interesse. Non mancano un pizzico di rosa, sguardi e sentimento.
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