Il ponte di Remagen. L’ultima difesa tedesca sul Reno
- Autore: Ken Hechler
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
Remagen: la battaglia del marzo 1945 e il ponte sul Reno che hanno salvato tante vite di militari americani, favorendo l’attraversamento del fiume-simbolo al confine della Germania e abbreviando la seconda guerra mondiale. Ma quell’episodio risparmiò anche diverse migliaia di soldati germanici, le truppe rimaste imbottigliate sulla sponda sinistra, alle spalle delle divisioni USA già transitate sulla destra. Se quei reparti fossero riusciti a superare l’ostacolo, invece di finire nei campi di prigionia avrebbero dovuto combattere ancora un conflitto ormai perduto dalla Germania. E tutto grazie a un pugno di uomini coraggiosi, protagonisti del resoconto saggistico-narrativo firmato oltre mezzo secolo fa dall’americano Ken Hechler, basato sull’esperienza diretta sul campo e su numerose interviste a reduci. Lo hanno riproposto a dicembre 2020 le edizioni Res Gestae: Il ponte di Remagen. L’ultima difesa tedesca sul Reno, un libro in brossura di 210 pagine.
È importante ricordare che da questo lavoro del politico virginiano del Partito democratico Kenneth William Hechler (1914-2016), è stato tratto l’omonimo colossal diretto da John Guillermin, un film di guerra del 1969, con George Segal e Ben Gazzara nel ruolo dei protagonisti americani e Robert Vaughn in divisa di maggiore tedesco, leale antagonista.
Remagen, l’antica Ricomagus romana, è una cittadina sul Reno a metà tra Colonia e Coblenza. Dal punto di vista militare, era il posto meno adatto per tentare la traversata, dove il fiume supera i 200 metri di larghezza e la corrente è veloce e turbolenta, strade strette a Ovest, poi soltanto ostacoli, montagne, foreste, torrenti e fossati. Il ponte Ludendorff collegava le valli dell’Aar e della Ruhr con le regioni dell’Eifel e della Mosella. Se gli abitanti della città non gli perdonavano di deturpare il panorama, erano rassicurati dall’essenziale contributo che offriva in tempo di guerra: nessuno avrebbe pensato a Remagen per scavalcare il Reno.
Invece, la mancata distruzione del ponte ferroviario consentì agli alleati di passare proprio lì e favorì una vittoria strategica decisiva. Il 7 marzo 1945, un piccolo gruppo di fanti, genieri e carri armati dell’esercito americano si assicurò il ponte che attraversava il Reno a Remagen. L’esplosivo insufficiente e scadente fece la sua parte, ma il più si dovette alla condotta combattiva di uomini che non esitarono ad affrontare ogni pericolo per raggiungere l’altra parte del fiume.
La battaglia di Remagen, tra il 7 e il 25 marzo 1945, cominciò con la presa del ponte Ludendorff e il forzamento del Reno. Dopo la prima settimana di marzo, le colonne tedesche in ritirata avevano affollato l’attraversamento. Gli ultimi transitarono intorno alle 15 del 7 e si attestarono, pronti a farlo saltare. Dalla parte opposta del Reno, alle 15,10 il tenente Timmermann ricevette l’ordine di passare il ponte con i suoi uomini. Ebbe un momento di esitazione, “e se mi salta sotto i piedi?”, poi si rassegnò all’inevitabile...
Non ci furono esplosioni. Quando il magg. Scheller, inviato a comandare la difesa e la distruzione del ponte senza rinforzi al seguito, dette ordine di far brillare le cariche di demolizione, la linea principale di accensione risultò interrotta. Più d’uno si è vantato del merito di aver tranciato i cavi, ma non è mai stata accertata la causa della mancata detonazione. Si dovette fare ricorso alla carica di emergenza, ritenuta sufficiente a far collassare una struttura già danneggiata dai bombardamenti aerei. Questo, nonostante la pessima qualità dell’esplosivo industriale, Donerit, il meno potente e anche in quantità dimezzata: erano arrivati solo 300 dei 600 kg richiesti.
Al botto, in un fragore assordante le tavole del Ludendorff saltarono in aria e l’intero apparato sembrò sollevarsi dalle fondamenta. Al riparo nel tunnel ferroviario, i tedeschi tirarono un respiro di sollievo. Ma il ponte di Remagen ricadde nella sua posizione originale. Era rimasto in piedi, acciaccato ma attraversabile e gli uomini della Compagnia A di Timmerman s’impegnarono audacemente a farlo, affrontando la debole opposizione nemica.
Due giorni appresso, il feldmaresciallo von Rundstedt veniva silurato e sostituito da Kesselring, il gen. von Bothmer si suicidava, Scheller affrontava il plotone d’esecuzione con altri due maggiori e un tenente, il capitano Bratge scampava in contumacia alla condanna a morte.
Dieci giorni dopo la cattura del ponte, nel primo pomeriggio del 17 marzo, il capitano del genio Frances Goodwin attraversava il Ludendorff, senza notare nulla di anormale e si tratteneva a parlare col comandante del Gruppo pontieri, il magg. Carr, impegnato nei lavori di riparazione. Sulla struttura che aveva consentito l’impresa insperata del 7 marzo e sembrava al sicuro, quasi dieci chilometri dietro il fronte, né Carr, né i ventisette genieri che lavoravano ai suoi ordini potevano sospettare di avere meno di mezz’ora da vivere...
Alle 15, il ponte cominciò a vibrare, mettendo tutti in allarme, poi le tavole precipitarono nel fiume. Nessuno poté dire perché sia crollato, ma è anche vero che tutti ritenevano stesse in piedi per miracolo. Il cedimento provocò ventotto morti e sessantatré feriti.
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