Il talento del cappellano
- Autore: Cristina Cassar Scalia
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2021
La recensione di Elisabetta Bolondi
Non sbaglia un libro la scrittrice siciliana Cristina Cassar Scalia, che continua la serie di detective stories ambientate alle pendici dell’Etna, tra Catania, Aci Trezza, Acireale. Protagonista Vanina Guarrasi, autorevole poliziotta capace di intuizioni che la portano a risolvere casi apparentemente insolubili, grazie al suo metodo investigativo ormai rodato: scandagliare la vita passata di quanti sono coinvolti nel delitto che si appresta ad affrontare. Con lei la sua squadra di fedelissimi, la nordica Marta Bonazzoli, fidanzata col l’ispettore capo Tito Macchia, grosso fumatore di sigari, i vari Spanò, Pappalardo, LoFaro, e soprattutto il vecchio commissario Patanè, ora in pensione, che condivide con la più giovane Guarrasi ipotesi e congetture.
Ne Il talento del cappellano (Einaudi, 2021) Vanina si trova di fronte a un caso strano: in un hotel dismesso sull’Etna, Grand Hotel della Montagna, il guardiano Scimemi scopre il cadavere di una donna. Chiama la polizia che arriva sul posto, ma del cadavere non c’è più traccia. Invece poche ore dopo in una cappella del cimitero vengono ritrovati due cadaveri, apparecchiati come per un tetro spettacolo: oltre alla donna, la pediatra Azzurra Leonardi, molto nota in città, giace strangolato come lei monsignor Mungo, un prelato al di sopra di ogni diceria. Perché i due cadaveri sono stati messi insieme nella cappella mortuaria dei Mungo? E chi ha trasportato lì i due cadaveri che certamente sono stati uccisi altrove? Cosa si nasconde dietro le vite delle due vittime che apparentemente non hanno legami noti alla comunità cittadina?
Le indagini a tutto campo si svolgono in modo frenetico, perché sono gli ultimi giorni dell’anno e Vanina vuole riempire con la passione per il suo lavoro il vuoto della sua vita privata. A Palermo c’è il giudice Paolo Malfitano, con il quale Vanina ha avuto una lunga relazione e che ora è entrata in crisi ma non è davvero conclusa.
Oltre alle indagini scrupolose e a tutto campo sul duplice delitto, in cui sembra coinvolta anche la mafia locale, il fascino di questi romanzi di Cassar Scalia sta nella personalità dei personaggi e nei loro modi di vita: bar, pasticcerie, osterie, sono al centro della vita di tutti. Colazioni ricche di ravioli al cioccolato, cornetti alla crema, cene a base di involtini, caponatine, panini con la meusa, melanzane, pasticci, torta savoia fanno da base di partenza per le scorribande in macchina su e giù per i paesi dell’hinterland etneo, in mezzo a ingorghi micidiali del traffico cittadino, tra cimiteri e visite in ospedale, feste notturne e serate solitarie che Vanina passa avvolta in un plaid, davanti alla tv dove passano i film d’epoca più celebri della cinematografia italiana, puntigliosamente collezionati, mentre i pasti sono piatti scaldati al microonde, dono della vicina Bettina, intervallati dal fumo delle Gauloises, in attesa della svolta delle indagini, anche se è capodanno.
Fino alle ultime tre pagine del romanzo né Vanina né noi lettori riusciamo a capire chi sia il vero colpevole degli insoliti delitti: tutta la società cittadina sembra coinvolta, medici, preti, scout, volontari, mafiosi, avvocati, magistrati, amici, l’ex marito di Azzurra, mentre l’acume investigativo e la pazienza di Vanina Guarrasi avranno la meglio come avviene in tutti i romanzi della scrittrice-oftalmologa. Divertente l’uso del dialetto, le locuzioni colorite, i modi di dire e le parole mai sentite da noi continentali: Gino Patanè, in gran confidenza con la dottoressa Guarrasi non esita a parlare in stretto dialetto catanese:
“Lassamu stari, va’, dottoressa... Chistu ca russa, o se s’arrusbigghia si mette a ghittare vuci, ‘sta luci azzurrina sempre addumata. Cose di nesciri pazzi…”.
Piatti siciliani e film, scorribande in auto e un passato angoscioso che ritorna, una Sicilia di grande attualità che partendo da Camilleri passa per Gaetano Savatteri, Gian Mauro Costa oltre alla bravissima Cassar Scalia.
La recensione di Lidia Gualdoni
Il talento del cappellano (Einaudi, 2021) della scrittrice siciliana Cristina Cassar Scalia è la quinta indagine del vicequestore Vanina Guarrasi. Originaria di Palermo, ma in forza alla mobile di Catania, è la protagonista della fortunata serie grazie alla quale l’autrice ha raggiunto il successo in Italia e all’estero.
“Aveva smesso di nevicare da un paio d’ore e il cielo s’era riempito di tutte le stelle che l’occhio umano è in grado di distinguere. Ai bordi della strada che s’inerpicava su per la muntagna, cumuli di neve seppellivano i muretti di pietra lavica. Così imbiancato, il paesaggio intorno, invisibile nel buio della notte, doveva essere uno spettacolo”.
È in questo scenario piuttosto inusuale che, fra Natale e Capodanno del 2016, in un albergo in ristrutturazione, il Grand Hotel della Montagna, sulle pendici dell’Etna, viene segnalata la presenza del cadavere di una donna.
I poliziotti che arrivano sul posto, però, non trovano traccia del corpo, che ricompare il giorno dopo insieme a un altro cadavere maschile, nel cimitero di Santo Stefano, non lontano dall’abitazione del vicequestore Guarrasi.
Le indagini seguono varie piste e cercano di rispondere ad alcuni interrogativi che riguardano il luogo del ritrovamento e la messinscena allestita dall’assassino, il rapporto fra le due vittime – una stimata pediatra e un monsignore di Acireale – oltre, naturalmente, al movente e al presunto colpevole.
Quella che viene definita una “doppia fregatura” dall’amico e medico legale Adriano Calì, ha permesso a Vanina di lasciare Palermo e fuggire dalla famiglia con cui avrebbe dovuto trascorrere il periodo di festa:
“Il vero motivo che la spingeva a buttarsi su ogni caso che le capitasse tra le mani, anche il più improbabile, era la sua totale incapacità di convivere con i pensieri che riempivano la sua mente non appena la trovavano sgombra. Una dinamica inesorabile, in atto già da diversi giorni. Un po’ di lavoro le ci voleva come il pane”.
Fra lei e la madre, infatti, ha eretto una barriera fatta di rimproveri, di recriminazioni inespresse e di colpe che, in preda al dolore per la perdita prematura del padre, ha sempre attribuito – a torto – alla madre.
Anche dal punto di vista sentimentale le cose non vanno meglio: Paolo Malfitano, magistrato della Dea di Palermo, nonché ex compagno, lasciato da Vanina quattro anni prima e da qualche mese riapparso nella sua vita, ha tentato la sorte concorrendo per entrambi i posti di procuratore liberatisi, contemporaneamente, a Catania e a Palermo.
Il fato – o, meglio, il Csm – ha deciso che Paolo deve restare alla procura di Palermo e la situazione di stallo che si è creata fra loro da quando si sono rivisti, si è ora riassestata su un equilibrio precario.
Immersa in un’atmosfera che invita alla convivialità, a circondarsi degli affetti familiari e a trascorrere sereni momenti in compagnia degli amici, Vanina si butta a capofitto in questa indagine, affiancata dalla sua squadra – dall’ispettore Marta Bonazzoli, all’ispettore capo Spanò, dal vicesovrintendente Fragapane al sovrintendente Nunnari e tutti i “carusi” – e dall’immancabile commissario in pensione Biagio Patanè, “che il vizio della sbirraggine non l’avrebbe perso manco quando sarebbe stato con un piede nella fossa”.
La trama si sviluppa a Catania e nei suoi dintorni: una città che diventa anch’essa personaggio del romanzo, con le sue strade trafficate, i suoi ristoranti e i bar, che rappresentano veri e propri punti di riferimento, e tutti quei posti – l’ospedale Vittorio Emanuele ne è un esempio – in cui il tempo sembra essersi fermato a qualche decennio prima:
“Catania non era la sua città, e mai lo sarebbe stata, ma in compenso in un paio d’ore riusciva a tirarla fuori dal guado dei pensieri che Palermo le caricava addosso ogni volta che ci tornava”.
Vanina, donna irrequieta, con un passato ancora irrisolto, è a capo di un gruppo eterogeneo, i cui membri sono ben caratterizzati.
La parte investigativa è coerente nei tempi e nei modi.
Episodi legati alla vita pubblica e privata, presente e passata, dei protagonisti – le gerarchie, i legami sentimentali e familiari, situazioni divertenti, altre dolorose – si alternano alle indagini vere e proprie.
Lo stile armonizza con sapienza una varietà registri e attinge al dialetto, non per vezzo letterario, ma per una sorta di “esigenza di realtà”.
Tutti elementi che permettono all’autrice di riuscire, con questa storia, laddove altri avrebbero fallito:
“- ’A sapi ’na cosa, dottoressa? A volerci scrivere un romanzo giallo, ’sta storia sarebbe stata difficile da cuntare.
- Perché dice così, commissario?”
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Una siciliana che scrive come una anglosassone, questo avevo detto di Cristina Cassar Scalia e lo ridico. Il finale è assolutamente geniale.
Le recensioni sono ottime, hanno messo in luce le caratteristiche di questa scrittrice veramente brava.