Il tunnel
- Autore: Abraham Yehoshua
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2018
Se Abraham B. Yehoshua sia il più grande scrittore israeliano vivente è questione dibattuta: per me lo è senza dubbio. Ho amato i suoi romanzi sempre, tutti. Ho letto con interesse questo ultimo, "Il tunnel", scritto dopo la morte della moglie, dopo che ha lasciato Gerusalemme per trasferirsi a Tel Aviv, dopo che ha superato da un po’ gli ottanta anni.
Sempre impeccabile la sua scrittura, sempre straordinari i dialoghi, ma questo ultimo romanzo sembra non riuscire a decollare davvero. La storia di coppia tra l’ultrasettantenne ingegnere Zvi Luria e sua moglie, la pediatra Dina, primaria in un ospedale vicina alla pensione, è la parte più riuscita del libro.
Zvi ha mostrato qualche problema di memoria, ha preso dall’asilo un bambino che non era suo nipote e per questo la moglie preoccupata lo accompagna dal neurologo. Il medico diagnostica l’inizio di una lesione al lobo frontale che prelude alla demenza, ma solo in fase iniziale e gestibile con una vita normale. Invece l’ingegnere di strade in pensione si preoccupa molto e la moglie gli suggerisce di trovare una consulenza, che lo rimetta nel circuito lavorativo. L‘incontro con il giovane Maimoni, figlio di un suo vecchio collaboratore, sarà decisivo; l’ingegnere che casualmente occupa l‘ufficio che era stato il suo per anni, lo impiega senza retribuzione ad aiutarlo a costruire un tunnel nei pressi di un grande cratere nel deserto, che sarà molto utile per una serie di motivi che nel romanzo vengono man mano spiegati.
Il fascino del libro sta nella descrizione psicologica dei vari personaggi, ma soprattutto nell’acutezza della analisi che Yehoshua opera nel descrivere percorsi mentali, rapporti reciproci, interazioni. Tel Aviv, la sua stazione, negozi, parcheggi, case, scuole, ospedali, tutto ci appare vicino, consueto, mentre il deserto nel quale il protagonista si avventura in macchina con il giovane ingegnere Maimoni, il calore estremo, gli animali selvaggi che si incontrano, cervi, volpi, una famiglia di palestinesi nascosti perché privi di documenti, la loro bellissima figlia Ayalà che suscita l’interesse affettuoso dei due ingegneri, malgrado entrambi siano felicemente sposati, esprime il senso di complessità che l’attuale storia di Israele continua a vivere. Un paese in guerra, spaventato, con i soldati in strada, con i palestinesi che pur vivendo in terra d’Israele devono nascondersi, anche se poi tra le persone si creano e mantengono rapporti di amicizia, storie d’amore proibite, vicinanza e complicità.
La vicenda del tunnel che il romanzo racconta è fortemente simbolica e mostra ancora una volta la capacità del grande romanziere di saper cogliere le sottili ragioni che strisciano nelle coscienze dei cittadini israeliani più sensibili. Non è il romanzo migliore di Abraham Yehoshua, ma il personaggio di Zvi, avviato verso la demenza e la smemoratezza, costretto a tatuarsi sul braccio le quattro cifre dell’antifurto della sua automobile, gesto anche questo fortemente simbolico, è lo specchio di una condizione di tanti anziani consapevoli della imminente decadenza, ma mai rassegnati anzi coraggiosi. Come sempre lo scrittore si fa interprete di temi universali dell’umanità, colta nel suo momento di fragilità, con la sensibilità e l’intelligenza che gli sono proprie.
Perfetta la traduzione italiana di Alessandra Shomroni, la sua abituale interprete, con i suoi consueti verbi al tempo presente, una caratteristica affascinante e peculiare della scrittura di Abraham Yehoshua. Prossimo Premio Nobel per la letteratura? Se non lui, chi?
Il tunnel
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