In principio era il dolore. Un Faust di meno
- Autore: Paolo Scardanelli
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2022
Il diavolo veste strano. Mantello simil Dracula, aria sborona da guitto navigato, si fa chiamare Marylin come Manson, o come Monroe, e a patteggiare con lui paghi i prezzi altissimi di sempre. Se ne accorge in progress un tale Fabio Pugno — scrittore e marito sin lì devoto della bella Loredana — che indotto dalla brama di conoscenze prime non si fa scrupolo di offrire in cambio anima e moglie: il mito di Faust tradotto post-post moderno e ultra-lisergico è così bello che servito. Il romanzo in questione si intitola In principio era il dolore. Un Faust di meno (appunto), ed è firmato per Carbonio (2022) dal geologo lentinese Paolo Scardanelli: lingua policroma e prosa fluviale se possibile ancor più che nel precedente L’accordo. Era l’estate del 1979.
In quanto formalmente melting pot, In principio era il dolore non è dunque un romanzo facile: ridondante, sostanzioso, visionario, ilare, lirico, pre-apocalittico, citazionista, rock, e naturalmente filosofico, se da un lato reclama l’attenzione messa in conto alle letture classiche, dall’altro stempera i toni in salsa cinica, battutista, fantasy. E con la presenza di certi characters un po’ da romanzo giallo un po’ da mistery anti-eroico alla Chandler o alla Simenon.
Ancora: se il patto luciferino che fa da stura alla vicenda rimanda a nobili dissertazioni metafisiche, il rinvenimento di otto cadaveri — otto ricercatori universitari disposti a formare una rosa dei venti — sembrerebbe strizzare l’occhio al filone serial killer di estrazione necrofora-simbolista. Detto che di codesto omicidio gruppale è accusata Loredana, collega di ateneo degli otto malcapitati, rintracciata in stato confusionale sul luogo del delitto, mani e bocca lorde di sangue, tra il polo faustiano e quello investigativo del romanzo si individua la ridda speculativa che ne costituisce il movente significativo (Kant, Spinoza, l’immancabile Nietzsche, Schopenhauer, l’ontico e il trascendente, il Bene e il Male): in un mondo inconsapevole che parrebbe avere imboccato la strada del non-ritorno, tanto il prometeico Pugno quanto il cogitabondo Belletti, incaricato delle indagini, si fanno portatori di un sentire ulteriore, di curiosità speculative che trascendono l’apparente, aprendo ad ambiti riflessivi orbitanti, in primo luogo, attorno all’antinomia umano/divino.
“Dopotutto era un buon diavolo quel Pizzolato; cercava solo di fare il suo dovere e provare a interpretare i fatti. Come fosse facile, mio buon Pizzolato! Ci vogliono esperienza, istinto e sintesi a priori: solo là, a contatto con la purezza serica e sferica della cosa in sé, possiamo provare a intendere un’ala di senso". (pag. 124)
“Non possiamo trascendere le nostre cause perché trascenderemmo noi stessi e saremmo pari all’increato. Lui aveva provato il cimento, credendo d’essere Icaro, un cazzo di eroe della domenica, questo era Fabio Pugno. Uno che indossava malamente il costume del superuomo e che conm un salto solo, provava a colmare la distanza che ci separa dal vivere la cosa in sé”. (pag. 154)
L’insieme narrativo del romanzo è in ultima analisi affollato-stratificato come un film di Terry Gilliam. Superato l’impatto frastornante, con cotanta bulimia immaginativa, il romanzo non si dimentica.
In principio era il dolore. Un Faust di meno
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