Incenerire Tokyo. Le operazioni Meetinghouse e Starvation
- Autore: Agostino Alberti, Luca Merli
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2022
B-29 Stratofortress, le superfortezze volanti dell’Usaaf, l’aeroplano tecnologicamente più avanzato della Seconda guerra mondiale.
Quattromila di quei velivoli da bombardamento, ben difesi da 12 mitragliere a bordo e con 11 uomini d’equipaggio, colpirono Tokyo negli ultimi dieci mesi del conflitto in Oriente. Quando alle bombe ad alto potenziale esplosivo sostituirono ordigni incendiari, scatenarono un autentico inferno sul Giappone e i giapponesi di ogni età, soprattutto civili.
È cinica e agghiacciante la scelta del fuoco, ricostruita dai saggisti aeronautici Agostino Alberti e Luca Merli in un testo recente, Incenerire Tokyo. Le operazioni Meetinghouse e Starvation, pubblicato a maggio dalla casa editrice IBN di Roma (Istituto Bibliografico Napoleone, 2022, collana “Aviolibri” Dossier).
Un bel volume, più che riccamente illustrato con rare immagini in bianconero su carta di pregio, un’altra opera accurata e appassionata dei due ricercatori, componenti del gruppo Air Crash Po, che per IBN hanno già redatto, tra gli altri lavori, Behind the enemy lines nel 2016 e Ali dimenticate, nel 2020.
Lo studioso americano ed esperto di guerra del Pacifico E. Bartlett Kerr ha rivelato che nel valutare l’effetto dei bombardamenti aerei dalla RAF sulla Germania nel 1942, l’Arma aerea USA era giunta alla conclusione che il successo delle incursioni derivasse più dall’impiego di ordigni incendiari che di bombe ad alto esplosivo. Queste ultime possono demolire o danneggiare solo temporaneamente una fabbrica, un deposito, una caserma, molto più difficilmente garantire la distruzione definitiva dei quartieri nei quali vivono e lavorano gli operai al servizio dello sforzo bellico nemico, rilevantissimo scopo delle incursioni.
Da qui la considerazione che i bombardamenti incendiari colpiscono più duramente l’avversario. Erano quindi in grado di accorciare la durata della guerra. Tanto condusse a cercare di infliggere il maggior danno possibile alle città nipponiche e alle abitazioni della forza lavoro al servizio di impianti industriali, fabbriche di aerei e armamenti.
Ne derivò l’adozione su vasta scala degli attacchi aerei incendiari, che nel complesso risultarono i più devastanti della storia, con un impatto maggiore anche di quelli su Hiroshima e Nagasaki.
Fonti ufficiali dell’Aviazione americana accertarono che i bombardamenti strategici:
Avevano polverizzato tutte le più grandi città del Giappone entro l’estate del 1945. Ogni raid incendiario era più distruttivo di qualsiasi atomica.
L’adattabilità dei bombardieri pesanti era stata dimostrata dalla prima incursione di sedici B-25 Mitchell di Dolittle sulla capitale giapponese, il 18 aprile 1942, come risposta fortemente simbolica all’attacco del 7 dicembre 1941 contro Pearl Harbor. Il blitz estemporaneo conseguì comunque più un successo propagandistico che militare.
Nessun volo offensivo sul Giappone fino al 24 novembre 1944, quando 111 B-29 decollarono da un’isola delle Marianne, tolta ai nipponici da uno dei tanti sbarchi anfibi dell’esercito americano e dei Marines.
Quell’azione provocò pochi danni, ma insegnò tantissimo all’aviazione a stelle e strisce. Solo 88 velivoli raggiunsero il Giappone, appena 24 sganciarono sui bersagli e non più di altrettante bombe caddero sull’impianto industriale scelto come obiettivo, nell’area di Tokyo.
I piloti statunitensi riscontrarono il fenomeno del Jet Stream, i fortissimi venti in quota che rendevano estremamente difficile il volo in formazione e ostacolavano il puntamento. I comandi si resero conto della scarsa precisione dei bombardamenti con esplosivi da 30mila piedi di quota e al contempo verificarono l’imprecisione del fuoco contraereo giapponese e l’inefficacia della caccia.
Gli aerei nipponici non erano armati in modo adeguato, montavano motori inefficienti alle alte quote, il controllo da terra era quasi inesistente.
A questo fattore vanno aggiunti lo scarso addestramento dei piloti, la cronica mancanza di carburante, l’inattaccabilità delle Superfortezze B-29 dalla maggior parte dei velivoli del Sol Levante. Sarebbe bastato poco, perciò, per spostare l’equilibrio dalla parte USA e avvenne con l’avvicendamento al vertice del XXI Bomber Command delle Marianne.
Le missioni pianificate sotto il comando del maggior generale Curtis Le May, a partire dall’Operazione Meetinghouse del 10 marzo 1945, condussero i bombardamenti incendiari della 20a Air Force Usaaf a polverizzare in tre mesi il 51% dell’area edificata della capitale, a provocare la morte di 70mila abitanti e il ferimento di un numero triplo. Oltre 2milioni di cittadini rimasero senza casa. Altre cinquanta grandi città giapponesi subirono il medesimo trattamento.
Le missioni sul Giappone furono 380, con 2mila tonnellate di bombe sganciate, per 312 superfortezze perdute, un prezzo non indifferente, se tra il 15 luglio e il 15 agosto 1945 cadranno in azione solo 4 B-29.
L’altra operazione aerea, molto meno conosciuta, ebbe lo stesso impatto efficace a danno dell’economia giapponese. Le acque vennero fittamente minate, in una campagna con obiettivi strettamente militari, rispetto all’offensiva incendiaria sulle città.
L’orrore per le centinaia di migliaia di vittime civili oggi è forte, ma durante le ostilità non venne avvertito: l’obiettivo principale dei bombardamenti dal marzo 1945 era chiaro e prevaleva su ogni considerazione. Si trattava di concludere il conflitto al più presto, risparmiando quante più vite umane tra le forze armate americane, dissanguate dalla resistenza fanatica di tutti i Giapponesi.
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