Nessuna come lei di Sara De Simone è un lavoro poderoso, frutto di anni di studio e di ricerca. Un libro matrioska, composto in realtà da tanti libri - diari, epistolari, racconti, romanzi, saggi - che tende a evidenziare i chiaroscuri del complesso rapporto tra due delle maggiori scrittrici del Novecento, Katherine Mansfield e Virginia Woolf.
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A lungo la critica ha soffocato la relazione tra Mansfield e Woolf sotto l’etichetta della “rivalità” e della “gelosia” mostrandocele come due scrittrici rivali, nemiche, incapaci di tollerare l’una il talento prodigioso dell’altra. Un rapporto femminile stereotipato e, a ben vedere fortemente inautentico, come ci dimostra Sara De Simone nella sua attenta ricostruzione di quello che in realtà è stato uno dei più affascinanti “sodalizi letterari” del Novecento.
Era, in fondo, un romanzo già scritto: nelle lettere, nelle recensioni, nei libri dell’una e dell’altra. Sara De Simone, svolgendo un meticoloso e appassionato lavoro di ricerca che si è prolungato per ben tre anni, è riuscita a rintracciare i “punti di contatto” nelle parole restituendoci così l’essenza più profonda di due autrici inimitabili.
Al principio di Nessuna come lei. Katherine Mansfield e Virginia Woolf. Storia di un’amicizia (Neri Pozza, 2023) viene descritta una scena irreale, romanzesca: Virginia Woolf e Katherine Mansfield che si incontrano per la prima volta in mare, una raggiunge l’altra in cima a uno scoglio battuto dai venti della Manica. Ed è esattamente così che, a lettura ultimata, vogliamo immaginarle: pensare che finalmente possano ritrovarsi in un altro luogo, in un altro tempo e possano così riprendere il discorso da dove l’avevano cominciato. Due donne che chiacchierano e parlano di letteratura e vanno alla ricerca di quel bagliore che “rivela il cuore segreto delle cose”, mentre l’aria salmastra tutt’attorno risuona delle loro voci e delle loro risate.
Anche dopo la morte di Katherine Mansfield, Woolf continuò a sognarla, tanto era forte la presenza di Katherine dentro di lei che nei sogni la rivedeva “viva”.
Le pagine di Nessuna come lei sono un continuo gioco di specchi in grado di presentarci la biografia parallela e multiprospettica di due grandi scrittrici attraverso il prisma di una relazione complessa governata dall’ambivalenza, come lo sono, in fondo, tutti i rapporti umani.
Ne abbiamo parlato con l’autrice, Sara De Simone, in questa intervista.
- A lungo il legame tra Katherine Mansfield e Virginia Woolf è stato soffocato dall’etichetta della rivalità, considerato solo sotto la falsa convinzione della gelosia reciproca che nutrivano l’una per l’altra. Come hai scoperto che, in realtà, non era così ma c’era dell’altro? C’è stata una lettura o, forse, un indizio che ti ha spinto a indagare più a fondo sul loro rapporto?
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L’ho scoperto mentre stavo traducendo Scrivi sempre a mezzanotte. Lettere d’amore e desiderio, il carteggio tra Virginia Woolf e Vita Sackville-West, con Nadia Fusini. A un certo punto mi sono imbattuta in una lettera in cui Woolf in riferimento a Mansfield scriveva: “Che strane amiche ho avuto, tu e lei”. Mi ha colpito molto che Virginia associasse Vita, la donna più importante della sua esistenza, a Katherine Mansfield. Anch’io sono stata a lungo portata a credere che fossero rivali, tuttavia quella frase rivelava che c’era di più, lasciava intendere dell’altro. Inoltre il nome di Katherine ritornava fin troppo spesso nell’epistolario per non destare sospetti.
Non mi piace la tendenza corrente di appiattire i rapporti tra donne su questi due estremi: la “sorellanza” o la “rivalità”. In realtà la parola stessa “gelosia” deriva dal greco zélos che significa anche “viva ammirazione”, desiderio, sottintende quindi una componente di ardore. Indagando il rapporto tra Mansfield e Woolf capii che volevo scrivere un libro su questo argomento.
Così ho iniziato delle ricerche e all’inizio è stato molto faticoso perché non potevo contare molto sulle lettere di Mansfield che, purtroppo, aveva l’abitudine di bruciare la propria corrispondenza. Allora mi sono mossa seguendo anche altre fonti, come i diari, le recensioni e la corrispondenza di altri esponenti del mondo letterario dell’epoca o del circolo Bloomsbury.
- Al principio del libro la definisci come “Un’amicizia nata sotto il segno della letteratura”. E di certo è stato così, considerando che Mansfield è stata la prima autrice pubblicata dalla Hogarth Press. Leggendo, tuttavia, mi ha colpito il fatto che loro avessero opinioni parecchio contrastanti, talvolta opposte, in materia di scrittura, non è forse così?
Entrambe “mettevano la scrittura al primo posto”: era questo ad accomunarle, la loro vocazione. Certo, non erano le sole donne scrittrici a Londra in quegli anni; ma è subito chiaro che loro due spiccano sulle altre. È vero che talvolta avevano opinioni differenti in materia di scrittura, ma spesso erano anche perfettamente d’accordo. Per esempio, entrambe riuscivano a smascherare il genio maschile contemporaneo, senza però sminuirne il valore: penso ad esempio a James Joyce o a T. S. Eliot. Entrambe sono delle scrittrici ma, soprattutto, delle donne libere.
- È proprio una recensione negativa di Katherine Mansfield a Notte e giorno (1919) a spingere Woolf a interrogarsi sulla propria scrittura. Dapprima Virginia non accetta la critica - Katherine la accusa di non parlare della guerra, di essere distaccata dalla vita - ma in seguito ci riflette, continua a rimurginarci. Potremmo dire che senza quella recensione negativa Virginia Woolf, forse, non avrebbe scritto i suoi capolavori?
Io non leggo quella recensione come un attacco diretto, credo sia più un gesto da amica. Katherine la scrive con il suo consueto stile elegante e con grande intelligenza, inoltre ci pensa più volte prima di pubblicarla. Non vuole ferire Virginia, ma spingerla a fare di meglio, perché sa che lei può scrivere molto meglio di così. Da parte sua Woolf che, come sappiamo, è permalosa, non la prende bene. Vorrebbe negare la verità contenuta in quella recensione, ma in cuor suo continua a rimuginarci e a riflettere sulla sua scrittura. È significativo che dopo aver meditato sulle parole di Mansfield, Virginia Woolf scriva La stanza di Jacob (1922). Katherine la accusava di aver tagliato fuori la guerra dalla trama ed ecco che, nel nuovo romanzo di Woolf, la guerra appare sullo sfondo. Ed è oltremodo significativo che il libro parli di un giovane morto in guerra, proprio come il fratello di Katherine, Leslie Beauchamp.
- Virginia e Katherine sono molto diverse, per estrazione sociale e provenienza, tuttavia si incontrano prima di tutto nell’arte e, poi, anche su un terreno più fragile: quello della malattia. Per Mansfield si tratta di una malattia fisica, mentre per Woolf di una malattia mentale. A un certo punto scrivi che “Entrambe condividevano una conoscenza profonda della vulnerabilità.”
Mi ha colpito molto nelle lettere di Mansfield non tanto il riferimento alla malattia, ma alla solitudine. Scrive proprio questa parola: “solitudine”. In fondo una dimensione centrale della malattia è proprio questa incomunicabilità del dolore, che è poi ciò che accomuna Katherine e Virginia. Entrambe inoltre a causa delle loro rispettive condizioni sono spesso allettate, condividono una immobilità forzata che tuttavia non è totale passività perché le spinge a creare. La creazione è una conseguenza diretta della malattia, una sorta di reazione. Inoltre colpisce che entrambe siano molto autoironiche sulla propria condizione, nelle lettere, nei diari trovano sempre il modo di alleggerirla, di non farla pesare agli altri.
Ma credo che la dimensione comune non sia tanto la malattia, quanto la solitudine che da essa deriva. Dopo il primo incontro con Katherine, Virginia Woolf parlerà infatti di una “solitudine a due”, mutuando l’espressione da Shakespeare.
- Non solo le loro vite erano diverse, ma lo erano anche i loro matrimoni. Katherine non trova mai un vero sostegno in Murray, mentre per Virginia il marito Leonard rappresenta un complice. Il matrimonio dei Woolf viene definito “a marriage of true minds” e più volte Mansfield confessa di essere invidiosa del loro rapporto. Nel libro torni spesso su questa differenza tra i loro vissuti familiari: come l’hai interpretata?
Il rapporto tra Katherine e Murray non è paragonabile a quello dei Woolf. Lei stessa lo definisce, non a caso, come “un rapporto tra due amici maschi”, qualcosa di strettamente adolescenziale, giovanile. Murray spesso non sarà in grado di sostenere la moglie né sentimentalmente né finanziariamente. I Woolf, invece, vivono una sorta di sodalizio creativo molto profondo, fondano anche un’importante casa editrice: la loro relazione riesce comunque a concepire qualcosa anche se dal punto di vista artistico. Al contrario della relazione tra Katherine e Murray, quella tra Virginia e Leonard è a modo suo fertile, creativa.
- È corretto vedere in Katherine Mansfield un’anticipazione di Vita Sackville-West? Curiosamente Vita appare nell’esistenza di Virginia pochi giorni prima della morte di Katherine...
Sì, è quanto ci testimonia anche Quentin Bell, il nipote di Virginia Woolf. Nella sua biografia di Woolf, Quentin sostiene che “Katherine Mansfield ha aperto la strada a Vita”. È come se le loro presenze si fossero scambiate nella vita di Virginia: alla scomparsa di una segue l’apparizione dell’altra. Ed è quanto ammette Virgina stessa nelle lettere: “Ho riletto Katherine Mansfield con un misto di affetto e di orrore. Che strane amiche ho avuto, tu e lei”, affermazione che ci lascia intendere anche l’ambivalenza del suo rapporto “amicale” con Katherine Mansfield.
- Il legame di Virginia con Katherine è soprattutto spirituale, e sembra proseguire ben oltre la morte di Mansfield. Anche dopo che Katherine è morta, Virginia continua a convocarla in dialogo: è lei la “destinataria ideale” dei suoi scritti. Possiamo dire che ha trasformato la perdita in letteratura?
Sarebbe audace fare un’affermazione simile. Di certo, come testimoniano i Diari, Woolf non ha mai dimenticato Katherine Mansfield: dice di avere la sensazione che la penserà, a intervalli, per tutta la vita. E sarà proprio così: la conversazione tra loro non si interrompe, continua nella scrittura. Possiamo ritrovare l’immagine di Katherine nella signora Ramsay di Al faro. In una delle scene finali Woolf descrive la signora Ramsay mentre si allontana con una corona di fiori bianchi posata sul capo: curiosamente Katherine Mansfield le era apparsa in sogno proprio in una visione analoga, da lei descritta nei Diari.
- Nel finale del libro appare un riferimento a una lettura condivisa dell’Ulisse di James Joyce. In uno scritto Virginia riporta questo momento memorabile: c’è Katherine Mansfield che, di fronte a lei, legge Joyce e afferma che in quelle pagine vi è una scena degna di figurare nella storia della letteratura. Si è poi scoperto qual è la scena cui fa riferimento Katherine?
Sulla lettura condivisa dell’Ulisse di James Joyce ho voluto lasciare, di proposito, un margine di mistero. Non sapremo mai qual è la scena cui fa riferimento Katherine; ma mi piace l’ambiguità di questo scritto di Woolf in cui ricorda il loro ultimo incontro. A ben vedere è tutto giocato sull’ambivalenza: stiamo assistendo a una lettura di Joyce, oppure a Virginia Woolf che scrive di Katherine che legge Joyce? Qual è la vera scena memorabile: quella narrata da Joyce nell’Ulisse, oppure ciò che sta accadendo fuori dal libro che vede protagoniste Katherine e Virginia? Trovo che sia prezioso, in questo caso, lasciare il margine di dubbio dell’invenzione letteraria.
- Nessuna come Virginia Woolf, nessuna come Katherine Mansfield. Si tratta di un legame speculare, come un riflesso, nei suoi diari Woolf la definisce “Una connessione esclusiva. Una stranissima sensazione d’eco”. Quel “Nessuna come lei” del titolo, dunque, vale per entrambe? Una sorta di “amicizia geniale”?
Nessuna come lei è certamente Katherine per Virginia; in quanto Woolf le sopravvive per oltre un ventennio e ha quindi tutto il tempo per riflettere e meditare su ciò che ha rappresentato Katherine nella sua vita e capire quanto lei sia stata insostituibile.
D’altro canto, Katherine nell’ultima lettera che spedisce a Virginia scrive: “Sei l’unica donna con cui io desideri parlare di lavoro. Non ce ne sarà mai un’altra.”
Quindi, sì, infine possiamo dire che quel “nessuna” in fondo vale per entrambe.
- L’ultima domanda, invece, la rivolgo a te proprio come autrice. Ti senti più vicina a Katherine Mansfield o a Virginia Woolf?
Sono sempre stata una lettrice assidua di Woolf, ho scoperto Katherine Mansfield più tardi. Tuttavia Katherine Mansfield è una figura che mi ha travolta, mi ha appassionata e ho sentito il bisogno di riscattarla da quel ritratto di “malata fragile” che ne hanno fatto alcuni critici e che le è rimasto a lungo, ingiustamente, cucito addosso.
In realtà era una donna autoironica, vivace e piena di vita, che di sé scrive “Voglio essere vera”. Ecco, Katherine Mansfield ci insegna che coincidere con sé stessi - o meglio, diventare sé stessi - è il vero lavoro di una vita. Lei non è una “creatura morente”, ma muore mentre vive, cosa che, penso, non è da molti. In questo sta la differenza che non è stata colta a proposito di Mansfield: lei ha avuto il coraggio di morire - e questo coraggio, io credo, non è da tutti.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’amicizia tra Katherine Mansfield e Virginia Woolf in un libro. Intervista all’autrice Sara De Simone
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