Foto di Fabrizio Coscia
Credits: Photo Ciro Orlandini
Fabrizio Coscia è nato a Napoli nel 1967. Scrittore, insegnante, critico letterario e teatrale del quotidiano "Il Mattino”, è autore del romanzo Notte abissina (Avagliano, 2006), della raccolta di saggi narrativi in Soli eravamo ed altre storie (A est dell’equatore, 2015), La bellezza che resta (Melville edizioni, 2017), Dipingere l’invisibile. Sulle tracce di Francis Bacon (Sillabe, 2018), Sulle tracce delle ninfe. Nei dintorni del discorso amoroso (Exorma, 2019), Lo scrivano di Nietzsche (Mattioli1885, 2019).
L’intervista è sul suo ultimo libro, Nella notte il cane, una sorta di diario di bordo intorno alla figura del cane dello scrittore di nome Pedro e di suggestioni letterarie e filosofiche sul mondo degli animali (Editoriale Scientifica, 2021). La collana S-confini è diretta dall’autore stesso.
- 1) Grazie per la sua disponibilità. Il suo libro, mi sembra, non sia stato scritto solo sull’emozione di avere un cane in casa, ma dal bisogno di salvare gli animali tutti e in particolare quelli che vengono mangiati da noi umani. Una protesta esistenziale. È così o mi sbaglio?
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Più che esistenziale, la definirei una protesta etica e politica. È da quando Pedro è entrato nella mia vita, che ho iniziato a interessarmi al tema del vegetarianesimo, al nostro rapporto con gli animali, e soprattutto ai danni che gli allevamenti intensivi stanno procurando all’ambiente. Questo perché l’amore per il mio cane mi ha fatto scoprire l’amore per gli animali in generale. Nessuno ne parla, ma un recente studio ha rilevato quanto gli allevamenti intensivi siano responsabili dell’emissione nell’atmosfera del 51% dei gas serra, soprattutto di anidride carbonica, metano e protossido d’azoto e quindi vanno annoverati tra i maggiori responsabili del riscaldamento globale. Ma perfino le associazioni ambientaliste sono omertose a questo riguardo. È più facile dire a qualcuno: “usa meno l’automobile, compra una lampadina a risparmio energetico, chiudi il rubinetto mentre ti lavi i denti”, piuttosto che convincerlo a non mangiare più carne. Entrano in gioco interessi economici enormi e abitudini di vita radicate.
Nel libro dedico alcune pagine a questo tema più “militante”, per così dire, e accenno anche a un report pubblicato dalle Nazioni Unite nel luglio 2020, in cui l’allevamento intensivo è individuato tra i principali fattori di rischio che provocano l’insorgenza di pandemie: parliamo di coronavirus, di aviaria, di influenza suina e di molte altre malattie zoonotiche capaci di fare il cosiddetto spillover, ovvero il salto di specie tra animale e uomo. Ho il sospetto che il nostro futuro, il futuro dell’umanità, dipenda in gran parte dal rapporto che decideremo di avere con gli animali. È un tema che non si potrà rimandare ancora a lungo. E sono anche convinto che il nostro futuro sarà vegetariano o non sarà.
- 2) Anche se questo libro è scritto in modo leggibile e gradevole, lei che mette autobiografia e pagine inerenti all’amore per i cani da parte di grandi scrittori, in realtà, come scrive lo scrittore Paolo Del Colle in una recensione saggio su Pangea, si dibatte tra la verità velenosa della letteratura e dalle menzogne della vita. Quindi Nella notte il cane è un journal, un saggio, un ibrido?
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Sono diversi anni ormai che ho intrapreso una nuova modalità di scrittura: a partire da Soli eravamo e altre storie ho rinunciato alla fiction, al romanzo, perché è un genere che non mi interessa più come scrittore (come lettore mi interessa ancora, forse, ma in misura molto ridotta, a meno che il “romanzo” non sia scritto da Gospodinov, da Cartarescu, da Enard, per fare qualche nome). Credo che si tenda ad assolutizzare troppo il romanzo: come tutti i generi, ha una sua nascita, uno sviluppo e una decadenza. Anche il poema epico ha avuto un periodo di splendore e uno di declino, producendo capolavori morenti (penso all’Orlando Furioso). Dunque anche nel romanzo ci saranno probabilmente ancora delle meravigliose eccezioni: è una lunga e splendida agonia anche questa. Ma mi interessa di più tutto ciò che esula dal romanzo.
Questo è anche il motivo per cui la collana editoriale che dirigo per la casa editrice Editoriale Scientifica si chiama S-confini, perché mi attraggono gli sconfinamenti. Come autore non ho modelli, né Maestri. Mi sono liberato dai Maestri. Scrivo come piace a me, di quello che piace a me, e come so scrivere solo io, bene o male che sia. La cosa più importante per uno scrittore è trovare la propria voce e imparare a modularla, riconoscere i propri limiti e fare il meglio possibile all’interno di quei limiti.
Quindi, per rispondere alla sua domanda: che cos’è Nella notte il cane? È un libro che prova a essere un libro “vero”, autentico. È un libro che prova a dire, cioè, una qualche verità su di me che l’ho scritto, su dove mi trovo, in quale punto della mia vita sono. È l’unico obiettivo che mi pongo con la scrittura: essere fedele alle verità che accadono nelle situazioni dell’esistenza. Le verità velenose che la vita stessa nasconde.
- 3) Il libro comincia con la malattia della sua compagna Linda a causa di un tumore al seno, fortunatamente sotto controllo, e si arriva al vostro cane Pedro che spesso dorme nel letto, in mezzo a voi? Come arriva a queste nuove abitudini, per caso o consapevolmente?
L’ingresso di un cane nella vita di una famiglia è sempre dirompente. Sconvolge le abitudini, costringe a rivedere posizioni e convinzioni. Ed è un bene che questo accada. Lentamente Pedro ha conquistato i suoi spazi e i nostri spazi, violando gradatamente sempre più divieti. È un cedimento continuo. Le nostre difese si abbassano e a un certo punto si capisce che la convivenza con un animale in casa è una convivenza sotto tutti gli aspetti. Si vive insieme con loro. La presenza di Pedro accanto a noi è rassicurante. Anzi, vorrei dire che è una presenza salvifica. Un animale domestico è una presenza magica, con la quale impariamo a rapportarci, e impariamo molte più cose da lui di quante noi potremo mai insegnargli.
- 4) Lei fa affascinanti incursioni nella Bibbia dove si parla di animali precedenti all’uomo e viceversa, al suo amore incondizionato per Kafka fino a Cane e padrone di Mann. Come riesce a rendere appetibili autori, Bibbia esclusa, che vorremmo leggere subito con il suo apporto? Questa sua predisposizione "pedagogica" le viene dall’essere anche un professore?
Può darsi. La pedagogia è in fondo un atto d’amore. Si cerca di trasmettere qualcosa che amiamo agli altri. L’insegnante dovrebbe fare questo: far passare, trasmettere il proprio entusiasmo (se ancora gliene resta un po’), tramandare. Forse a scuola è sempre più difficile raggiungere questo obiettivo, oggi, poiché gli orizzonti culturali tra noi e le nuove generazioni di studenti si sono allontanati troppo, ma si trova sempre qualche terreno comune su cui intervenire. Quando scrivo, generalmente, mi piace parlare dei libri che amo, così come dei quadri, delle musiche o dei film. E raccontarli è un modo per condividere con il lettore la mia ammirazione. Se riesco ad accendere una scintilla di curiosità, se un lettore dopo aver letto le mie pagine va ad aprire un libro che ho citato, vuol dire che sono riuscito a sedurlo, sono riuscito a renderlo partecipe di qualcosa che mi appassiona. Il pittore Pierre Bonnard scrisse che doveva sempre essere un po’ innamorato per dipingere. Lo stesso vale anche per me. Questo libro, ad esempio, nasce dall’innamoramento per il mio cane e dalla «vita nova» che è iniziata per me da quando lo abbiamo adottato.
5) Lei ad un certo punto nomina La vita degli animali dello scrittore J. M. Coetzee. La protagonista, la scrittrice australiana Elizabeth Costello, in una conferenza in un college americano sostiene che i massacri quotidiani di animali negli allevamenti intensivi non sono diversi per orrore o rilevanza morale alla Shoah. Lei dà ragione a questa "teoria" dopo aver visto il documentario Dominion. Le chiedo: come fa ad accettare Shoah e i mattatoi di un documentario che ho visto anche io, che insiste su certe pratiche "macabre" e quindi "irrappresentabile" anche più della Shoah, non fosse altro per il rumore "tremendo" di animali che sembrano coscienti di andare a morire. Avendo fatto una tesi sull’ebraismo e su Hannah Arendt, io sono perplesso e pieno di dubbi. Mi spieghi meglio la sua posizione.
Ho spiegato nel libro che non si tratta di un paragone, ma più precisamente di quella che in matematica si chiama proporzione. E del resto anche Isaac Singer, lo scrittore ebreo premio Nobel scampato alla Shoah, non ha esitato ad associare mentalmente in un suo romanzo lo sgozzamento del pollame al lager di Treblinka. Ed è sempre lui ad affermare che nel loro comportamento con gli animali tutti gli uomini dimostrano di essere nazisti. Quel che accade nei macelli e negli allevamenti intensivi non è diverso, infatti, da quello che succedeva nei lager nazisti poiché in entrambi i casi a dominare è il principio secondo il quale la forza è diritto. Mi rendo conto che un’affermazione del genere possa provocare perplessità o perfino offesa e sdegno. Ma perché? Perché continuiamo a osservare la vita da un punto di vista antropocentrico. È una questione che aveva già affrontato Montaigne in uno splendido passo dei suoi Saggi, quando parla della «presunzione» come della «nostra malattia naturale e originaria», e si domanda come possa l’uomo «conoscere per mezzo dell’intelligenza i moti interni e segreti degli animali». La sensibilità di Montaigne è di una modernità straordinaria, se pensiamo che ancora Heidegger dichiarava che l’animale è «povero di mondo»! (Un’affermazione che nel libro non esito a definire «un’enorme cazzata»). Basterebbe provare a uscire da quest’ottica antropocentrica. Per gli animali, dal loro punto di vista, l’allevamento intensivo è un campo di sterminio, a tutti gli effetti. È sbagliato chiedersi se è lecito paragonare la vita di un maiale a quella di un essere umano, o di un bambino. Ogni creatura vivente ha lo stesso diritto di vivere e di morire dignitosamente. Chi stabilisce le gerarchie, le scale di valori? Se accettiamo che una specie sia superiore a un’altra specie (e lo stiamo facendo nel momento stesso in cui ci indigniamo per il paragone lager/macelli), stiamo ragionando già con un’ottica razzista, senza rendercene conto. Quando accetteremo, invece, che siamo tutti sullo stesso piano, che la morale deve essere orizzontale e non verticale, che tutti siamo ospiti allo stesso modo di questo pianeta con gli stessi diritti, quando capiremo questo, il mondo forse sarà migliore.
- 6) Lei scrive delle passeggiate con Pedro, durante il primo lockdown, in strade vuote, surreali, e poi di quelle di fine primavera quando la curva dei contagi cala sensibilmente. Ma credo saprà che dopo quasi tre anni di pandemia molti governi, tra cui quello italiano, stanno andando verso una "normalizzazione", pur sapendo che il Covid è solo una delle tante malattie che si presenteranno in un pianeta che ha superato i sette miliardi di persone. Che fare secondo lei?
Il passaggio alla «normalità» è un passaggio obbligato, che tutti auspichiamo. La pandemia ci ha messo a dura prova, sia economicamente che psicologicamente. Abbiamo scoperto la nostra vulnerabilità, la nostra piccolezza. Ma temo che questo non ci abbia migliorato, come qualcuno pensava. Anzi, sono aumentate le polarizzazioni, i conflitti. Basti pensare al fronte agguerritissimo dei Novax. O a questa tragica, assurda guerra che è scoppiata in Ucraina, e che sembra riportarci indietro di un secolo. Tutto ciò che la pandemia aveva messo in discussione - modelli di sviluppo, presunzione, competizione - torna così a prevalere esattamente come prima. Fino al prossimo Coronavirus. Questo succede perché al nostro progresso tecnologico non corrisponde un uguale progresso morale. Sviluppiamo sempre più competenze, ma restiamo spiritualmente analfabeti. L’uomo resta sempre un pericoloso animale da rapina e da combattimento.
Ricorda il finale de La coscienza di Zeno? L’ho letto in classe ai miei alunni pochi giorni fa, e mi ha impressionato più del solito. Mi ha impressionato l’immagine della terra «ritornata alla forma di nebulosa», che, dice Zeno, «errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie». Mi ha impressionato perché il tono ironico di Zeno ha una virata improvvisa e per la prima volta diviene apocalittico. È quello che ci aspetta? Forse, se ciascuno di noi non contribuirà come può a rendere il nostro pianeta più vivibile.
- 7) A parte Emily Dickinson e il suo grande amore per il suo cane, la cui morte fu l’evento che la portò definitivamente alla clausura nella sua stanza, lei scrive solo di uomini scrittori conosciuti a livello internazionale. È stata una scelta o e accaduto per caso?
Non mi interessa minimamente la questione di genere in letteratura. Per non parlare delle quote rosa. Leggo e amo molte scrittrici: Marilynne Robinson è per me una delle più grandi scrittrici viventi, o scrittori, o scrittori donna viventi (non so come dire per non urtare qualche suscettibilità). Adoro Alice Munro e Lalla Romano. Virginia Woolf era presente in una versione precedente del mio libro. Ma non mi pongo mai il problema di quanti scrittori maschi e di quante femmine abbia citato. È un falso problema. Il genio non ha genere. Chi ha scritto il Pentateuco? Qualcuno, come Harold Bloom, sostiene che sia stata una donna. Cambia qualcosa? Resta uno dei massimi capolavori della letteratura universale. Chi se ne frega del sesso di chi lo ha scritto?
- 8) La scrittrice più "animalista" che abbiamo avuto in Italia è stata Anna Maria Ortese. Lei amava tutte le bestiole, non solo cani e gatti. Li amava perché quella tenerezza e la pacata corsa verso un destino comune sopperivano al silenzio di Dio.
Lei nelle torture perpetrate sugli animali per sfamare chi non ha bisogno di mangiare carne e di contro di bambini poverissimi che conoscono solo il riso e l’avena, fa fronte al silenzio di Dio? Non mi deve rispondere, ma lei è o è stato credente?
Ritengo che Dio sia il più grande personaggio letterario mai inventato. E poiché io credo nella letteratura, credo anche in Dio.
- 9) Lei non ha paura delle parole, quindi parla delle erezioni di Pedro con allegria, come pure del fascino poco discreto della cacca che alcuni animali amano mangiare e con cui si coprono. In realtà sembra più a disagio con gli esseri umani o è una mia constatazione totalmente sbagliata?
Credo di non essermi mai sentito molto a mio agio nel mondo in generale, non solo con gli altri esseri umani. In fondo chi scrive non è mai a suo agio, nemmeno con se stesso. Forse, se è fortunato, si sente a suo agio solo nella scrittura, che è la sua vera casa.
- 10) Tornando al suo modo di scrivere, mi chiedo come ormai, essendo andato per conto suo verso stili di scrittura "ibridi", per semplificare, come si spiega invece il successo ancora dominante della letteratura di genere, della narrativa pura con trama e finale, di un’infinità di storie romantiche o di storie thriller cui risponde il cinema con altrettante storie d’amore, delitti seriali, apoteosi di commissari e detective, mentre l’unica serie televisiva che lei menziona è After Life di Ricky Gervais?
La letteratura di genere sopravvive per motivi commerciali. Perché è consolatoria. Perché il lettore sa già cosa aspettarsi. Non ci vedo nulla di male, sia chiaro, ma non è la mia idea di letteratura. Lo stesso vale per il cinema di genere e le serie televisive. Anche qui dominano i generi per motivi commerciali. Ma quando un film o una serie tv si libera dalle maglie strette del genere, allora entriamo in una dimensione diversa. C’è stato un tempo in cui ho amato il cinema perfino più della letteratura. Ero un cinefilo ossessivo-compulsivo. Oggi ci sono le serie tv. Le ho scoperte durante la pandemia, vincendo un certo pregiudizio. Ma anche in questo caso rifuggo dai “generi”. Ho già scritto in un’altra occasione che una serie tv come Transparent, ad esempio, è il vero Grande Romanzo Americano del nostro tempo. Ho amato molto una serie ormai storica come «Breaking Bad», che secondo me andrebbe studiata a scuola, o alcune più recenti come «Shtisel», un vero gioiello, o lo stesso «After Life», «Fleabag», «Il metodo Kominsky». Credo che la serie tv abbia ereditato oggi dal romanzo quel bisogno primario di narrazione, di racconto, che è antico e sempre vivo nell’uomo. E la serialità permette anche di tratteggiare l’evoluzione nel tempo dei personaggi e delle trame, proprio come nei grandi romanzi dell’Ottocento, ma con un linguaggio a volte decisamente nuovo e interessante.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Fabrizio Coscia, autore di “Nella notte il cane”
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