Ilaria Beltramme, nata a Roma 41 anni fa, nutre per la sua città un amore smisurato ed è convinta che il Tevere sia una divinità. Nel 2011 abbiamo già avuto modo di intervistarla sul nostro sito: "4 chiacchiere (contate) con... Ilaria Beltramme". I suoi libri hanno venduto oltre 150.000 copie. Con la Newton Compton ha pubblicato i bestseller 101 cose da fare a Roma almeno una volta nella vita (trenta edizioni), Roma in un solo weekend e 101 perché sulla storia di Roma che non puoi non sapere. Nel 2013 è uscito il suo primo romanzo, La società segreta degli eretici.
Da pochi giorni è in libreria Il Papa Guerriero (Newton Compton 2014), ritratto della Roma di Giuliano della Rovere (1443 – 1513), asceso al soglio di Pietro con il nome di Giulio II, un condottiero più che un pontefice.
Guidando il suo esercito in battaglia e ristabilendo il primato di Roma nella cristianità, Giulio II traghettò
“la città fuori dal buio della decadenza e dentro al Rinascimento degli artisti e delle scoperte archeologiche”.
Ma una bellissima cortigiana, Flora alias Isabella, spinta da un odio antico cercava la vendetta nei confronti di un uomo di polso, non un pastore di anime ma un individuo che possedeva “il cuore di un combattente, di un capitano”.
- “Se oltre mi spingo, ovunque io arrivi, trovo di Venere la banda lasciva che ogni dove apparecchia esche amorose”. Ilaria, per quale motivo ha posto come esergo del volume la frase tratta da Les Regrets (sonetto su Roma) del poeta e umanista francese Joachim Du Bellay?
Du Bellay, in realtà, non rende omaggio alla Città Eterna nei suoi sonetti de Les Regrets. Il suo è il canto di un esiliato che nostalgicamente parla di Roma per ricordare la Francia. Ma questa frase in particolare descrive ciò che doveva essere, con un’accezione negativa, Roma negli anni in cui Du Bellay l’ha visitata (metà del Cinquecento) e dipinge poeticamente la condizione “sociale” della città. Roma apparteneva anche alle sue numerose cortigiane al pari di quelle – più note – veneziane. Queste donne hanno contribuito alla bellezza di Roma grazie alle tasse che regolarmente versavano e che finivano in opere di pubblica utilità, restauri, campagne archeologiche e quant’altro. Insomma la Roma del Rinascimento “si fa” non soltanto per merito delle committenze dei pontefici, Giulio II in testa, e con i soldi di banchieri come Agostino Chigi, ma pure grazie al contributo delle cosiddette “puttane oneste”, un esercito di donne “stranamente” libere di studiare, spostarsi e di possedere beni propri. È un universo affascinante a prescindere dall’aspetto scabroso della sessualità dell’epoca. Mi hanno conquistato “da donna a donna” per il loro ruolo fuori dagli schemi in una società che non prevedeva scambi fra le varie classi sociali. Alle cortigiane, invece, era permesso di frequentare la corte, di partecipare ai banchetti, di vivere, sì, per l’uomo, per ricreare l’ideale di amor cortese che di certo non si poteva cercare a casa, ma nello stesso tempo la loro è una sorta di libertà totale, anche se ancora in germe. È intellettuale, prima di tutto, perché a queste donne veniva quasi richiesto di essere colte, di conoscere il latino, di dilettarsi con la composizione dei versi, ma passa anche per un’indipendenza economica sconosciuta alle donne “normali” dell’epoca che, al massimo, gestivano patrimoni di proprietà dei maschi di casa.
- Possiamo dire che lo sguardo di Isabella è il testimone dell’operato di Giulio II “Papa terribile”?
Sì, assolutamente. È lei il filtro attraverso cui passa tutta la politica di Giulio II. E non è un giudizio positivo. In lui, Isabella vede l’immagine del Potere in assoluto, l’arbitrio, la violenza “del padrone” e per questo esprime un giudizio. Isabella non è affatto incantata dalla personalità possente del nuovo papa che, agli occhi dei suoi contemporanei, è l’eroe rinascimentale per eccellenza, l’uomo nuovo, il Principe, il Cesare che Roma stava aspettando da secoli.
- Che cosa racconta la Roma della cortigiana Flora?
È una Roma ancora striminzita (ma lo sarà per poco), che sopravvive, tutto sommato, in pochi rioni, soprattutto Trastevere, Borgo, Ponte e Parione. Quasi tutti gli eventi del romanzo si svolgono lungo la via Papalis (l’odierno Corso Vittorio Emanuele II ne ricalca in parte il tracciato originario). Tutto intorno c’è la campagna, spesso l’abbandono. Campo Vaccino è un pascolo (fino quasi a due secoli fa), San Giovanni in Laterano è un’antica basilica sperduta nel nulla dei campi e dei briganti. La Roma trionfale, completamente consapevole del suo passato maestoso, così come oggi noi la percepiamo, si comincia a formare in quel periodo, quando, per esempio, ancora non è chiaro che la statua equestre di Marco Aurelio (oggi in Campidoglio, ma all’epoca si trovava proprio a San Giovanni in Laterano) ritrae appunto l’imperatore e non un oscuro personaggio della storia antica. Questo romanzo, in fondo, rende anche omaggio a questa presa di coscienza in cui la città, finalmente, si riscopre Eterna. È, quella del Papa guerriero, una Roma che ancora sonnecchia, ancora è immersa nel suo passato medievale, è ancora “piccola”. Dopo Giulio II cambierà per sempre.
- Il romanzo storico ha anche una “protagonista occulta”: Felice Della Rovere Orsini. Ce ne vuole parlare?
È la figlia del papa, la “bastarda Della Rovere”, come la definivano al suo rientro a Roma dopo un’assenza “di sicurezza” durata quanto il pontificato di Alessandro VI Borgia, nemico di Giuliano Della Rovere, suo padre. Felice è la versione femminile di Giulio II, è “terribile” quanto lui, nel senso che è una donna fuori dall’ordinario, dotata di un carisma quasi sovrannaturale. È una donna modernissima che non è tanto conosciuta per vari motivi, perché non regna su nessuna signoria e perché entra a far parte del progetto politico del padre dopo la sua elezione al soglio pontificio: Felice è l’anti - Lucrezia. A lei non saranno permesse le libertà concesse da Rodrigo Borgia a sua figlia. Viene tenuta nascosta. Giulio II s’illuderà anche, a un certo punto, di poterla “piazzare” in un matrimonio (le offre ben cinque pretendenti!) combinato, utile da un punto di vista politico. Ma Felice non ha alcuna intenzione di trasformarsi nel burattino del padre. Si sposerà soltanto quando ne avrà voglia e quando le verrà offerto un partito conveniente anche per lei: Giangiordano Orsini. Con il suo nuovo consorte potrà trasformarsi in una donna rinascimentale a pieno titolo. La coppia Della Rovere-Orsini è a la page, è sempre presente durante le occasioni ufficiali, le visite di stato. Sono ammiratissimi. Felice voleva rimanere a Roma, voleva essere per Roma ciò che stava diventando suo padre. È lei il Principe machiavelliano, secondo me. Forse anche di più di Cesare Borgia. L’ho amata subito, perché unica. Su di lei non possono applicarsi le categorie di giudizio che si utilizzano per giudicare le donne sue contemporanee. Felice non ha limiti. Diventerà la “governatrice” del patrimonio Orsini, in barba ai suoi familiari acquisiti. Studia e legge romanzi alti ma non disdegna romanzetti economici. Intrattiene relazioni con le teste coronate di tutta Europa e ha un ruolo negli accordi di pace fra Roma e la Francia grazie alla sua amicizia con Anna di Bretagna, moglie di Luigi XII. Sarebbe stata un perfetto cardinal nepote se fosse nata uomo. O un generale dell’esercito. Ma non si sente mai diminuita nel suo essere “donna”. Non le importa. Fa lo stesso quello che le pare, quando le pare. È un’eroina.
- Quali fonti e documenti ha consultato per delineare così bene quel periodo storico che cambiò l’aspetto di Roma e non solo?
Volevo raccontare “quel” Rinascimento con tutte le sue luci e ombre. Sulle luci non ci sono dubbi, gli storici – soprattutto italiani – ne parlano moltissimo. Ma le ombre me le sono andate a cercare nella critica straniera, dove il Rinascimento italiano è sì ammiratissimo ma viene trattato con molta obiettività, visto che non ha avuto il ruolo che invece ha assunto per la nostra cultura in generale. Quindi, oltre a Ludwig von Pastor, che è la voce ideale per conoscere in profondità i papi nella Storia, ed Eugenio Garin, lo studioso che meglio di altri ha definito gli elementi quotidiani della vita rinascimentale. Mi sono rivolta anche a Christine Shaw (autrice di una biografia su Giulio II “politico” molto completa) e a Caroline Murphy, che ha firmato il preziosissimo studio su Felice Della Rovere. Ma per tutti i dettagli, le lettere degli ambasciatori, i dialoghi della famiglia Della Rovere e per tracciare in modo “vivo” e credibile la personalità del papa guerriero mi sono fatta aiutare dal diario di Paride Grassi, che era cerimoniere di corte all’epoca e, nelle sue memorie, non risparmia giudizi nei confronti dei suoi contemporanei, anche quelli più potenti, e racconta intimamente le giornate del papa. Da lui, per esempio, sono venuta a sapere le reazioni di Giulio II alla morte sia di Galeotto Franciotti Della Rovere (suo amatissimo cardinal nipote) che di Francesco Alidosi: è storia che il papa non si sia lasciato andare a nessuna forma pubblica di dolore, mentre in privato si disperava ed era inconsolabile. Lo dice uno dei suoi uomini di fiducia.
- Mai come in quest’ultimo periodo si è tanto parlato della “Grande Bellezza” dell’Urbe: quali sono i luoghi della città a Lei più cari?
Il fiume, non ci sono dubbi. Ci vado il più possibile e ci passo più tempo che posso. Il punto preciso è l’Isola Tiberina, dal lato di Ponte Rotto. Lì ritrovo una qualità di luce che è la cifra della bellezza struggente di Roma. È la luce che guida quasi tutte le mie passeggiate in cui non faccio tante distinzioni fra la Roma turistica e quella “segreta”. Roma si svela sempre come se la vedessi la prima volta ogni volta che la cerco. La chiamo e lei arriva, nello scorcio di un vicolo, fra i capperi selvatici sui ruderi o nella penombra di una chiesa da cui mi lascio affascinare, anche se non sono credente. Vado spesso anche al Cimitero Acattolico di Piramide, dove cerco il silenzio, l’odore della terra e i gatti. Ci vado “all’inglese”, cioè a leggere un giornale o un libro, seduta su una panchina in mezzo alle tombe (e che tombe! Fra Keats, Gregory Corso e Antonio Gramsci ci si sente benissimo!). E, in stagione, non manco mai all’appuntamento con il Roseto comunale sull’Aventino. Se si arriva fino alla sommità del roseto ci si può godere una vista sul Palatino in compagnia del profumo dei fiori. Tutti e cinque i sensi ne escono fortificati. È un’esperienza indimenticabile.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Ilaria Beltramme, autrice de “Il papa guerriero”
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