

Io poeta notturno
- Autore: Dino Campana
- Anno di pubblicazione: 2007
Dino Campana: un uomo al margine, una creatura solitaria e silvana, amante dell’ombra.
L’homme des bois, come era solito chiamarsi, voleva che la sua poesia nascesse lontano dal clamore e dalle arene letterarie, scosse da invidie e lotte al coltello tra avventori dozzinali e indegni, la cui unica ispirazione consisteva nell’intento di guadagnare la scena.
Temperamento irascibile, carattere irrequieto, sognatore capace di osservare con lucidità l’amarezza della vita, che di continuo impone rifiuti e cadute. Cercava un’esistenza stabile in Francia, ma fu ogni volta respinto verso la stessa randagia inettitudine a riconoscersi negli altri. Orfeo sceso all’inferno senza nessuna Euridice da portare fuori, è rimasto alla sua notte di chimere, aedo errante che volta le spalle alla luna.
Sensibilità profonda e raffinato ingegno, interprete acuto di uomini e culture, conoscitore di cinque lingue, lettore di Eschilo, fustigatore di caratteri ostili alla generosità e agli slanci, coscienza abbarbicata all’Appennino tosco-emiliano, di cui conservava in sé il rude aspetto e l’antica saggezza.
Dino Campana è stato un cantore in lotta col suo tempo, schivato e irriso proprio da quell’aureo mondo delle riviste letterarie in cui il poeta aveva stanato un provincialismo gretto e avverso a ogni ipotesi di una nuova concezione dell’arte e, dunque, della scrittura. E proprio in lui, il “mat Campèna”, non manca una chiara e netta adesione alla cultura e al retaggio storico d’Europa, molto più dei suoi sornioni colleghi, impegnati nei tristi agoni della carta stampata, tra accademismo e autocompiacimento.
«Ho trovato alcuni studi, purtroppo tedeschi, di psicanalisi sessuale di Segantini, Leonardo ed altri, che contengono cose in Italia inaudite e potrei fargliene un riassunto per Lacerba. Si tratta di utilizzare la capacità di osservazione di quella gente in favore della nostra sintesi latina.
Se una nuova civiltà latina dovrà esistere, essa dovrà assimilare la Kultur.
La Francia da sola non ci è riuscita, essa è stata sommersa nella cultura tedesca, nella difformità che non è riuscita a forgiare, e anche noi in Italia per ripercussione siamo stati vittime di questa débacle, e proprio nel momento in cui una nuova cultura poteva formarsi in Italia dove non esiste finora altro che una Kultur universitaria»
Una società soffocata e stagnante, afflitta «dalla falsità, dal giolittismo e dal camorrismo sbirro» dove non c’è spazio per certa gentilezza ingenua che fa essere vicini alla natura e aperti a una più sincera umanità.
La breve galleria di lettere pubblicata da Via del Vento, ci tiene a precisarlo il curatore del volumetto Pasquale Di Palmo, non si articola su nessuna volontà filologica ma scaturisce dall’idea di rendere un omaggio dimesso e spontaneo al poeta notturno, che attraverso i suoi Canti orfici ha saputo disegnare un unicum nel panorama della poesia italiana.
Così, nelle poche frasi abbandonate all’indirizzo di amici e conoscenti, prende forma dal ’14 al ’17 il ritratto di un uomo scomodo, scacciato e ridotto al silenzio, perché capace di un giudizio critico affilato e, allo stesso tempo, di vivere i sentimenti senza la misura dell’opportunismo e delle mode. Anche questo basta a suscitare diffidenze. Saper amare sembra uno dei peggiori scandali ai suoi tempi, e non solo allora, purtroppo.
Tra la scrittura e gli assilli quotidiani si agita una personalità delicata e ribelle, alle prese con l’edizione del suoi versi e le derive della propria esistenza, trascinata in un mondo che rovina nella guerra e nulla riesce a opporre agli scempi della lotta; battaglie e caduti ovunque, ben al di là dei campi calpestati dai soldati.
Si alternano umori in queste lettere «fatte per essere bruciate», e Dino Campana lo sa con estrema chiarezza che niente è da aspettarsi. Questa vita è per macerare la propria carne fino all’osso; chi si illude di sottrarre il corpo al predatore non avrà mai una parola in grado di rappresentare qualcosa.
«Scrivo novelle poetiche e poesie; nessuno mi vuole stampare e io ho bisogno di essere stampato: per provarmi che esisto, per scrivere ancora ho bisogno di essere stampato. Aggiungo che io merito di essere stampato perché io sento che quel poco di poesia che so fare ha una purità di accento che è oggi poco comune da noi. Non sono ambizioso ma penso che dopo essere stato sbattuto per il mondo, dopo essermi fatto lacerare dalla vita, la mia parola che nonostante sale ha il diritto di essere ascoltata»
«Ho verificato che per fare qualche cosa di leggibile bisogna essere bastonati a sangue»
Un’anabasi problematica, quella di Campana. Eppure il suo verso preme dal basso di una terra ingrata e magnifica, esce e si distende al colmo di una bellezza immaginaria tra le più musicali e perfette.
Nell’esercizio o indovinello dell’Arabesco-Olimpia, quasi pittura lirica arrangiata su un coccio, può vedersi la sintesi di un Pan inafferrabile che si avvia a completare la propria parabola, restando tuttavia fedele in ogni momento al ritmo istintivo che la sua interiorità pagana detta al passo.
- Titolo: Io poeta notturno. Lettere
- Autore: Dino Campana
- Curatore: Pasquale Di Palmo
- Direttore responsabile: Fabrizio Zollo
- Edizione: Via del Vento
- Anno: 2007

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