L’Amalassunta
- Autore: Pier Franco Brandimarte
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Giunti
- Anno di pubblicazione: 2015
Quando misticismo e visionarietà si fondono emettono delle scintille di luce, dei barlumi di energia, tanto fragili quanto potenti, che si disperdono nell’aria e sembrano morire all’impatto col suolo. In realtà non è così, perché queste schegge continueranno a vibrare nell’atmosfera senza dissolversi mai del tutto e potrebbero dare vita ad opere come L’Amalassunta (Giunti, 2015, pp. 185), il romanzo nato dal genio di Pier Franco Brandimarte.
“Ho cercato libri, fotografie, quadri, tutto ciò che trovavo. Alcune cose sembrava occupassero un posto preciso, che partecipassero a comporre un significato (...). Anche se questa forma continua a sfuggirmi non posso fare a meno di cercarla”.
La ricerca di Brandimarte, o di Ninì - il protagonista del romanzo - approda a Montevidone, un paesino sperduto nelle Marche segrete della Sibilla, dove nasce e torna, dopo lungo peregrinare, Osvaldo Licini, il pittore dell’Amalassunta, il pittore che parlava alla luna e dipingeva paesaggi dell’anima.
Antonio, detto Ninì, è emotivamente vicino all’ Osvaldo Licini del Bilico, quella composizione di figure geometriche che culmina sempre in un triangolo nero capovolto sul vertice di un triangolo più piccolo e rosso. Perché Licini è l’ombra di una vita in bilico, una vita che sfugge, che non ha lineamenti palpabili eppure c’è, scalpita sotto la nube del silenzio, afferrabile solo con l’udito, con l’olfatto e con il sesto senso.
Antonio scende da Torino per raggiungere Montevidone, lascia la fidanzata, Nina, per avventurarsi in una ricerca in cui non è lui a condurre il gioco, ma è Licini stesso a guidarlo, a trascinarlo, con discrezione, negli anfratti più bui della mente, lì dove risiedono i ricordi di un’esistenza mai vissuta, eppure così vicina, così intimamente propria. La ricostruzione del percorso biografico del pittore marchigiano - dalla nascita, nel 1894, alla morte, nel 1958 - si articola esattamente come in un sogno: nel presente, incerto e instabile, di Antonio, si insinua il racconto degli sprazzi di vita del genio di Montevidone, in un alternarsi di immagini che si incastrano perfettamente tra di loro, pur senza un apparente filo conduttore logico che li guidi.
Licini, nel libro, è un’immagine, un’ombra esile e canuta, che assomiglia ai suoi dipinti: forgiato da uno scultore invisibile che usa i suoi stessi pennelli, anziché marmo, legno e scalpello, Osvaldo appare e scompare. Ma in questa presenza/assenza si avverte il continuo aleggiare della sua impalpabilità, che costruisce l’essenza e la struttura stessa del romanzo.
Dalla giovinezza marchigiana, alle amicizie con Morandi e Vespignani, passando per i soggiorni parigini, la Grande Guerra, l’incontro profetico con Modigliani, Elvira, l’incendio, e poi alla fine Nanny, il matrimonio e la morte, dolce eppur mai quieta, nello stesso anno in cui gli assegnarono il gran premio della Biennale di Venezia per la pittura. L’intensità degli eventi è rievocata da Ninì con la naturalezza di chi quell’uomo l’ha conosciuto davvero, pur non avendolo mai visto, e allo stesso tempo la similitudine che accomuna Licini al protagonista del romanzo, emette un rumore stridulo per tutto il tempo della narrazione. Lo spazio si annulla, il tempo regredisce per avanzare, si dilata e poi si dissolve: il movimento di Ninì è il medesimo dei quadri di Osvaldo, lo stesso che il pittore ricerca affannosamente analizzando le molecole d’aria e osservando la luna dalla sua terrazza di Montevidone. È tutto un ricordo a rallentatore il presente di Antonio: solo il gesto che modifica l’aria è che si trasforma in azione inafferrabile ha senso. Dura un attimo, giusto quel momento in cui un lampo illumina la visuale, giusto il tempo di veder sorgere e poi spegnersi l’Amalassunta, in un turbinio vorticoso di notte e di sogni speziati.
E tuttavia, nascoste tra le crepe del racconto della vita di Licini - perché la vita è una crepa, i cui filamenti di incertezza e imprevedibilità nutrono l’esistenza, concedendo la gioia della sorpresa e della curiosità allo spettatore incredulo - si dipanano vicende che investono i grandi maestri dell’arte pittorica del Novecento, che Licini ha avuto la fortuna di incontrare. È il caso di Amedeo Modigliani, con cui Licini stringerà un rapporto di amicizia nato e cresciuto tra le vie di Parigi, che nei primi decenni del secolo scorso profumava di colori e di entusiasmo, e che diverrà proprio la città in cui il pittore marchigiano potrà apprezzare da vicino le opere del maestro, nel suo studio privato. Mentre Licini crea linee ariose, osserva e studia i movimenti, delinea traiettorie e prospettive tracciabili nel futuro, Modigliani imprigiona busti di donna, dal lungo collo tenue, in una tela contratta, fissa; eppure, entrambi, scavano in profondità, recuperano l’intensità dei tratteggi, accomunati da un malessere salvifico, perché creativo.
È come cadere perennemente nel vuoto, senza infrangersi mai al suolo, proprio come accade a Ninì.
“Perché, mi sono chiesto, non l’avevo fatto prima? Forse per timore che le circostanze reali potessero costringere le mie fantasie, perché volevo attraversare e ricomporre a mio piacimento la vita di un uomo e consideravo ogni dato ulteriore soltanto una vaga approssimazione?”
Questo romanzo non è la biografia di Osvaldo Licini, non è neanche un ricordo, un riavvolgimento della pellicola nel racconto della sua arte pittorica. Questo libro è, invece, una mappa dei sentimenti, riadattati a due vite temporalmente distanti e tuttavia sentimentalmente vicine, quella di Antonio e di Osvaldo. Sono emozioni adagiate tra le colline di Montevidone, le strade strette e poco illuminate dei paesi circostanti, dove la campagna dilagava a perdita d’occhio.
È un libro mistico, visionario, non completamente raggiungibile: gli andirivieni tra presente e passato si costruiscono sulla scia dei quadri di Licini, assomigliano all’inafferrabilità di quella pittura sfuggente, così come inafferrabili sono i pensieri di Antonio.
Due visionari della realtà che ululano all’Amalassunta, a quel mistero di pace apparente, che cela un’inquietudine interiore, un disagio antico, remoto, che non trova sbocchi o vie d’uscita, ma rimane lì, ristagna in un cantuccio dell’anima, dove di tanto in tanto si rasserena e poi, silenziosamente e pure inevitabilmente, torna ad esplodere.
“Se dovessero chiederle chi è Amalassunta, risponda pure, a mio nome, che Amalssunta è la Luna nostra bella, garantita d’argento per l’eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco”.
L'Amalassunta
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Ho letto il romanzo da poco e in alcuni tratti l’ho trovato molto bello e delicato insieme. Con l’intreccio delle storie e dei ricordi in uno spazio a volte sospeso, senza una definizione di giorni ne di ruoli. Il protagonista che gira tra i ricordi e le storie evoca per i lettori alcuni episodi della vita dell’artista, mostrandoli con una poesia leggera ed intensa insieme. Molto inteso il momento in cui ci racconta di Licini nella trincea sotto i bombardamenti e molto bella la sua perlustazione a Parigi nello studio di Modigliani.
Un bel libro da leggere per imparare e sognare.