L’atomo inquieto
- Autore: Mimmo Gangemi
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Solferino Libri
- Anno di pubblicazione: 2022
La sera del 25 marzo 1938, Ettore Majorana – giovane e brillante fisico catanese, appartenente al celebre gruppo dei ragazzi di via Panisperna – partì da Napoli con un piroscafo alla volta di Palermo, dove si fermò per un paio di giorni alloggiando al Grand Hotel Sole. Prima di partire aveva scritto un messaggio al suo collega e amico Carlo Carrelli, docente di fisica sperimentale all’università di Napoli, dove anche Majorana insegnava, in cui comunicava il suo terribile proposito:
Caro Carrelli, ho preso una decisione che era ormai inevitabile. Non vi è in
essa un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti. Anche per questo ti prego di perdonarmi, ma soprattutto per aver deluso tutta la fiducia, la sincera amicizia e la simpatia che mi hai dimostrato in questi mesi. Ti prego anche di ricordarmi a coloro che ho imparato a conoscere e ad apprezzare nel tuo Istituto, particolarmente a Sciuti; dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo.
Più breve, invece, fu il messaggio rivolto ai familiari:
Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi.
Tuttavia, ben presto Majorana sembra pentirsi della sua decisione, e il giorno dopo invia un’altra lettera a Carrelli, anticipata da un telegramma, in cui scrive che il mare lo ha rifiutato e che sarebbe rientrato a Napoli, ma con l’intenzione di rinunciare all’insegnamento.
I propositi suicidi del grande scienziato, sembrano quindi essersi fortunatamente dissipati. Eppure da quel 26 marzo 1938 Majorana scomparve e il suo corpo non fu mai più ritrovato.
Questi sono fatti. È storia. E proprio da qui prende le mosse il romanzo di Mimmo Gangemi, che ricostruisce fedelmente gli ultimi giorni di Majorana (riportando anche le sue lettere) come punto di partenza per ricostruire la sua seconda vita.
Quello della scomparsa di Ettore Majorana è rimasto, da allora, uno dei più grandi e affascinanti misteri italiani; i molti dubbi avanzati sul suo presunto suicidio hanno dato adito a numerosissime congetture, che hanno alimentato una moltitudine di saggi e inchieste giornalistiche.
È plausibile che un suicida annunci la sua morte prima che questa avvenga? Come spiegare il suo ultimo ripensamento? Come è possibile che un uomo che sa nuotare decida di uccidersi per annegamento?
Se è morto, perché il suo corpo non si è mai trovato? Ancora oggi il mistero rimane irrisolto. Tuttavia, possediamo abbastanza indizi per supporre che Ettore Majorana non si sia mai suicidato, ma abbia scelto volontariamente di scomparire.
Con L’atomo inquieto (Solferino, 2022), Mimmo Gangemi ci offre il primo romanzo su Ettore Majorana e sulla sua vita possibile dopo la scomparsa. Infatti, fra l’enorme mole di libri scritti sull’argomento, mai nessuno aveva pensato di scriverci un romanzo. L’operazione fatta da Gangemi risulta quindi molto interessante e originale: egli sceglie alcune delle più convincenti (a suo parere) ipotesi sul caso Majorana e le cuce sapientemente insieme in una narrazione scorrevole e avvincente che segue le sette vite dello scienziato scomparso.
Lo scrittore, quindi, parte da indizi reali e si mantiene fedele alla verità storica di ciò che conosciamo, dando spazio invece all’invenzione romanzesca per mettere insieme quei vuoti impossibili da ricostruire. Quella che ne viene fuori non è certamente la vita reale di Ettore Majorana, ma senza dubbio una vita possibile che dall’Italia ci condurrà in Germania, in Svizzera, in Sud America, attraverso le sette identità che il protagonista assume all’interno del racconto.
Il romanzo (di 311 pagine) si articola in 19 capitoli, in cui il protagonista racconta in prima persona la sua vita. Lo stesso autore ha rivelato che il libro è venuto fuori dopo numerosi tentativi e solo dopo essersi impadronito pienamente del personaggio (attraverso intense letture sul caso). Scegliendo di raccontare la storia in prima persona (è la prima volta che accade nei suoi romanzi),
Gangemi si cala direttamente nel protagonista, divenendo lui stesso Majorana e quindi raccontando un personaggio non necessariamente reale, ma certamente realistico, verosimile, filtrato dall’idea che lo stesso scrittore si è fatto di lui.
La storia segue una narrazione ciclica, si apre e si chiude con Andrés (che solo dopo scopriremo essere una delle tante nuove identità di Majorana), barbone di lingua spagnola in preda all’amnesia sul suo passato, che negli anni ’60 vive in un paesino calabrese sulla riviera del Mar Ionio. Qui, abita all’interno di una baracca, preso di mira dalle violenze e dagli insulti di alcuni ragazzacci del posto, ma fortunatamente assistito da Peppino Cuteri, che invece se l’è preso a cuore.
A partire dal secondo capitolo, la storia torna indietro nel tempo, a quel marzo 1938. Ettore Majorana si trova a Palermo in un’osteria, dopo il fallito tentativo di suicidio. Deve ripartire per Napoli, ma invece sceglie di restare a Palermo.
È proprio da qui che ha inizio la sua avventura.
Majorana cerca di far perdere le sue tracce chiedendo rifugio presso il monastero certosino di Serra San Bruno (VV) in Calabria, dove diventerà Carlo Ferretti. Lo ritroviamo poi in un sanatorio, malato di tubercolosi, con il nome di Martino Sereni, e successivamente in Germania con l’identità svizzera di Karl Weitner. Questo soggiorno tedesco costituisce la parte più significativa della sua seconda vita. Qui lavora accanto a grandi scienziati del calibro di Werner Heisenberg e Otto Hahn al servizio della Germania nazista, che in quegli anni è in gara con gli Stati Uniti per la costruzione
della bomba atomica. I laboratori tedeschi divengono un luogo molto stimolante, in cui però Majorana/Weitner è continuamente assalito da rimorsi e dubbi morali.
“Non sono più sicuro di voler contribuire a un’arma così distruttiva” mi scappa. “Quasi faccio il tifo perché non ci riusciamo”.
Le sue pene vengono però addolcite da Hertha, giovane assistente universitaria fidanzata con un capitano delle SS che fa da attendente ad Adolf Eichmann.
Alla fine della guerra, Majorana, che si trovava al servizio della nazione sconfitta, fugge proprio insieme al famigerato gerarca nazista: con il continuo timore di essere scoperto, si sposta in Svizzera, poi in un sanatorio di Bolzano, e in fine oltrepassa l’oceano insieme ad Eichmann, fino all’Argentina. Dopo aver lasciato la Germania assumerà altri nomi: Andreas Blankenhorn, Andrès Bini, poi solo Andrès.
In Sud America conoscerà un’altra donna, Morena, che amerà e con cui trascorrerà la sua vita in Venezuela prima del suo rientro in Italia.
Dunque, sette vite, sette storie, racchiuse in un unico romanzo e in un unico personaggio. Sulla scorta delle testimonianze reali, quello che emerge è un Majorana continuamente in crisi, un vero e proprio “antieroe”, inetto e inquieto (come lo stesso titolo ci suggerisce).
Sappiamo infatti che lo scienziato catanese fu sempre un uomo schivo, antisociale, disadattato. Era senz’altro un genio naturale (Enrico Fermi lo paragonò a Newton e Galileo), ma egli rifiutò sempre di giocare un ruolo da protagonista, e pur avendo fatto scoperte che poi varranno ad altri il premio Nobel, si rifiutò sempre di pubblicarle.
Tale crisi interiore del personaggio viene resa narrativamente attraverso l’introduzione di un vero e proprio personaggio nel personaggio.
Dentro Majorana infatti, vive quella che egli chiama “la creatura”, una sorta di ‘voce della coscienza’ che dialoga con il protagonista e con cui spesso e volentieri si scontra. Abbiamo quindi uno sdoppiamento dell’io che ci mostra chiaramente il
dissidio interiore vissuto dallo scienziato, che diventa così un vero e proprio personaggio pirandelliano (come già aveva suggerito Leonardo Sciascia nel suo celebre saggio-inchiesta La scomparsa di Majorana).
Sappiamo, per altro, da una testimonianza di Edoardo Amaldi che il giovane scienziato “prediligeva Shakespeare e Pirandello” e più volte, anche all’interno di questo
romanzo, lo vedremo leggere ora La giara, ora Uno, nessuno e centomila, ora Il fu Mattia Pascal.
Che sia stato proprio il protagonista di quest’ultimo romanzo a dargli lo spunto per fingersi morto e cambiare vita? È quello che la vicenda narrata sembra volerci suggerire.
Con questo romanzo storico, insomma, Mimmo Gangemi riporta alla luce una delle figure più enigmatiche del nostro Novecento, scavando a fondo dentro un mistero che forse rimarrà irrisolto, ma raccontandoci allo stesso tempo una versione possibile e avvincente.
Ne viene fuori:
un Majorana insieme fedele alla realtà storica e pienamente contemporaneo, nella tensione estrema tra scienza e morale che percorre la sua vita e nel dilemma tra dovere e libertà che segna anche il nostro tempo.
L'atomo inquieto
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Majorana, innamorato della conoscenza, poi rigettata, termina nella grande pace anonima inseguita a lungo.
E noi oggi, che ne faremo delle micidiali armi atomiche?
Graziella Atzori
Ettore Majorana, nato a Catania da nobile famiglia il 5 agosto 1906, è stato uno dei più eminenti fisici quantistici del XX secolo. Per anni fece parte del gruppo di studenti radunati a Roma intorno a Enrico Fermi, i "ragazzi di via Panisperna". Anticipando altri scienziati, per primo comprese la struttura del nucleo atomico, scoprì il neutrino, antiparticella di se stessa.
Bambino prodigio, ragazzo brillante ma timidissimo, misantropo, rifuggiva dal carrierismo, dalla scalata sociale, rifiutando la pubblicazione dei suoi lavori scientifici. Forse affetto da autismo.
Nel marzo 1938, durante la traversata notturna del piroscafo che da Palermo lo portava a Napoli, fece perdere per sempre le tracce di sé, orchestrando un (apparente?) suicidio, con l’invio di lettere ambigue ai parenti e al prof. Carrelli.
La vicenda misteriosa della sua scomparsa ha dato adito a numerose ipotesi interpretative, in primis quella di Leonardo Sciascia con lo splendido romanzo tinto di giallo "La scomparsa di Majorana", nel quale lo scrittore siciliano opta per il rifugio dello scienziato nella Certosa San Bruno presso i cappuccini in Calabria. Questo perché avrebbe intravisto l’uso distruttivo della bomba atomica, con cui non voleva avere a che fare.
Riprova ad occuparsi della vicenda l’ingegnere romanziere Mimmo Gangemi, con il suo ottimo libro biografico "L’atomo inquieto" (Solferino edizioni, pp. 311, 2022). Gangemi fa parlare Majorana in prima persona, scavando profondamente nella sua anima. Il libro è un continuo dialogo tra lo scienziato e una parte inconscia di sé, chiamata "la creatura", emergente per consigliare e redarguire, quasi una sorta di demone socratico.
L’autore fin dall’inizio pone il protagonista nell’eremo calabrese. Assistiamo alle confidenze del giovane con il priore, un uomo di grande saggezza e complicità, guida spirituale, che afferma:
"Tutti vogliono riconosciuti i meriti, ricavare gloria. E tu, no […] La modestia mi pare una motivazione banale. Ci dev’essere qualcosa di più profondo, che appartiene all’anima. Se lo scopri, sarà uno spunto buono da cui ripartire.”
Ancora il priore:
"Maneggiatela con cautela la scienza. […] Dio ci ha dato i mezzi per capire fin dove possiamo spingerci, qual è il confine, al di là del quale, nell’accostarci a Lui, ci bruciamo le ali.”
Ma in seguito Majorana, sotto mentite spoglie, con lo pseudonimo di un fisico di finta nazionalità svizzera, Kurt Weitner, collabora all’ideazione della bomba “sporca” al plutonio, di cui si appropriarono gli americani completando le ricerche, facendola esplodere a Nagasaki. La bomba sganciata a Hiroshima invece era a base di uranio radioattivo, sempre rubato ai tedeschi sconfitti.
Nessuno dei ricercatori in Germania sapeva del genocidio compiuto contro gli ebrei e del fatto che la bomba venisse sperimentata sugli esseri umani a Tubinga, su prigionieri ebrei e russi. La coscienza di Majorana però non è a posto, Gangemi lo fa dubitare sulla verità degli orrori di cui si sussurrava ma ammettere:
"Quale pazzo si metterebbe d’impegno a trucidare un intero popolo? […] Comunque, o migliaia o milioni, è una tragedia orribile. Di cui in qualche misura ho fatto parte.”
Sono narrate le vicende sudamericane del fuggiasco Majorana-Weitner ricercato dal Mossad e dai russi.
Strazianti le pagine sulla guerra; sui due grandi e tragici amori di Ettore, Ertha tedesca e Morena venezuelana.
Questi finirà col diventare un barbone malato, assistito per carità fino alla morte (1960? ) in un paesino italiano della costa ionica.
"[…] il barbone ha saputo viverlo il suo tempo breve, estraniarsi al mondo, non dargli ascolto, non avvertirne i latrati.”
L’odissea dell’Ulisse-Majorana, innamorato della conoscenza, poi rigettata, termina nella grande pace anonima inseguita a lungo.
E noi oggi, che ne faremo delle micidiali armi atomiche?