La Romania di Ceauşescu e il martirio della Chiesa Greco-Cattolica
- Autore: Vincenzo Mercante
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
L’anima di una nazione è composta dalla sua storia millenaria, depositata nei valori, negli ideali, nei costumi, nella sua arte e nella sua fede. Quando tale patrimonio viene colpito, la ferita è profonda, a volte perfino mortale. La capacità di rinascita e ricostruzione della propria identità poggia, sempre, sulla grandezza dei martiri. Sono essi a indicare il futuro, idealità da realizzare, la libertà da difendere. A valorizzare grandi eroi contribuisce senza dubbio il bellissimo saggio La Romania di Ceauşescu e il martirio della Chiesa Greco-Cattolica (Luglio editore, p. 129, 2020) di Vincenzo Mercante, già professore nei licei triestini, storico, giornalista e scrittore.
La Romania, al pari dell’Italia del resto, nasce come nazione unita e indipendente (a esclusione della Transilvania che resta ancora sotto l’Impero asburgico) soltanto nel diciannovesimo secolo. Il suo primo sovrano è Alexandru Joan Cuza, imposto da Napoleone III. Nel corso dei secoli questa terra era stata sempre sottoposta alle decisioni della politica internazionale e/o degli stati limitrofi. Nell’VIII e IX secolo aveva subito la dominazione bulgara; risale a questo periodo la diffusione del cristianesimo di rito greco. Tanto antiche sono quindi le radici cristiane. Le guerre contro gli Ottomani e il loro potere in questa vasta regione sono una caratteristica nel tempo, come lo sono le ingerenze russe. Nel 1866 le potenze europee pongono al potere Carlo di Hohenzollern, nipote del re di Prussia, che concede la Costituzione. Alla fine della Prima Guerra mondiale nasce la Grande Romania, comprendente tutti i principati, inclusa la Transilvania. Nel 1940 il generale filonazista Antonescu prende il potere, coinvolge la nazione nella terribile invasione russa accanto all’Italia e alla Germania.
Il crollo della follia del Führer pone il Paese sotto l’influenza sovietica:
‹Impadronitosi del potere nel 1945, il Fronte Nazionale Democratico impose lo scioglimento dei partiti, l’esilio di re Michele nel 1947, la proclamazione della Repubblica popolare, la nazionalizzazione delle imprese, la collettivizzazione dell’agricoltura›.
Il termine "popolare" significa sempre dittatura del Partito unico. Nel 1949 la Repubblica entra nel Comecon e fa parte del Patto di Varsavia. Iniziano le persecuzioni, particolarmente virulente contro i Tedeschi etnici, stanziati nel territorio fin dal XIII secolo. Essi vengono deportati nelle miniere di carbone di Donbas su carri bestiame, la cifra è di 70.000 persone. 20.000 muoiono di fatica e denutrizione. Dalla regione del Banato, verso i territori più a oriente vengono trasferiti 45.000 contadini espropriati. Nel 1947 inizia la serie di arresti di intellettuali, insegnanti ed ex dirigenti politici. Vengono creati campi di lavoro forzato simili ai gulag sovietici. Alcune prigioni restano tragicamente famose: Sighet, Gherla, Piteşti, Aiud. Questi, in sintesi, gli antefatti.
Il panorama della dittatura Ceauşescu, dal 1967 al 1989, è tragico e desolante. Si è trattato di un nepotismo comunista. Il leader e sua moglie possedevano 40 palazzi, mentre il popolo moriva letteralmente di fame. Le derrate alimentari erano destinate all’esportazione per sanare un debito estero colossale; il cibo frazionato si accompagnava alla tortura del freddo, il riscaldamento era imposto a non oltre 13 gradi; i bambini venivano abbandonati nei tombini. Il debito era stato creato per abbattere 8000 villaggi e costruire palazzi faraonici di regime, con il sogno megalomane
‹Bucarest deve gareggiare con Parigi e Vienna›.
La minoranza ungherese viene perseguitata e deportata.
Il 21 dicembre 1989, 80.000 persone scendono in piazza a Bucarest, radunate dal regime per celebrare il dittatore, ma avviene l’opposto: la ribellione di massa, appoggiata dall’esercito, costringe la coppia alla fuga. Catturati, Ceauşescu e la moglie vengono fucilati il 22 dicembre, dopo un processo sommario. Avevano goduto di un ‹dispotismo gretto e festaiolo›.
Il martirio dei sacerdoti e dei fedeli greco-cattolici è stato il più terribile toccato in sorte ai cristiani. Probabilmente perché la "chiesa uniata" greco cattolica - uniata dal vocabolo slavo unija, unita a Roma - non era autocefala come la ortodossa, cioè non si reggeva autonomamente, ma dipendeva dal Vaticano. Quest’ultimo era visto come potenza da combattere. Gli uniati risiedevano in prevalenza in Transilvania e non avevano l’obbligo del celibato.
Le persecuzioni sono state atroci per tutti. Nelle carceri e nei campi di lavoro forzato durante tutto il regime, passarono 3 milioni di rumeni, dei quali morirono in 800.000. Le torture subite dai cristiani fanno ribrezzo. Ai giovani seminaristi veniva tenuta la testa immersa in un secchio colmo di urina ed escrementi per mimare il sacramento del battesimo. Nel programma di rieducazione la tortura era d’obbligo; i torturati nei modi più raccapriccianti (compreso l’obbligo di urinarsi in bocca, le sodomizzazioni, la coprofagia) dovevano condividere la cella con i torturatori in modo che il terrore fosse totale. Mercante segnala il libro di Renzo Paternoster: ‹L’esperimento carcerario di Piteşti: quando si voleva rieducare anche l’anima›, rintracciabile in internet nel sito win.net num. 171 art. 5.
Nel carcere di Piteşti le torture, dirette dal boia Eugen Turcanu, già filonazista, poi comunista, comportavano la "rieducazione", con la perdita totale della propria psiche e dell’individualità.
La polizia Securitate teneva in scacco la popolazione. Chi veniva prelevato da casa, sempre in base a delazioni estorte con tortura, non sapeva se sarebbe tornato.
I nomi dei vescovi e cardinali martiri devono essere ricordati come emblema di una moltitudine: Iuliu Hossu, Anton Durcovici morti in carcere. Áron Màrton, padre Alexandru Todea, Vladimir Ghika, padre Clemente Gatti. A questi si aggiunge il luterano Richard Wurmbrand.
Il libro è ricchissimo di dati e testimonianze, alcune estremamente toccanti, riguardanti il perdono concesso dai sacerdoti, in nome di Gesù, ai torturatori che lo chiedevano, assaliti dai rimorsi. Una dichiarazione è del vescovo Hossu:
‹Per nessun motivo diverremo traditori e per nessun motivo abbandoneremo la fede di nostra madre Roma. Se ci fosse anche chiesta la vita, ebbene daremo la vita per la fede›.
Sapeva a cosa sarebbe andato incontro. Questa è la vittoria dell’anima nei secoli dei secoli. È la salvezza dell’Occidente, che in queste figure trova e troverà sempre rigenerazione.
La repressione disumana ebbe fine nel 1964.
Come esito felice, il prof. Mercante racconta la cronaca sacra della messa in Val di Non in Trentino, celebrata nel settembre del 2003 dal prete uniato canonicamente sposato don Raymond Mercieca, maltese, nella chiesa del Ritrovamento della Santa Croce in Coredo, alla presenza di villeggianti e un gran numero di Rumeni. Festa del cuore pacificato; umanità immersa nella natura, nel periodo della raccolta delle mele.
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