La teoria della Carruba. Con brevi cenni a come non ho imparato a cucinare
- Autore: Antonietta Di Vito
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2021
Come scrive in questo suo libro in parte autobiografico, alle feste e alle fiere di paese Antonietta Di Vito amava comprare le carrube, già pronte nelle bustine di plastica trasparente sul bancone tra le noccioline e i lupini. Il ricordo di quando, da bambina, attendeva i giorni di festa per assaporare quel gusto dolce, quasi fosse cacao, sarà l’avvenimento, la petite madeleine, con cui ci introdurrà nella sua vita, nei ricordi del suo passato. La teoria della carruba. Con brevi cenni a come non ho imparato a cucinare (La Bussola Editore, 2021), curato dalla redazione di Scrittura a tutto tondo, è l’ultimo lavoro di Antonietta Di Vito, etno-antropologa, autrice di diversi saggi e studiosa nel campo della ricerca sociale e della formazione.
Un bellissimo memoir, i cui racconti sembrano avere, riproposti oggi, un valore letterario considerevole. Le vicende che hanno segnato l’esistenza di una persona spesso possono essere simili, e l’autrice narra del suo passato, per alcuni aspetti quotidiani non diverso dal mio. La lettura del suo libro mi ha emozionata, facendomi rivivere nelle sue pagine alcuni avvenimenti della mia vita.
La sua storia ha inizio in una cucina con un grande camino, nella casa del nonno, contadino e pastore. Attaccato alla catena del camino si trovava il grosso paiolo, in cui si cuoceva la pasta per una grande famiglia; c’erano poi la stanza del forno, dove veniva preparato il pane, e la grande cantina, ricavata dalla pietra, che durante la guerra divenne rifugio per molti.
“Ho trascorso la mia infanzia in grandi case, popolate e vivaci. Nella casa del grande camino ogni stanza aveva un nome, ed ogni nome una storia... ho trascorso molto tempo accanto a quel camino negli inverni che allora erano lunghi e freddi e la neve cadeva alta...”
Tanti ricordi sono narrati, alcuni legati all’infanzia e altri all’adolescenza: il tempo dell’attesa della Befana, quando i doni arrivavano con lei, dalla vecchia donna sulla scopa; il televisore in bianco e nero che veniva acceso con l’immagine del monoscopio fisso in attesa di un programma; e il venditore ambulante che le mamme attendevano fuori dell’uscio con tutto ciò che serviva per il corredo di una figlia.
Antonietta Di Vito racconta di essere stata una delle prime bambine, a scuola, a mettere gli occhiali, e di quando si giocava per strada a nascondino, alla campana, a un due tre stella, “sapersi fermare, sapere quando fermarsi, saper stare in equilibrio”. Di quando a scuola si tornava il primo ottobre e si andava con il grembiule e con il fiocco; dei quaderni che venivano riempiti dalle cornicette colorate e di quando in classe arrivavano i compagni dalla campagna con addosso l’odore del lavoro nelle stalle, della terra. Visi di bambini segnati dal freddo, dal vento e dalla stanchezza di essersi alzati al mattino presto. Si mangiava per merenda pane e zucchero, pane e olio.
“Quella luce che entrava al mattino dal balcone della stanza in cui dormivo l’ho cercata e trovata molte volte, luminosa e amichevole, promettente e carezzevole, a riempirmi gli occhi, cullandomi in quel tempo così vividamente presente di speranze, progetti. Ogni volta, ero me stessa ed al tempo stesso ero un’altra me, ma ero proprio io, un mio Io ritrovato. Volevo tornar ad essere quella me stessa ritrovata."
Era una vita, dopo un dopoguerra drammatico, che si svolgeva tra sapienza e lentezza, nell’attesa di un consenso che maturava con il tempo giusto. E nel mentre alcuni dei compagni alla fine della scuola emigravano, raggiungendo i genitori da anni già lontani in Germania, Australia, Venezuela, Antonietta cresceva e dai romanzi di Verga era passata alla lettura di Siddharta e alle langhe di Pavese. E poi le uscite pomeridiane con le amiche, durante le quali si raccontava dei libri di Emily Dickinson, Camus, e le ore trascorse nella biblioteca del paese.
E il ricordo del cibo, quello preparato dalle donne di casa, “che tra le esperienze sensoriali è forse la sola che permette di rievocare il tempo che è stato”. Quando un libro è ben scritto induce con la sua voce ai ricordi, e le parole della nostra autrice evocano il nostro passato: dal telegiornale trasmesso all’ora di pranzo, a Discoring la domenica, ma anche alle Brigate Rosse, al sequestro Moro, fino alla pandemia, quest’ultimo nostro periodo così doloroso. La scrittura del sé, con la sua voce narrante coinvolge ed emoziona il lettore nell’andare indietro nel tempo, nel percorso di vita di Antonietta, che diviene comune; pagine di un diario straordinariamente intenso di tradizioni, memorie e mutamenti, che rispondono non solo al bisogno di sopravvivenza al di là della memoria, ma anche alle nostre storie individuali intessute di legami affettivi e familiari, negli stessi contesti culturali, con gli stessi vincoli e le opportunità del tempo. Consigliato!
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La teoria della Carruba. Con brevi cenni a come non ho imparato a cucinare
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