La cinese di Maputo
- Autore: Nathan Levi
- Genere: Letteratura di viaggio
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2014
Nathan Levi presenta La cinese di Maputo, il suo romanzo edito da Tresogni ad ottobre del 2014.
- Ci racconti innanzitutto qualcosa di Lei.
Sono nato a Tel Aviv nel 1945 da genitori triestini. Ho vissuto 7 anni a Gerusalemme; nel 1957 ho seguito la famiglia a Trieste dove risiedo tuttora.
Specialista in Pediatria, ho lavorato prima all’Ospedale Burlo Garofolo di Trieste, poi come pediatra di famiglia.
Nel periodo 1985-88, ho prestato servizio all’Ospedale Centrale di Maputo, in Mozambico, come pediatra per poi coordinare un ampio progetto di cooperazione materno-infantile.
A Shanghai ho appreso la Medicina Tradizionale Cinese che mi ha portato a esercitare l’agopuntura.
Nel 1994 ho fondato assieme ad altri la Scuola di Fitoterapia Medica e dal 2002 insegno Fitoterapia e stress ossidativo come docente a contratto all’Università di Trieste.
- Qual è la trama de "La cinese di Maputo"?
Ariel è un pediatra, cooperante triestino a Maputo, capitale del Mozambico. Siamo nel 1985, pochi anni dopo l’indipendenza del Paese dal colonialismo portoghese.
Il contatto con la guerra, la miseria e la malattia, ma anche con la cordialità dei mozambicani e il sorriso raggiante dei loro bambini, diventa stimolo alla sua rinascita interiore e alla ricerca di pace e saggezza da cui gli uomini e le loro divinità gli sembrano così lontani.
Ne consegue un viaggio interiore tra amori passati e presenti, ricerca dell’infanzia nel paese in cui è nato, Israele - la sua prima delusione d’amore - fino alla fascinazione nella saggezza orientale a cui giunge attraverso l’amore per Suyen, una misteriosa cinese incontrata a Maputo e poi a lungo ricercata.
- Il romanzo è quindi autobiografico?
Senza un’esperienza diretta, una vita vissuta, questo romanzo non sarebbe mai stato neanche pensato. Per essere più precisi, tutti i luoghi descritti appartengono alla mia esperienza: il Mozambico, Israele e altrove. In fondo, sono state tutte esperienze intense e i luoghi in cui si sono svolte sono descritti con fedeltà quasi giornalistica.
Autobiografici sono anche certi fatti, prevalentemente quelli legati alla mia attività di pediatra. Ariel, il personaggio principale del romanzo è un pediatra, lavora all’Ospedale Centrale di Maputo come feci io stesso come cooperante negli anni ’80, a pochi anni dall’indipendenza del Mozambico dopo 500 anni di colonialismo portoghese. Gli splendidi bambini, la pazienza delle madri e l’abnegazione dei colleghi mozambicani sono stati trasferiti in queste pagine con riconoscenza ed amore.
Un capitolo descrive un viaggio di Ariel in Israele. Luoghi e sentimenti sono autobiografici perché io lì sono nato e vi ho vissuto fino all’età di 12 anni, guarda caso come lo stesso Ariel.
Infine un altro elemento autobiografico: quello riguardante il mondo interiore del personaggio principale. Ariel è un sognatore, ma anche un deluso del proprio paese natio e, in generale, degli uomini. Non è un credente e se la prende col Dio in cui tanti confidano per la sua apparente indifferenza verso la sofferenza che abbonda nel mondo.
Tuttavia non rinuncia, ma ricerca dei valori, una qualche forma di sacralità che dia un senso alla vita ed alla morte. Gli sembra di trovarla lontano, nell’antico pensiero orientale, buddista e taoista. Tutti questi elementi appartengono all’autore e quindi si possono considerare autobiografia interiore.
Ma il libro non sarebbe un romanzo se non contenesse abbondanti elementi di fantasia. Questi sono rappresentati soprattutto dagli intrecci amorosi, come spesso ricami tra vissuto e sognato, e dal percorso concreto della ricerca spirituale, legato ad una figura femminile, la cinese di Maputo, che in me, autore, è rimasto solo allo stato embrionale, un interesse culturale e filosofico, un abbozzo di credo, un moto dell’animo.
Forse esula dalla domanda, ma mi ha colpito quando un amico ha osservato che le tre figure femminili che animano il romanzo non sono altro che tre aspetti della mia personalità. Mentre scrivevo di loro, me ne rendevo conto, mi era chiaro che davo vita a tre donne molto diverse una dall’altra e che questa diversità rispecchiava elementi della mia evoluzione emotiva ed intellettuale. Pensavo che fosse chiaro solo a me.
- Perché l’ha scritto?
Fin da piccolo mi piaceva scrivere. Diari, giorno per giorno, anno per anno. Mi sono portato dietro il sogno di un romanzo per una vita. Un altro è già quasi pronto in cassetto.
Anni fa ho deciso di realizzarlo, prima ancora di scegliere il soggetto. Ho scritto poche pagine di prova riguardanti un amore giovanile, e mi è sembrato di esserne in grado. Poi, l’idea di raccontarmi, con al centro l’esperienza africana…
- Come è riuscito a farselo pubblicare?
E’ stato un percorso lungo e faticoso. Ci è voluta tutta la mia testardaggine e la mia fiducia nell’interesse del mio racconto.
Ci sono gli editori grandi, quasi inaccessibili per chi non sia conosciuto, sia al suo primo romanzo e non sia fortemente ‘raccomandato’. Non rischiano. Ci sono molti editori piccoli, la maggior parte dei quali ti pubblica qualsiasi cosa, basta che sia tu a pagarne il costo. Poi, ottenuto il ricavo, non se ne interessano più.
Io ambivo a trovare un editore a cui il mio romanzo piacesse e che vi scommettesse, impegnandosi di tasca propria, com’è giusto che sia. Altrimenti, che soddisfazione può ricavarne lo scrittore? L’ho trovato a Ferrara. L’editore Tresogni è uno di quei pochi che amano veramente il libro, vogliono fare gli editori e non i tipografi a pagamento.
- Cosa intende quando parla della delusione nel suo paese natale?
Israele da decenni pratica un apartheid verso i palestinesi che vi vivono. Peggio, sta prevalendo la componente integralista e ultranazionalista nella popolazione e nella classe dirigente. E’ evidente che non c’è alcun desiderio di pace, ma al contrario, la tendenza a realizzare il sogno del Grande Israele, a scapito delle legittime aspirazioni dei palestinesi. Questi sono stati ghettizzati così come per millenni lo sono stati i loro oppressori di oggi. Basti pensare al muro… e agli insediamenti israeliani che stanno occupando sempre più quello che dovrebbe diventare lo Stato della Palestina. Questa è la realtà di oggi.
La mia infanzia e adolescenza era ancora permeata dai racconti dell’Olocausto. Un giovane ha bisogno assoluto di credere nella vita e nei propri simili. Io non potevo farlo con alle spalle quei terribili eventi. Mi sono quindi inventato una medicina: che l’Olocausto fosse servito per far nascere un paese giusto, che irradiasse amore e fratellanza verso tutti, che fosse d’esempio al mondo. Ricordo che a 10 anni ne ero proprio convinto.
La storia del mio paese natio mi ha strappato da questa illusione. Mi ha ferito. Mi sono sentito tradito. E’ stata una grande delusione. Una vera e propria perdita d’amore, che mi ha segnato. Solo da adulto ho capito che Israele è un paese qualsiasi, e che ero io che mi ero costruito una fantasia per difendere la mia giovinezza.
- Cosa l’attrae nel pensiero orientale?
Mi affascina innanzitutto Il pensiero unitario di Taoismo e Buddismo. Ogni cosa, vivente o inanimata, è legata e interdipendente. Non c’è il giorno senza la notte, l’alto senza il basso, il buono senza il cattivo, l’anima senza il corpo, la vita senza la morte. Questo in netto contrasto con la dicotomia, le contrapposizioni della nostra cultura, delle nostre religioni. Questo vale anche per la differenza tra sacro e profano. Nella realtà, non esiste.
Mi attrae la visione non antropocentrica del pensiero orientale. L’uomo è solo una parte della natura. Non ne è al centro, dove lo colloca invece le nostre religioni. Ritengo che sia logico così, non basta qualche neurone in più per metterci sul trono di un regno assoluto.
Mi piace la ricerca della pace radicata nel buddismo. Della pace interiore di ciascuno di noi come premessa per realizzare la pace fra gli uomini. Comprendo che è un’utopia, ma non vedo alternative.
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E bravo il dott. Levi, che mi ha fatto perdere il senso della realtà immersa nella lettura di questo bel romanzo :) dove tra le altre cose parla di una cosa a me molto cara, la cosiddetta "sacralità laica", immanente, centrata sui concetti di unità nel cambiamento. Nessuno che dall’alto ci controlli, dispensi e consoli, punisca e perdoni (cito dal testo), quindi nessuna delega e deresponsabilizzazione... la ricerca della pace interiore e una serena e profonda accettazione della condizione umana, come premessa per realizzare la pace tra gli uomini, una bella sfida ma non vi sono vere alternative. Condivido, approvo, sono con Lei!!! :) Grazie per questa bella condivisione e ancora complimenti! <3
Mi sono avvicinata con affetto, ma anche con "imparzialità", alla lettura del libro; a mano a mano, la figura del protagonista perdeva le sembianze di Nathan (inevitabile associazione iniziale) per prendere quelle di Ariel, e trasportarmi con avidità nel suo mondo, nella sua ricerca dell’amore, l’amore per il suo lavoro, l’amore per le sue origini, l’amore per una donna ... la ricerca dell’amore, che porta infine alla ricerca di se stesso: una fine, che rappresenta un nuovo inizio... Io lo vedo così e mi è piaciuto tantissimo.
Se è vero che l’autore ha avuto bisogno di "Tresogni" per "partorire" un sogno, è pur vero che anche grazie al romanzo del pediatra e all’intuito del giovane editore, la Casa Editrice continuerà a crescere. E questo è già un commento al libro. L’ho letto e lo sto rileggendo da un letto d’ospedale. Mi è sembrato a volte di avere fra le mani " La città della gioia" di Dominique Lapierre dove Max Loeb, giovane medico statunitense, svolge in India, per un anno, la stessa missione che compie Ariel in Mozambico e come lui, si accorge che "c’è più amore nel tocco di quella carne marcia che in tutti gli amplessi del mondo". E questo è già un commento al libro. Sono certo che Levi è stato ispirato per eseguire il suo servizio, con tutto il suo cuore e con tutto il suo spirito, a dimostrare "che l’uomo, questo piccolo essere insignificante, può portare grande gioia al più Grande dei Grandi”. Il romanzo mi distrae e mi accompagna per mano nei suoi viaggi, in luoghi a me sconosciuti tra tanta sofferenza "vera", ma anche tanta gioia e mi riporta a Gerusalemme, dove sono nato e dove sono tornato dieci anni fa a cercare anch’io frammenti d’infanzia, schegge di memoria. E tutto questo è già un commento al libro. Lo consiglierò quindi ai miei amici. Io l’ho trovato un bel lavoro, meditato scritto bene, coerente e, anche se non sempre sono d’accordo con le sue idee, è pur sempre un ottimo strumento di comprensione, di valutazione e di approfondimento. Un testo illuminante, un utile regalo quindi, per Natale o Hanukkà, le feste delle luci, il cui scopo risiede nell’Illuminazione interiore, il passaggio dell’uomo dal buio alla luce, uno degli scopi del libro, appunto. Un bravo all’autore e complimenti anche all’editore.
Il finale del suo libro apre le porte oltre alla curiosità, alle domande che la misteriosa e affascinante vita ci pone trovandone risposta solo dopo le nostre esperienze e solo dopo i viaggi interiori della nostra anima così come lo fanno i libri che scegliamo di leggere... Ho deciso di iniziare e finire il suo libro perché la strada che mi ha condotto ad esso si chiama "LA MIA AFRICA", strada lunga e piena di significato poiché attraverso i miei bambini africani, attraverso i miei amici immigrati sbarcati in Sicilia, attraverso le loro storie, la loro cultura, la loro sensibilità , il loro colore, il loro odore, il loro amore capisco quale significato abbia preso la mia vita e quali progetti futuri ne verranno nel mio viaggio... Caro autore, è chiaro che tra me e lei c’è di mezzo L’Africa, ma tra l’Africa e noi scorre un amore incondizionato per la cura delle nostre anime. Trovo il suo libro semplice ma ricco d’amore, l’amore smisurato per il suo lavoro, l’amore per i bambini, l’amore per l’Africa nera, terra di speranza e vita vera, l’amore per una donna non italiana e lo sottolineo poiché al giorno d’oggi c’è chi crede fortemente che sia impossibile rispettare chi non appartiene alla nostra cultura usando fortemente pregiudizi senza conoscere le storie di altri popoli, vedendone invece solo il pericolo... I messaggi che il suo libro contiene sono molteplici e lo consiglio a chi ha voglia di scoprire le esperienze d un uomo nato a Tel Aviv e diventato amico del mondo. Grido all’unica razza di questo pianeta e mi riferisco a quella umana di vedere che il mondo appartiene ad ogni uomo e che tutti meritano rispetto e speranza nella propria vita.
Il romanzo ti prende ti tocca ci pensi ti immedesimi, ti schieri. E tante situazioni sono forti, importanti.
Il libro l’ho letto due volte.
La prima il giorno stesso della presentazione.... ero troppo curiosa...
La seconda volta mi sono gustata tutte le sfumature delle emozioni che questo libro racconta, prendendoti per mano e portandoti lontano.
Non sono sicuramente brava a scrivere recensioni ma so che quando un libro ti cattura e ti porta in mondi lontani, facendoti sentire il caldo del sole, facendoti immaginare i profumi dei posti, facendoti sentire le emozioni dei protagonisti è un libro che terrai sempre con te, di quelli che non darai mai via e che regalerai a chi vuoi bene.
Non ci ho messo molto tempo a leggere il romanzo, ma anche a confermare l’idea originaria che il dottor Levi fosse una persona molto coraggiosa ad esprimere taluni concetti che è difficile sentire nei mezzi di informazione di massa, e in particolare sui giornali ed in televisione. Il riferimento è alle dichiarazioni (per altro da me condivise) espresse in maniera tanto leggera quanto incisiva nel romanzo, sul problema del Medio Oriente, e sulla questione israelo-palestinese, e su come sia successo che quelli che per secoli ed anche per millenni sono stati oppressi, possano poi diventare degli oppressori di altri popoli. Mai concetti così veri sono stati espressi in maniera così chiara. E queste riflessioni, a mio giudizio, acquistano una forza ancora maggiore, se si considera che sono pronunciate da un autore di origine ebraiche.
Quanto al romanzo, la definizione di ’Romanzo di viaggio e di ricerca interiore’, come si legge nel sito, penso che renda perfettamente l’idea di cosa si trova tra le mani il lettore, con una narrazione che spinge ad andare avanti senza interruzione fino alla fine, nel tentativo di seguire ed inseguire i personaggi nei continui spostamenti da un punto all’altro del mondo, con cambiamenti repentini dei contesti in cui si svolgono i fatti narrati, con inaspettati colpi di scena che tengono il lettore sempre in attesa di qualche evento, e gestiti molto bene dal punto di vista narrativo.
Libro di viaggio senz’altro, ma anche strumento attraverso cui vengono veicolati messaggi profondi, e in questo caso si tratta di messaggi che chiamano in causa la storia, la politica, la filosofia. Ed il tutto avviene con una semplicità estrema che rende piacevole la lettura e persino la rilettura di gran parte del romanzo. Un plauso anche all’editore (Tresogni, di Ferrara) che ci ha creduto ed ha investito in questo romanzo. Ce ne vorrebbero di più in Italia come lui.
Ho letto con grande curiosità La cinese di Maputo di Nathan Levi e la cosa che mi è dispiaciuta di più è che sia già finito. Scritto benissimo, descrizioni e paragoni che mi hanno fatta sentire partecioe alla storia, mi sembrava di essere ritornata in Africa, di risentirne gli odori e di rivederne i colori. È un romanzo che mi ha coinvolta dalla prima pagina all’ultima e il finale mi fa sperare che la storia possa proseguire.
Veramente un bel romanzo che consiglierei a tutti.
Ho letto un bel libro! Belli gli scenari del viaggio, in Africa, occidente, Israele… Ariel coinvolge nella sua ricerca di un ‘sé’ attraverso le figure femminili del romanzo, ispiratrici, madri, o "’senza nome’, colte nell’immediatezza del loro ‘essere’. O almeno, così mi è sembrato.
E’un libro bellissimo,che ho finito di leggere,pochi giorni fa e l’ho apprezzato moltissimo.Scorrevole e scritto molto bene.Un libro,che quando hai finito di leggerlo,ti lascia "qualcosa" dentro!
Finalmente l’ho finito e posso dire che è veramente splendido. Il libro è molto scorrevole e si ‘divora’ in pochi giorni perché, almeno per me, prende subito! Ho trovato in tutto il libro l’incoraggiamento a non arrendersi mai davanti alle difficoltà. Le descrizioni, le emozioni traspaiono tutte quante, descritte al dettaglio fanno si che la persona si immerga nel racconto e si ritrovi davanti a quei colori descritti in maniera reale!
L’ ultima parte l’ ho letta con il cuore in gola, semplicemente fantastica!
Lo consiglio vivamente a tutti!
Grazie
Ringrazio l’autore per le molte emozioni che ha suscitato in me il suo romanzo. Fluido, fotografico, intrigante, provocatorio e accusatorio, drammatico e liberatorio. Un pugno allo stomaco con lacrime..., interesse per quel che prova un uomo verso "la donna". Come mi è piaciuto rivedermi quando, ritornando dopo molti anni alla casa dove ho passato adolescenza e giovinezza, vedendo il cambiamento già dell’ambiente circostante non rimasi più di un minuto, come Ariel voleva fare a Gerusalemme.
Con piacere posso dire di aver letto un libro che ti emoziona e ti prende fin dalla prima pagina, che non vedi l’ora di riprendere la lettura dal punto in cui lo hai lasciato. La descrizione dei luoghi cosi meticolosa da la sensazione di percepirne quasi gli odori, i profumi ei coloro di quei luoghi. La passione verso due donne cosi diverse, l’amore per il suo lavoro e rivivere i luoghi della sua infanzia lo rendono davvero un buon libro.