La distruzione del Paradiso
- Autore: Pierre Dalla Vigna
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
Decenni fa, il 12 ottobre di ogni anno scolastico si celebrava con enfasi la scoperta dell’America e lo scopritore Cristoforo Colombo da Genova, vanto dell’Italia di santi, poeti e navigatori. Ma l’esploratore, il visionario, il grande ammiraglio non ha scoperto il nuovo continente, afferma il prof. Pierre Dalla Vigna, autore di un saggio breve, ma intrigante per i contenuti eretici per il grande pubblico. La distruzione del Paradiso è apparso nelle librerie a gennaio 2020, per i tipi della casa editrice Meltemi, con le sue tesi che incuriosiranno i lettori, anche quelli non ferrati in materia storica.
Il libricino è articolato in due parti: Incontri occasionali sull’orlo dell’apocalisse e Il ruolo della falsa coscienza e della coscienza falsa nella scoperta dell’America. Sono il nucleo iniziale (un "petit morceaux", scrive l’autore) di un’opera più ampia che conta di dare alla luce in futuro. Intanto, i due contributi del docente di estetica dell’Università dell’Insubria (Como-Varese) sono apparsi in versioni più stringate in volumi collettivi nel 2019.
L’interesse di questo studio colombiano ha poi suggerito di ampliarli, in questo volumetto della collana Meltemi Linee, pubblicato con il contributo del Dipartimento di scienze umane dell’Ateneo dell’Insubria, col sottotitolo: "Meraviglia, orrore e genocidio nella conquista europea delle Americhe".
Sicché, Colombo non è stato il primo non nativo a mettere piede nel nuovo mondo. Non è stato il Neil Armstrong del XV secolo. Altri, molti altri avevano già toccato le coste atlantiche della futura America.
Questo non toglie importanza, ma primogenitura al suo sbarco il 12 ottobre 1492 sull’isola caraibica di San Salvador, nelle Bahamas, dopo settanta giorni di navigazione, di cui 34 in mare aperto, al comando di novanta uomini su tre caravelle salpate da Palos, in Andalusia. Quello che il docente sottolinea (ed è a conoscenza solo degli specialisti di storia delle esplorazioni) è che l’evento si iscrive in una commedia secolare di “inganni, fraintendimenti e falsificazioni”, a cominciare dal nome dato ai nativi: indios, abitanti delle Indie, indiani, così chiamati ancora da noi attraverso l’epopea della mitica conquista del West dei pionieri.
Se l’America non è stata scoperta da Colombo nessuno è però in grado di fare il nome di chi l’abbia scoperta per primo. È un’impresa che va attribuita collettivamente all’umanità, perché realizzata probabilmente dalle tribù nomadi di popoli nordici asiatici, che attraversarono lo stretto di Bering nell’ultima glaciazione. Buoni camminatori resistenti al gelo, quindi, non dei navigatori come saranno invece, sempre in epoca precolombiana, Erik il Rosso, il figlio Leif Ericsson e i vichinghi della Groenlandia, che certamente toccarono l’isola di Terranova, pur senza comprendere d’essere approdati in un nuovo continente.
Gli europei del medioevo s’interessavano poco di quella gente rude e nordicisissima d’Islanda e Ultima Thule, a parte il commercio di pellicce e zanne di tricheco non avevano contatti di rilievo. Ma qualche storico cita un non meglio precisato genovese, che intorno al 1477 prese terra a Reykjavik da Bristol. L’ipotesi è che potrebbe trattarsi del giovane Cristoforo, che avrebbe avuto così notizia delle saghe vichinghe sulle esplorazioni di Erik e della presenza di grandi isole a Occidente: Helland (terra rocciosa) e Maekland (terra dei boschi), tra la Groenlandia (terra verde) e la misteriosa Vinland (terra del vino).
È chiaro che non gode della simpatia del prof. Dalla Vigna questo genovese dalle “mille promesse, mille volti, mille nomi” (Cristoforo, Cristovam, Cristovao, Cristobal... Colombo, Colomo, Colom). Lo considera l’“archetipo dello scopritore a sua insaputa e dell’imbroglione fantasioso”, allontanandosi dalla vulgata eroica, ad esempio quella di Paolo Emilio Taviani (1912-2001), politico, storico e grande biografo colombiano nella seconda metà del Novecento.
“Scaltro genovese senza patria né patriottismo, grande navigatore ma soprattutto maestro di sofismi e favole”, Dalla Vigna gli contesta finanche di avere combattuto al servizio del Portogallo una battaglia navale a Capo San Vicente contro una flotta castigliana appoggiata da navi della sua Repubblica marinara. La fonte è lo storico Salvador de Madariaga (1886-1978).
Non gli risparmia critiche nemmeno sull’approccio coi nativi. Il suo non gli sembra un incontro, ma un impatto, al pari di un rostro delle triremi romane che scardinava il fasciame dei battelli avversari. Non un dialogo con gli indigeni, ma un monologo degli spagnoli. L’ingenuità, la timidezza, la buona attitudine dei Taino di Hispagnola (Haiti) venne scambiata per debolezza e disponibilità supina a sottomettersi al re di Spagna e accettare la religione cristiana.
Quanto al territorio e alle nuove scoperte, quello che ricorre nelle prime corrispondenze di Colombo dal Nuovo Mondo è la meraviglia. Non quella culturale per le straordinarie novità, ma quella materiale per la quantità di oro e ricchezze disponibili in gran copia.
In nessun modo poteva mai contare il punto di vista delle popolazioni locali. Lo stesso atteggiamento prepotente ed esclusivista ricorrerà in tutti gli esploratori europei successivi e toccherà il massimo del cinismo genocida con i Conquistadores. Al cospetto delle armi primitive degli indigeni, le lame faranno strage, come l’imperversare di microrganismi letali sconosciuti in quelle terre, a cominciare dal vaiolo. Ma quei condottieri erano se non altro a capo di spedizioni dichiaratamente militari e da loro non ci si poteva aspettare clemenza, tolleranza umana e curiosità intellettuale. Seguiranno secoli di razzismo. Senza freni.
La distruzione del paradiso. Meraviglia, orrore e genocidio nella conquista europea delle Americhe
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