La flotta fantasma. Decine di costose corazzate, nessuna nave a fondo
- Autore: Carlo De Risio
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
Due conflitti mondiali, oltre a un anno di belligeranza contro la Turchia nel Mediterraneo, e nessuna delle quasi 50 grandi navi da guerra della Regia Marina ha mai affondato un’unità avversaria. Lo fa notare, non senza amarezza, il ricercatore storico-militare Carlo De Risio, nel più recente lavoro per la casa editrice IBN di Roma, La flotta fantasma. Decine di costose corazzate, nessuna nave a fondo (marzo 2020, 100 pagine), sempre in collaborazione con il collaudato Alessandro Santoni per la parte grafica e la ricchissima componente fotografica.
Sotto esame, 82 anni di operatività delle navi da battaglia, contrassegnati da ripetuti conflitti per le unità più importanti di una flotta priva di portaerei. Tra il 1861 e il 1943, furono complessivamente 46 quelle impiegate, dalle prime costruite nei cantieri esteri alle ultime, da ben 45mila tonnellate di dislocamento, armate con cannoni da 381 mm. Si parte dalle fregate a vapore blindate di Lissa (non a caso all’ammiraglio vincitore von Theghettoff è attribuita la frase “navi di legno, comandate da uomini di ferro, hanno sconfitto navi di ferro, comandate da uomini di legno”), per arrivare alle poderose corazzate della classe Roma, tutte senza successi nella seconda guerra mondiale. Ma è l’intero, cospicuo, schieramento di grandi e spesso magnifiche unità, accomunato da un beffardo destino: risultati zero.
Si prenda proprio la battaglia di Lissa, il 20 luglio 1866, nelle acque del Nord Adriatico. Oltre a schierare navi protette da corazze, la flotta italiana disponeva di cannoni a canna rigata, più moderni di quelli ad anima liscia delle avversarie austriache e anche in maggior numero, di almeno un terzo. La differenza stava però nel “manico” dei comandanti e nella coesione di squadra (i colleghi subordinati osteggiano l’amm. Persano), in aggiunta a qualche difetto costruttivo a nostro danno, che si manifestò solo in azione.
Si pensi al paradosso dell’Affondatore, bel nome per una nave da guerra, eppure l’ariete corazzato risulto l’unità più colpita a Lissa, da oltre 20 proiettili nemici. Per parte sua, manovrò e sparò cannonate con i due pezzi brandeggiabili in torretta, a prua e a poppa, ma senza infliggere danni di rilievo, come nessuna delle pari classe in futuro, fino all’armistizio con gli Alleati nel 1943.
Non una sola corazzata fece segnare un risultato e quando la più grande, la Roma, il 9 settembre 1943, venne mandata a picco da una bomba radio-guidata tedesca, non aveva mai avvistato nella sua breve attività operativa una nave nemica, nemmeno da lontano. 1393 uomini persi in mare, compreso l’amm. Bergamini, senza avere esploso un colpo contro gli inglesi, fino ad allora avversari.
Nella Grande Guerra, il bacino d’azione non si prestava alle missioni delle corazzate. Avevamo chiuso la flotta austriaca in Adriatico e affrontarla non avrebbe avuto senso. Bastava concentrare gli sforzi sulla difesa delle ostruzioni che bloccavano fisicamente il Canale d’Otranto, tra l’Albania e la Puglia, per costringere il nemico a restare rintanato nei suoi porti e a doversi ingegnare per forzare il cancello. Ma quando tentò di farlo, la notte tra il 9 e il 10 giugno 1918, incocciò nei piccoli motoscafi siluranti di Rizzo e Aonzo: il coraggioso ingaggio dei due MAS costrinse la formazione imperiale al rientro, dopo la perdita drammatica della corazzata Santo Stefano, silurata nelle acque di Premuda. Prima ancora, sempre Rizzo e i MAS avevano affondato la nave da battaglia Wien, all’ancora a Muggia e il 1° novembre 1918 la mignatta di Paolucci e Rossetti, antenata dei “maiali” della X Flottiglia, andò a colpire la corazzata Viribus Unitis nel porto di Pola. Grande incursione di una “pulce” del mare contro un colosso di metallo e all’interno di una base navale munitissima.
Quanto ai successi nella seconda guerra mondiale, tra il giugno 1940 e il settembre 1943 è stata una continua sfida tra Davide e Golia, coi nostri mezzi leggeri armati di fionda (dai siluri a lenta corsa, i famosi “maiali” ai nuotatori subacquei, ai barchini esplosivi, alle motosiluranti ed agli aerei siluranti) e le grandi e ben comandate unità della Marina da guerra britannica nella parte del gigante. La Royal Navy accusò il colpo (ma resse) soprattutto la notte di Alessandria d’Egitto, 19 dicembre 1941, quando due corazzate inglesi, un cacciatorpediniere e una petroliera vennero seriamente danneggiate alla fonda nella rada protetta, dove si sentivano al sicuro.
Sei uomini contro una flotta, scrive De Risio: gli equipaggi coraggiosi (una coppia per ciascuno dei mezzi) di tre siluri a lenta corsa, portati dal sommergibile Scirè davanti al porto militare egiziano e penetrati faticosamente all’interno. Il brillamento di tre cariche, sganciate dalla prua dei “maiali” e incatenate alla chiglia delle navi nemiche, sollevò gli scafi e li fece ricadere. Le corazzate Queen Elizabeth e Valiant sussultarono, imbarcarono acqua, poggiarono sul fondale, restando neutralizzate per mesi.
Davide era riuscito a colpire, mancarono invece i cannoni della Regia Marina: le torri trinate da 381 mm stettero a guardare. Buon per loro che, Roma esclusa e nonostante i danni subiti a Taranto da Cavour, Littorio e Caio Duilio nell’autunno 1940, terminarono tutte in potenziale efficienza la guerra contro gli alleati, finendo malinconicamente in esilio armistiziale nella base inglese di Malta.
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