La fucilazione dell’alpino Ortis
- Autore: Maria Rosa Calderoni
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2022
Aveva venticinque anni e due medaglie al valore l’alpino fucilato a Cercivento con tre commilitoni, la mattina del 1 luglio 1916, dopo la condanna di un tribunale di guerra speciale al plotone d’esecuzione, per rivolta (art. 114 del Codice penale militare).
Un episodio particolare, pieno di aspetti unici, di contraddizioni, di considerazioni oggi scontate, avendone appresi i particolari nel libro di Maria Rosa Calderoni dal titolo La fucilazione dell’alpino Ortis, riedito da Mursia nel 2022 (206 pagine, con schede di approfondimento e la riproduzione di incartamenti in appendice).
Un lavoro piuttosto noto quello della giornalista lombarda, che ha lavorato per trent’anni all’Unità. Un libro realizzato in gran parte negli archivi e facilitato da tanti sopralluoghi e incontri con gli abitanti dei centri carnici interessati dalla vicenda. Una testimonianza-documento che ha provocato scalpore fin da quando il volume è apparso in prima edizione, nel 1999 (sempre per i tipi Mursia), sollevando dubbi, interrogativi, richieste di revisioni, mentre si svolgeva la battaglia per la riabilitazione, condotta da un parente del caporal maggiore Ortis, il pronipote Mario Flora, con appelli anche a due Capi dello Stato in carica.
In Carnia, a Cercivento dov’è avvenuta e a Paluzza, il paese montano d’origine del graduato, quell’esecuzione non è mai stata accettata come la punizione di un contegno vile, ma subita come un’ingiustizia, “un crudele atto sommario, perpetrato all’unico scopo di dare l’esempio”. Nel 1996, il Comune ha fatto erigere un cippo alla memoria dei quattro alpini, sul luogo stesso in cui vennero fucilati. Unico del genere, in Italia e in Europa.
La 109a compagnia del Battaglione alpino Arvenis aveva rifiutato l’assalto frontale ad una vetta del monte Collon, l’ennesimo attacco privo della minima possibilità di successo. In alternativa, i sottufficiali più esperti avevano proposto un’azione coperta, non in piena luce e con fuoco diversivo di accompagnamento. Inascoltati dai diretti superiori, erano stati deferiti al Tribunale militare, mentre la posizione nemica veniva conquistata da un altro reparto, i cui ufficiali avevano adottato le modalità più accorte suggerite dagli alpini della 109a.
Niente di quanto narrato è frutto d’immaginazione, dichiara Maria Rosa Calderoni, che si è concessa l’unica licenza di far parlare in prima persona l’alpino, nei cinque capitoli in cui ha ricostruito la storia.
Mi chiamo Ortis Silvio, sono un soldato fucilato in guerra.
Quattro i sacrificati: il caporal maggiore Silvio Gaetano Ortis da Paluzza, classe 1891; il caporale zappatore Giovan Battista Corradazzi da Forni di Sopra, classe 1889; il caporale Basilio Matiz da Timau, classe 1894, il soldato Angelo Primo Massaro da Maniago, classe 1888.
Silvio era al fronte da 13 mesi e 8 giorni, alla seconda guerra, dopo la Libia del 1912 e anche contro gli Austriaci, combatteva senza conoscere il motivo. Prima del conflitto, anzi, i carníci passavano il confine a piedi per andare in Austria a lavorare e il nonno e il padre erano stati sudditi dell’imperatore fino al 1866.
Sono morto senza capire bene perché.
Dopo tutti quei mesi di trincea, lo avevano trascinato con gli ottanta alpini della 109a davanti a un tribunale di giudici in divisa, allestito in fretta nella chiesa di Cercivento, a nemmeno dieci chilometri da casa. In una condizione d’ignoranza, incredulità e sbalordimento avevano ascoltato le testimonianze dei commilitoni, le conclusioni del pubblico ministero, le richieste disattese del difensore, la sentenza di morte, perchè considerati agenti principali della rivolta.
A Paluzza e nelle frazioni Cercivento, Naunina, Timau, Cleulis, Forni, Maniago, la vicenda dolorosa non è mai stata rimossa. In una collettività piccola ma unita, è una memoria tramandata alle generazioni. Le famiglie non si sono consolate e custodiscono tanti ricordi di quei giorni. La madre che si sveglia di soprassalto nel momento esatto della fucilazione del figlio. La voce di Silvio che il nipote Olivo crede di sentire nel momento del pericolo. Le visioni notturne, raccontate dai parenti più stretti, di fantasmi che invocavano una sepoltura diversa dalla fossa comune anonima.
Tante manifestazioni commoventi di un sentimento familiare rimasto inalterato nel tempo, di mogli e madri in lutto per sempre, come la Ortis, senza istruzione e risorse, che per tutta la vita si è data da fare per riscattare almeno la dignità del figlio, costretta a vendere l’unico bene, un campo, per pagare l’avvocato. O la mamma di Matiz, che aveva trovato la forza di andare di nascosto ad assistere alla fucilazione, mentre la giovanissima moglie era svenuta per strada.
Nel 1992, la Procura Generale Militare ha ritenuto la riabilitazione dei quattro alpini “inammissibile”, perché la richiesta è presentabile solo su "istanza dell’interessato”, ai sensi dell’art. 683 del Codice di procedura penale. Non quindi il pronipote, ma Silvio... un paradosso, che si potrebbe superare con una semplice modifica della norma, proposta oltre vent’anni fa e mai adottata.
Il 17 novembre 2016, approvando una mozione presentata da una consigliera della Lega, il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia ha chiesto all’unanimità di riabilitare gli alpini del Battaglione Monte Arvenis, 109a Compagnia dell’8° Reggimento, fucilati cento anni prima.
Quattro anni dopo, la stessa Assemblea friulana ha ribadito in un ordine del giorno sempre unanime l’esigenza di restituire l’onore militare ai fucilati ingiustamente a Cercivento. La Carnia ancora attende.
La fucilazione dell’alpino Ortis
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