“La lotta di classe esiste e l’hanno vinta i ricchi”. Vero!
- Autore: Marco Revelli
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Laterza
- Anno di pubblicazione: 2014
In questo suo ultimo saggio breve, “La lotta di classe esiste e l’hanno vinta i ricchi”. Vero!, Marco Revelli, professore ordinario di Scienza della politica, pone al centro della sua analisi sociologica la disuguaglianza e le politiche economiche che hanno governato in questi ultimi trent’anni e che l’hanno favorita se non determinata.
La curva di Laffer e quella di Kuznets sono le due ideologie neoliberiste nate in periodi storici diversi che l’autore descrive e analizza. Due teorie economiche per le quali la disuguaglianza è necessaria a garantire lo sviluppo economico.
La curva di Laffer è del 1974 e mette in relazione l’aliquota di imposta con le entrate fiscali. Venne scritta dal professore Arthur Laffer, economista della Southern California, su un tovagliolo, mentre era a cena in un famoso ristorante di Washington, e poi inviata al candidato per le elezioni presidenziali Ronald Reagan, che si convinse della sua validità e ne fece una bandiera del suo programma politico.
La curva di Kuznets, economista statunitense premio Nobel, risale invece al 1955 e spiega il modello di sviluppo definito trickle-down: se si favoriscono i grandi investitori e il potere finanziario, si genera un meccanismo virtuoso che creerà ricchezza e in parte la ridistribuirà per l’effetto gocciolamento, una sorta di forza di gravità naturale. La forma della curva è una U rovesciata, che descrive l’andamento della diseguaglianza in rapporto al tasso di sviluppo. Uno sviluppo industriale intenso produce inizialmente disuguaglianze crescenti che poi, secondo l’economista, verrebbero annullate. In breve, con l’arricchimento dei ricchi avrebbero tratto vantaggio tutti, Stato compreso.
Entrambe sono state usate nella propaganda del benessere per tutti e poste al centro fra gli obiettivi politici dei governi mondiali.
L’uomo neoliberista stava quindi trasformando il vecchio soggetto illuministico, con diritti e doveri, in un oggetto economico, in capitale umano, in merce di se stesso. In questo modo la politica neoliberista, fra gli anni settanta e ottanta (sostiene l’autore), avrebbe raggiunto lo scopo di distruggere la socialità e la società, trasformando la democrazia in un’egemonia dell’economia che ha generato disuguaglianze e nuove povertà. L’idea, scrive Revelli, che un eccesso di eguaglianza faccia male all’economia o più esplicitamente che una buona dose di diseguaglianza faccia bene alla crescita, ha alimentato le politiche di deregulation prevalse nell’epicentro anglosassone e affermatesi nel circuito della globalizzazione. Un paradigma nel quale l’ineguaglianza non veniva più considerata un vizio ma si era trasformata in una risorsa.
Le due teorie vengono scomposte e approfondite dal nostro autore che ne dimostra la falsità con una serie di analisi e di statistiche dalle quali si evincono le conseguenze associate alle due politiche economiche: redditi calanti e debiti crescenti, la riduzione dei diritti sociali e l’austerità europea. Uno scenario spaventoso che ha incrementato sempre più il divario tra i ricchi e i poveri, sia se lo si considera a livello globale tra i diversi paesi o all’interno dei singoli stati.
Alla fine la lotta di classe esiste e l’hanno vinta i ricchi, è il risultato delle politiche dello scorso fine secolo, certificato dagli organismi internazionali che ne hanno sottolineato le proporzioni drammatiche, come anche la convinzione, per l’opportunismo politico, che nel nuovo secolo non si siano invertite le rotte. Le disuguaglianze sono cresciute oltre misura e la crisi prodotta dal neoliberismo perdura da anni e continuerà ad esserci.
La scelta con cui si confronterà la prossima generazione non sarà fra il capitalismo e il comunismo, o tra la fine della storia e il ritorno della storia, ma tra la politica della coesione sociale basata sugli scopi collettivi e l’erosione della società per mezzo della politica della paura.
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