La principessa di Clèves
- Autore: Madame de La Fayette
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2014
“La magnificenza e la galanteria non si sono mai manifestate in Francia con tanto splendore come negli ultimi anni del regno di Enrico II”.
Il re di Francia era un uomo galante, “di aspetto leggiadro e incline all’amore”, ed era nota a tutti la sua ventennale passione per Diana di Poitiers, duchessa di Valentinois. La regina, Caterina de’ Medici, bella benché avesse superato la prima giovinezza, amava lo sfarzo, la magnificenza e i piaceri. Ambiziosa, la sovrana pareva non soffrire dell’amore che il sovrano aveva per Diana di Poitiers, del resto Caterina era dotata di una tale capacità di dissimulazione che non era semplice indovinare i suoi sentimenti.
Regolata da un rigido cerimoniale, la corte francese della metà del XVI Secolo radunava belle dame e uomini avvenenti, sembrava che la natura si fosse compiaciuta di attribuire i suoi doni più preziosi alle principesse e ai principi più illustri. Tra le donne si notavano la principessa Elisabetta di Francia, Maria Stuarda, regina di Scozia che aveva appena sposato il delfino e Madame, la sorella di Enrico II. Tra gli uomini spiccava il Duca di Nemours, il più desiderato tra le dame.
Al Louvre dove l’amore era sempre intrecciato alla politica, e la politica all’amore, era apparsa una bellezza che da subito aveva attirato gli sguardi di tutti. Mlle de Chartres, di nobilissimo casato, era una delle più ricche ereditiere di Francia. Suo padre era morto da anni lasciando la figlia sotto la tutela della moglie, Mme de Chartres, “i cui pregi di bontà e virtù erano eccezionali”. Lontano dalla corte la dama aveva coltivato l’intelligenza della figlia, insegnandole la virtù e spiegandole i vari aspetti dell’amore. Se gli uomini erano poco sinceri, infedeli e traditori per natura, niente era più dignitoso e onorevole per una dama di alto lignaggio che condurre una vita specchiata, al di sopra di ogni sospetto. Per Mme de Chartres vi era solo una cosa che poteva rendere felice una donna:
“Amare il proprio marito ed esserne amata”.
Il Principe di Clevès appena aveva posato lo sguardo sulla figura della sedicenne Mlle de Chartres, dotata di grazia e fascino, se n’era innamorato. Il matrimonio era stato celebrato al Louvre, però i sentimenti che la Principessa di Clèves nutriva per il marito erano di stima e riconoscenza, nulla di più. La passione e l’amore erano giunti inaspettati durante un ballo di corte quando il Duca di Nemours e la Principessa di Clèves si erano incontrati per la prima volta.
“Un mormorio di lodi si levò in tutta la sala quando cominciarono a danzare”.
La principessa di Clèves (titolo originale La Princesse de Clèves, traduzione di Vincenzo Acanfora, rivista da Giuseppe Girimonti Greco e Francesca Scala), scritto tra il 1672 e il 1678, è da considerarsi il primo vero classico della letteratura francese.
Riproposto nella Collana Le Grandi Scrittrici edita da Neri Pozza, il volume è “onnipresente nelle antologie degli studenti d’oltralpe, primo tra i testi letterari in programma nei licei e nelle università francesi”, come scrive Isabella Mattazzi nell’Introduzione del romanzo. Nella corte dei Valois specchio di quella di Versailles di Luigi XIV, dove visse Marie-Madeleine Pioche de la Vergne (1634-1693), divenuta Madame de La Fayette dopo aver sposato un gentiluomo di campagna, Mlle de Chartres appare come una “mosca bianca”. Qui dove ambizione e galanteria rappresentavano l’anima stessa della corte occupando le menti sia degli uomini che delle donne, la Principessa di Clèves osa confessare al marito di amare un altro uomo, anche se il tradimento non era stato e non sarebbe mai stato consumato. Non solo, la Principessa, una volta morto il coniuge decide di abbandonare il palcoscenico dell’esistenza, ritirandosi in un convento, in nome di quella coerenza che brilla in un mondo di dissimulazione e inganni.
La protagonista di questo testo prezioso dimostra in tal modo di essere un “piccolo granello di sabbia” di quell’ingranaggio che regge da tempo immemorabile un sistema di vita che altro non è che una “recita sociale”.
L’inventrice del romanzo moderno, Voltaire scrisse che “prima di lei si scrivevano, in stile ampolloso, cose poco verosimili”, attraverso una dettagliata ricostruzione storica descrive un obbligato e preciso modo di comportarsi, “manifestazione esteriore di un’educazione aristocratica che vede nell’osservanza stretta di una rigida etichetta l’espressione più alta del proprio prestigio sociale”.
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