La ragazza delle arance
- Autore: Jostein Gaarder
- Categoria: Narrativa Straniera
L’inizio de "La ragazza delle arance" è promettente e il libro incuriosisce da subito. Un ragazzo ritrova una lettera scritta dal padre molti anni prima quando lui era un bambino. Il ricordo del genitore, morto quando lui era ancora piccolo, ricordo per larghi tratti sbiadito, comincia a prendere corpo. Non solo: attraverso la lettera, il ragazzo comincia anche a conoscere il padre, che sembra essere tornato per un attimo dall’oltretomba per raccontare al figlio una storia vissuta in gioventù. La storia è narrata in un modo tale da tenere il protagonista e il lettore inchiodati nell’attesa che si sveli il finale e scoprire chi è la fantomatica ragazza con le arance.
Per una buona metà, il libro scorre senza problemi con buon dinamismo, trattando di un argomento importante come la morte, affermando da un lato, in modo abbastanza deciso, il "carpe diem quam minimum credula postero" di Orazio, dall’altro, in maniera più sottile, la potenza del ricordo, forse unica cosa che sopravvive alla morte, rifacendosi vagamente alla concezione foscoliana.
Gaarder Jostein gioca con il caso e con il destino per spiegare il perché delle cose e degli avvenimenti. Gioca con le regole che in qualsiasi ambito devono essere rispettate per permettere al destino di compiersi (sembra quasi di ritrovare in questo un po’ il concetto espresso ne "L’Alchimista" di Coelho). Gioca con l’ineluttabilità della vita e della morte.
Poi la narrazione rallenta un po’ verso la parte centrale e comincia anche a diventare ripetitiva ruotando forse un po’ troppo sulla malattia e sulla morte imminente. Questo toglie quella freschezza iniziale tanto da rischiare di far diventare il tutto leggermente noioso e pesante.
Solo verso la fine il libro si arricchisce di una nuova iniezione di naturalezza e freschezza che erano andate un po’ perse per strada dando luogo a un finale che ci dovrebbe aiutare a riflettere su quanto importante siano la vita, i singoli momenti che viviamo, le possibilità che ci diamo, le personali inclinazioni che bisogna coltivare.
La ragazza delle arance. Nuova ediz.
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Sarò sincero. Avevo comprato questo libro soltanto perché le arance mi ricordavano una persona a cui ero (sono) legato. La trama non mi sembrava nemmeno un granché. Ma, una volta iniziato a leggere, mi ha preso, decisamente. Iniziarlo a mattino e finirlo prima di andare a dormire vuol dire che mi è piaciuto? Assolutamente. Una storia romantica e dolce, scontata e non, sentimenti che fuoriescono dalle pagine e ti girano intorno. Caldamente consigliato.
“… Ho paura di essere buttato fuori da questo mondo. Ho paura di sere come questa, quando non mi viene dato di vivere.”
Che sensazione si prova a scrivere un libro assieme al proprio papà morto da undici anni? Georg si sta cimentando in questa bizzarra impresa: intrecciare le proprie emozioni con quelle di una persona scomparsa. Una persona importante di cui però Georg non ha che un unico ricordo, il più dolce: quello di una fredda sera in veranda a contemplare il cielo stellato. E, benché Georg avesse allora solo pochi anni, ricorda di come il suo papà si mise a piangere.
Come mai Ian Olav sta piangendo? Perché è stato messo di fronte alla prova più dura e terribile che un uomo possa sopportare: la consapevolezza della morte. L’ineluttabilità di dover lasciare questa vita, terribilmente e dolorosamente bella, il mondo, le meraviglie della natura, e una famiglia costruita con pazienza, sacrificio, e la spensieratezza della prima gioventù. È per questo che Ian Olav decide di affidare a una lettera per il figlio le parole per esprimere il mistero di una vita che ora è così difficile abbandonare. Una lunga lettera, anzi, un lungo racconto nascosto nella tasca di un vecchio passeggino, e ora ritrovato dopo undici anni, narra a Georg di un’enigmatica Ragazza delle Arance, quella ragazza di cui Ian Olav si è profondamente innamorato, quella ragazza ineffabile col viso di scoiattolo e il fermaglio d’argento tra i capelli che compra sempre un chilo di arance al mercato. È la tenera ed emozionante storia di loro due, Ian Olav e Veronika, i genitori di Georg, di come si sono incontrati e subito amati, e di come ora si devono lasciare loro malgrado.
Ma la lettera del padre a Georg contiene anche una domanda molto difficile, e forse imbarazzante, un quesito che condensa in sé grandi dubbi metafisici, e la cui risposta Ian Olav demanda al figlioletto prima di morire: cosa farebbe chiunque di noi se potesse scegliere di conoscere anche solo per un secondo questa preziosa e unica vita, con la consapevolezza che da un momento all’altro la dovrà abbandonare, e rimanersene invece fuori, sulla soglia della favola, rifiutandosi di accettare le inique regole del gioco?
La vita è una meravigliosa favola, un dono bellissimo che prima o poi però dovremo restituire. Solo pochissimi si rendono conto di quanto sia breve la vita, di quanto siamo piccoli di fronte all’immensità dell’universo. Solo pochissimi sono consapevoli di cosa significherà non esistere più, smettere di essere noi stessi, staccarsi dalla vita e da tanta bellezza. Cosa sceglierà Georg? Riuscirà a leggere l’intero racconto e a sottoporlo a Veronika, la ragazza- scoiattolo? Ma soprattutto, quale sarà la sua risposta a questa insidiosa domanda?
Questo è un libro che mi ha conquistato piano piano.
All’inizio leggevo pensando: "Dove mi vuole portare lo scrittore?"
La storia non mi sembrava forte e ben articolata, anzi il racconto nella lettera mi dava l’impressione di essere un po’ slegato, con troppe "intrusioni" da parte del figlio/destinatario dell’epistola, a volte non troppo sensate a mio parere.
Ma ad un certo punto c’è stata una svolta! Non solo per la rivelazione dell’identità della ragazza delle arance, ma perché è cambiata la profondità del romanzo stesso. E’ diventato più intimo e profondo, mi ha avvolto e le digressioni e le riflessioni sono diventate il fulcro stesso dello scritto.
E’ un romanzo di riflessione, che pone tanti quesiti di non facile risposta, che fa vedere la vita sotto un’altra luce, che ci interroga su quello che per noi è in genere scontato.
In un certo modo mi ha segnato, mi ha scosso dentro, ed è stata una piacevole rivelazione per un libro che non sembrava avere queste ambizioni.