La verità di carta. A cosa servono gli archivi?
- Autore: Federico Valacchi
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2023
Se pensiamo agli archivi nei film hollywoodiani e non, troviamo sempre nel ricordo un protagonista immerso in polverosi faldoni di carta, a caccia della verità su misteri da risolvere per scagionare un detenuto, per annullare un matrimonio, per mettere fine a un preciso momento storico.
La stessa cosa accade nei romanzi di genere, soprattutto nei legal-thriller alla Grisham. In realtà gli archivi sono molto più noiosi rispetto a quanto suggestioni letterarie e cinematografiche ci fanno credere, trattandosi spesso di documenti statali. Chi non si accontenta di essere un semplice impiegato può frequentare la specializzazione post-laurea in archivistica di due anni, oppure Scienze archivistiche in alcune facoltà universitarie.
Gli uomini e le donne che lavorano in questo settore per più tempo possono anche ricordare certi personaggi di Franz Kafka, travolti dalla burocratizzazione e sopraffatti dalla mancanza di senso nel voler conservare tutto, con la paura di diventare degli alienati e delle persone che sperimentano la "spersonalizzazione" e la disistima sociale.
Ma se siamo accerchiati da tante figure diverse dall’archivista reale è perché, dando un taglio ad accostamenti a libri e film, chi fa questo lavoro sa bene che organizzare documenti importanti è un modo per dare un contributo alla complessità dell’essere umano.
Federico Valacchi, l’autore di questo interessante volume dal titolo La verità di carta. A cosa servono gli archivi? (Graphe.it, 2023), lo scrive meglio:
Il sottile fascino dei archivi, che pure esiste, si annida invece proprio nelle pieghe della mediazione. Per manifestarsi ha bisogno di una decodifica, di un lavoro di cucitura tra carte piuttosto indisciplinate e cittadini non sempre informati. Il fulcro del lavoro dell’ archivista, figura di incerto prestigio sociale nell’immaginario collettivo, sta proprio nello svelare la reale importanza degli archivi a utenti inesperti - ma non necessariamente incolti e ignoranti - e nel creare presupposti di fruibilità.
In buona sostanza, gli archivi offrono un servizio ai cittadini, che hanno sempre più bisogno, anno dopo anno, di sapersela cavare con l’informatica e di saper usare anche i metodi più vetusti, dove la digitalizzazione non è ancora arrivata.
Chi scrive, ad esempio, per motivi di studio si è recato all’archivio storico della Camera dei Deputati per avere in mano i regolamenti originali che fecero seguito alle Leggi razziali del 1938. E scoprire tutte le cose che gli ebrei italiani non potevano più fare, non solamente quelle che trovi in un buon manuale di storia, ma dei cavilli talmente esasperanti, che avevano comunque una loro logica. Chiudendo questo ricordo personale gli ebrei italiani non potevano nemmeno più andare in merceria per fare l’orlo ai pantaloni. Dovevi impararlo se non volevi anzitempo i pantaloni a zampa di cavallo e con gli orli che toccavano lo sporco della strada. Una minuzia, se non capivi che molte mercerie erano gestite da ebrei italiani e non andarci più significava chiudere il negozio e restare disoccupati, proprio quello che, del resto, si aspettavano le leggi razziali. Però, proprio questo esempio ci permette di capire che in questi luoghi ci siano leggi vetuste, regolamenti senza valore e tanto altro ancora.
L’autore quindi precisa quello che in modo grossolano avevo scritto, riportando il ricordo di anni addietro:
Ciò non impedisce che nell’immaginario collettivo gli archivi, se compaiono, siano roba vecchia. Sono percepiti, cioè, in maniera opposta alla loro vera indole di figli del presente. Per corrotti e corruttori tutti questi documenti sono vincolo burocratici insopportabili, un’inconcepibile istigazione alla trasparenza. Chi starnazza contro i lacci e i laccioli della burocrazia e si lamenta delle complessità congenite della vita democratica è artefice, spesso inconsapevole, della crisi degli archivi. I fascismi si nutrono di intolleranza ai dati e di malafede documentale.
Quindi chi pensa che gli archivi siano documenti noiosi sta praticamente dicendo che la parte documentale di un paese si può cancellare, tanto serve a pochissime persone e in questo modo dà il via al disfacimento della memoria che tanto piace ai regimi totalitari.
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