Le micidiali bombe a farfalla sull’Italia
- Autore: Sebastiano Parisi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2014
Si chiamavano Giuseppe e Oliviero, due tredicenni di Mori (Trento) e persero la vita di certo a causa delle “farfalle della morte”, a guerra finita, nel settembre 1945. Furono tra le vittime innocenti di ordigni non pensati per uccidere o ferire bambini, ma che seminarono lutti e dolore per i decenni a venire, come “danno collaterale” rispetto al loro scopo bellico. Si deve ad un giovane ricercatore volontario di storia, un appassionato di militaria, il vogherese Sebastiano Parisi, il primo studio su “Le micidiali bombe a farfalla sull’Italia. Un oscuro capitolo della seconda guerra mondiale”, in un considerevole volume pubblicato da Pietro Macchione Editore nell’ottobre 2014 (338 pagine, 25 euro).
Un lavoro molto documentato, che l’autore appena ventunenne ha svolto in modo estremamente accurato, per assolvere ad una missione: fare uscire queste pagine di sofferenza dal buio dov’erano rimaste nascoste per settant’anni, fare luce sull’impiego di quelle piccole ma feroci scatole di latta esplosive.
Molto si è ignorato per troppo tempo, parecchio si è fantasticato, tanto si deve alla desecretazione dei rapporti delle unità aeree statunitensi che hanno seminato bombe a farfalla sul nostro territorio. Parisi calcola 213.840 precipitati complessivamente e c’è da considerarlo un dato attendibile, visto l’accesso a documenti USA ufficiali.
Vennero lanciate dall’Usaaf, nei territori dell’Italia settentrionale,alle spalle della Linea Gotica, durante l’ultimo periodo del conflitto, gennaio-aprile 1945. Soprattutto il Nord Est venne interessato dalla “semina”, visto che sarebbe stata quella la direzione obbligata per l’esercito germanico in ritirata, diretto verso il Brennero.
Sganciate a grappolo da piccoli bombardieri, con la minima precisione, dovendo limitarsi a saturare il terreno, cadevano rallentate dai caratteristici alettoni rotanti, che le facevano somigliare a farfalle di metallo. Si disperdevano intorno a ponti e obiettivi militari già bombardati e restavano spesso seminascoste: un gran numero di piccoli insidiosi ordigni, pronti ad esplodere se maneggiati incautamente da chi avrebbe dovuto lavorare per ripristinare i danni provocati dalle bombe d’aereo a strade, ferrovie, attraversamenti. Scopi esclusivamente militari, come si vede, rivolti ad ostacolare le operazioni di riattivazione delle infrastrutture colpite, ma la bonifica post bellica non riuscì ad essere tanto accurata da eliminarli totalmente. Da qui i problemi successivi.
L’obiettivo quindi era danneggiare i tedeschi, che poi erano gli stessi inventori delle bombe a farfalla, lanciate per la prima volta sull’Inghilterra, nel 1940, per incrementare gli effetti dei loro bombardamenti.
Gli americani ne avevano ricavato una loro versione, le M83, ciascuna di piccole dimensioni e del peso di appena due chilogrammi, ma con una carica esplosiva innescata dal più piccolo scuotimento e sufficiente a scagliare una miriade di schegge contro l’incauto o involontario manipolatore, provocandone la morte per dissanguamento, anche se non colpito in organi vitali.
Le bombe a farfalla erano chiuse in contenitori che ne contenevano novanta ciascuno. Una volta sganciate, si sparpagliavano in aria, flottando fino al suolo. Tolte quelle che detonavano all’impatto col suolo, la gran parte si adagiava sul terreno, attendendo d’essere trovate da qualcuno o di sorprendere il malcapitato. Cosa che ha continuato purtroppo ad accadere per molti anni a seguire, falcidiando soprattutto ignari contadini e bambini. I primi le incontravano come residuati di guerra durante il lavoro nei campi e l’aratura. I piccoli rinvenivano le bombe a farfalla per caso, scambiandole per giocattoli o cercando ingenuamente di aprirle.
Non si voleva colpire contadini e bimbi, si è detto. Tanto meno si sarebbe voluto infestare un territorio per decenni. Le esplosioni successive alla guerra sono diventate conseguenze impreviste di uno scopo militare, va ripetuto: rallentare la riparazione di infrastrutture già colpite da bombardamenti pesanti. Gli operai avrebbero dovuto attendere la bonifica di artificieri e seminatori, prima di poter operare senza la minaccia di quei pericolosi aggeggi.
Le bombe a farfalla avevano un preciso intento antiuomo, sottolinea Parisi. Non uccidevano in massa migliaia di persone, come nei bombardamenti delle linee del fronte o anche delle città. Non servivano a demolire obiettivi, a spianare isolati, a incendiare abitati, creando tempeste di fuoco, che se non incenerivano consumavano l’ossigeno e facevano morire asfissiati anche i civili al riparo nei rifugi.
Quelle scatole contorte di latta, dall’aspetto innocuo, restavano ad aspettare passive la propria vittima, interrate, coperte dalle erbacce. E la vittima troppo spesso ha finito per essere qualcuno del tutto estraneo alla guerra, a tanti anni di distanza dalle fine delle ostilità, anche perché per cause varie ed errori degli equipaggi, le farfalle cadevano dove non c’erano bersagli principali e quindi la bonifica non veniva nemmeno effettuata.
La guerra, oltre che crudele, è anche cieca.
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Come fa un ragazzo di 21 anni con un diploma conseguito in un Istituto Professionale, senza alcun titolo di studio universitario, senza alcuna conoscenza in fatto di metodologia della ricerca storica e di storiografia, a pubblicare un libro che voi descrivete come importante?!? Io ho letto questo libro e, da storico e studioso con esperienza decennale, posso dirvi che questo libro non ha niente di importante. Solo una serie di eventi rapportati a casaccio senza che l’autore giunga mai ad una propria riflessione segno delle mancanze sopra esposte. Per non parlare degli errori grammaticali elementari sia in italiano che nelle "traduzioni" dalla lingua inglese. Insomma un libro frutto del dilettantismo dell’autore che non si può di certo definire un ricercatore in ambito storico. Forse dovrebbe prima seguire un determinato percorso di studi anziché cimentarsi in qualcosa, la ricerca storica, per cui non è evidentemente all’altezza!