L’8 novembre 1934 lo scrittore e drammaturgo siciliano Luigi Pirandello fu insignito del Premio Nobel per la Letteratura con la seguente motivazione:
Per il suo coraggio e l’ingegnosa ripresentazione dell’arte drammatica e teatrale.
Un omaggio prestigioso che premiava l’innovazione delle sue opere, dalla genialità dell’intreccio romanzesco de Il fu Mattia Pascal che seppe narrare la crisi identitaria e la scissione dell’Io sino alla raffinata riflessione meta-teatrale contenuta in Sei personaggi in cerca di autore. C’era di che esserne orgogliosi insomma; ma pare che Pirandello non la prese bene.
Il grande drammaturgo, originario di Girgenti, non seppe nulla del Nobel sino al giorno successivo: il 9 novembre. Quel giorno, di buon mattino, ricevette un telegramma firmato nientemeno che da Per Hallström, il segretario dell’Accademia di Svezia.
In tutta risposta si narra che Pirandello scrisse sulla propria macchina da scrivere “Pagliacciate! Pagliacciate!” nel tentativo, forse maldestro, di rifiutare tutta la popolarità che il premio Nobel comportava. Si prestò di malumore alle interviste dei giornalisti che stavano assiepati davanti alla sua casa di Roma, in via Antonio Bosio, e tentò in ogni modo di evitarli con risultati pressoché grotteschi.
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La dichiarazione di Pirandello al banchetto del Nobel
Luigi Pirandello tuttavia non aveva in odio il Nobel, anzi, ne era onorato. Nel corso del banchetto ufficiale tenutosi a Stoccolma, nel dicembre del 1934, dichiarò:
Provo gratitudine infinita, gioia, orgoglio al pensiero che questa creazione sia stata ritenuta degna del premio prestigioso con il quale mi onorate.
Mi piacerebbe credere che questo premio sia stato conferito non tanto alla perizia dello scrittore, che è sempre irrilevante, quanto alla sincerità umana del mio lavoro.
In quell’occasione Pirandello fece un prezioso riferimento alla “scuola della vita”, che disse di aver frequentato con assiduità. Una scuola che è ritenuta inutile per certe menti brillanti, disse, ma per lui fu fondamentale perché era l’unica scuola che potesse far crescere una mente come la sua che rimane sempre come quella di un bambino “attenta, concentrata, paziente”. Senza autoelogiarsi, lo scrittore siciliano rivelò il segreto inconfessabile celato dietro la propria arte.
Il mancato discorso di Pirandello alla cerimonia del Premio Nobel
Durante la cerimonia di premiazione, il 10 dicembre di quello stesso anno, Luigi Pirandello non pronunciò alcun discorso ufficiale.
Si limitò a fare un inchino di circostanza e a ritirare il premio dalle mani del Re, per poi tornare a sedersi al suo posto nell’imbarazzo generale di un silenzio totale che nulla poteva infrangere.
Il motivo? Perché un silenzio così plateale? Secondo l’attenta rilettura di Andrea Camilleri, grande ammiratore dell’opera pirandelliana, lo scrittore di Girgenti decise di non pronunciare parola per motivi politici.
Tenere un discorso al Nobel, nel 1934, significava fare un encomio al fascismo: e Pirandello si rifiutò di elogiare Mussolini e i suoi seguaci. Anziché pronunciare un discorso vigliacco preferì la via del silenzio. Quindi tacque per prendere le distanze da una situazione politica che non sentiva appartenergli e non voleva in alcun modo condividere.
Il Nobel a Pirandello, anche per il silenzio assordante che ne seguì. acquisisce quindi un grande significato politico. A differenza di Jean-Paul Sartre, lo scrittore e drammaturgo siciliano non fece “il gran rifiuto”, ma attraverso il suo silenzio - che si dilatò nella sala come un grande vuoto - riuscì ad esprimere ciò che neppure mille parole saprebbero dire.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il premio Nobel a Pirandello e quel suo “Pagliacciate!”
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