Mahmoud o l’innalzamento delle acque
- Autore: Antoine Wauters
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2023
Questo poetico romanzo di Antoine Wauters potrebbe avere come sottotitolo: “Gioia e dolore sulle rive di un lago”, quello che ogni giorno viene attraversato dalla barca di un uomo vecchio e stanco, con un tumore che lo sta portando alla morte e nel quale ogni giorno egli, ormai senza più alcuna speranza, si immerge per andare a ritrovare i ricordi, quei ricordi che solo in parte leniscono i dolori dell’esistenza:
Come una lucertola tra le pietre,
una creatura spuntata dalle crepe,
il ricordo si inerpica su di me.
Mi scava addosso il suo nido.
E mi ci trovo immerso.
Preso in trappola.
Non dimentico nulla.
Si tratta del lago al-Assad, nel quale Mahmoud Elmachi, insegnante e poeta si immerge con pinne e boccaglio per ritrovare i suoi giorni ormai perduti, i giorni felici con la prima e la seconda moglie e con i suoi figli e quelli dolorosi della solitudine e dell’abbandono dopo la prigione e la tortura, quando al potere in Siria sale il figlio del Presidente Hafez al-Assad, quel Bashar “dagli occhi di squalo pazzo” che sguinzaglia i suoi sicari e i suoi torturatori contro i cosiddetti dissidenti.
Quel lago fu creato artificialmente sulle sponde dell’Eufrate, dalla diga di Tabqa con la quale, dopo aver cambiato il corso del fiume, il presidente Hafez diceva di voler portare progresso e benessere, ma portò solo distruzione e morte. Mahmoud era allora un giovane professore di Lettere di ventitré anni, che insegnava grammatica secondo le norme stabilite dal regime e leggeva poesie che celebravano il paese, mentre i suoi alunni come perfetti soldatini, intonavano l’inno alla gloria del Presidente.
E arrivarono undicimila operai e ingegneri per lavorare h24 e arrivarono missioni archeologiche da ogni parte del mondo, che ripartirono con diverse vestigia della storia della Siria da esporre nei loro musei.
Un fiume di parole, Mahmoud parla, parla, parla e i “versi scorrono come la vita” e le “immagini salgono come il mare” e raccontano che il poeta aveva una giovane moglie, Leila della montagna, e viveva con lei vicino a quel lago in una povera capanna. Dopo la sua morte, ne ebbe un’altra, Sarah ed ebbe dei figli; e raccontano di un Paese in guerra e la guerra, nella quale combattono anche i suoi figli che vogliono solo la rivoluzione (la Primavera araba) è vicina, appena al di là del lago.
Anche lui aveva capito di non poter più accettare quella vita, a un certo punto; era giovane allora, ma aveva smesso di insegnare come piaceva al suo Presidente e si era ribellato e si era nascosto tra i giunchi, sapendo che presto i servizi segreti lo avrebbero trovato e messo in prigione.
Questo romanzo è un atto di fede nelle parole e nella scrittura e scrivere richiede follia e fede; anche se il vecchio Mahmoud confessa di aver passato:
“Una vita a scrivere” per rendersi conto che le parole non dicono nulla, che:
Non c’è nulla in fondo
a loro, solo un po’
di silenzio. E di pace
Ma la scrittura non aiuta a sanare le ferite della perdita di un amore e g“li manca da morire la sua Leila”.
Questo romanzo è un atto di fede nelle parole e nella scrittura perché, arrestato come appartenente a un’organizzazione clandestina, durante i tre lunghi anni in carcere Mahmoud aveva scritto anche in prigione: sui muri, col dito bagnato di saliva, perché non aveva né carta né penna e aveva scritto sul pavimento con cocci di ceramica, ma aveva dovuto memorizzato una lettera dietro l’altra nella testa giorno e notte, per ricordare le sue poesie:
Poesie che non lasciavano traccia,
che nessuno avrebbe citato.
Centinaia di milioni di poesie scritte
tra le porte chiuse dei miei pensieri.
Questo romanzo, Mahmoud o l’innalzamento delle acque (Neri Pozza, 2023, trad. di Stefania Ricciardi) è un atto di fede nelle parole e nella scrittura; anche se il poeta vuole solo guadagnarsi “un accesso all’oblio” dopo tanto dolore; e confessa di non essere riuscito a imprigionare la prigione con la poesia, come diceva di fare un suo amico.
Basta leggere le note in fondo al libro, per scoprire che quest’ultimo verso è del poeta siriano Faraj Bayrakdar, oppositore del regime di Hafez Assad, imprigionato per le sue opinioni, processato nel 1993 e condannato a quindici anni di lavori forzati e rilasciato nel 2000 grazie a una campagna internazionale. Il poeta ora vive in esilio in Svezia, dove continua a opporsi al regime del figlio di Hafez, Bashar Assad.
E il vecchio continua a immergersi e continua a raccontare una storia che è sempre la stessa, una storia di soprusi, di dolore, di angherie, di guerra e teste mozzate, di bombe, di famiglie sospettate di legami con il terrorismo arrestate, di torture, di stupri di donne.
E proprio perché la storia è sempre la stessa:
Non per questo non bisogna raccontarla.
Il vecchio racconta e sente raccontare sempre la stessa storia, dove quelli che annullano la dignità umana alla fine della storia ridono sempre e allora bisogna raccontare per non dimenticare.
E l’acqua della diga sale, sale sempre di più; comincia a diventare pericoloso, ma il vecchio sa che tanto “tutto alla fine crolla” e il tumore fa male e poco lontano si combatte e lui continua a immergersi e a ricordare:
Le parole come retini acchiappafarfalle
per le nostre cause perdute
Una barca a metà strada tra
i mondi?
Ho scritto.
Mi sono steso sullo specchio
delle parole.
Sull’acqua delle parole.
Mi sono immerso.
La scrittura come una barca
tra la memoria e l’oblio.
Non resta che provare a immergersi con lui, fa male, ma serve forse a capire che:
Il mondo corre verso la propria rovina,
ma l’umanità dorme al volante di un furgone.
MAHMOUD O L’INNALZAMENTO DELLE ACQUE
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