Mancò la fortuna non il valore. Storia militare dei soldati italiani in Africa 1940-1943
- Autore: Antonio Leggiero
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
A far la guerra sempre da più deboli, senza mezzi e nelle peggiori condizioni possibili. Ed eravamo pure dalla parte sbagliata, nella prima fase del secondo conflitto mondiale, combattuta al fianco di Hitler. Antonio Leggiero non ci sta però a criminalizzare anche gli italiani, che delle scelte sbagliate dei reggitori dell’epoca sono stati vittime, oltre che protagonisti dei trentacinque mesi di combattimenti dell’Asse nel continente africano, dal 10 giugno 1940 all’8 settembre 1943. Criminologo e docente, autore anche di pubblicazioni di genere narrativo, ha pubblicato a novembre 2020, per le edizioni Odoya di Città di Castello, il volume Mancò la fortuna non il valore. Storia militare dei soldati italiani in Africa 1940-1943 (368 pagine).
Considera ingrata la damnatio memoriae che censura non solo i responsabili, anche i loro strumenti “umani” e ha “ritenuto opportuno (se non doveroso)” rievocare “i fatti tremendi ed esaltanti” compiuti dai nostri connazionali su fronti di guerra proibitivi: il deserto dell’Africa Settentrionale e le alture assolate dell’Africa Sudorientale. Non intende competere con le opere di storici o con le memorie inarrivabili di chi ha vissuto in prima persona quegli orrori. Ha voluto solo far conoscere “a qualche incuriosito lettore delle nuove generazioni, i fatti così come si svolsero, nella loro durezza nuda e cruda”. E ha cercato di valorizzare la dignità e l’eroismo dei soldati italiani, condannati ad affrontare quella tragica spedizione dalla megalomania politica di pochi (Mussolini, il re, parte del gotha fascista), mista a una scellerata conduzione militare.
Obbligati dalla chiamata alle armi, centinaia di migliaia di italiani vissero e lottarono in uno scenario lunare, arido e inospitale, con temperature che oscillavano tra i 40-50 gradi di giorno e pochi gradi sottozero di notte, quasi senz’acqua, viveri, munizioni. Se una piccola parte era mossa da legami ideologici - fa notare Leggiero - i più lo erano solo dal coraggio, dal senso dell’onore, dalla dignità, dalla devozione verso la patria.
“Andarono sul fronte d’Africa a compiere il loro dovere, lasciando spesso la vita, in quel cannibale e onnivoro deserto, per l’Italia, per i suoi interessi e la sua grandezza”.
Lo fecero in condizioni proibitive, in uno scenario apocalittico e in preda alla confusione di uno degli eserciti meno organizzati del mondo, obbedendo a ordini che spesso non condividevano o a cui erano contrari.
Leggiero insiste nel rappresentare ragazzi con in tasca la foto sgualcita di madri, mogli, fidanzate, figli che non avevano ancora preso in braccio e che qualcuno non avrebbe mai visto. Uomini che mangiavano gallette avariate condite di sabbia, tormentati dalla dissenteria, circondati da rettili e scorpioni velenosi, assaliti dai pidocchi. Hanno scritto pagine epiche, a Giarabub, sull’Amba Alagi, a El Alamein, “raccogliendo la (parca) considerazione dei nemici”. Hanno combattuto con dignità e coraggio, come non seppero fare lo stesso re e altri “accoliti”, osserva l’autore.
Nel giugno 1940, aggiunge, con la Gran Bretagna in ritirata, la Francia messa in ginocchio in poche settimane e le armate tedesche padrone di mezza Europa, tutti erano convinti che la fine delle ostilità fosse vicina. Dopo nove mesi di goffa neutralità, Mussolini ruppe gli indugi ed entrò in guerra, con spregiudicato opportunismo, per partecipare “al tavolo della pace da belligerante”. Ma l’Italia non era pronta a un conflitto di quella portata, ben più lungo dei pochi mesi previsti dal Duce. Armamenti obsoleti (alcuni addirittura di preda bellica 15-18), altro mancante del tutto, comprese le divise. Il poco di cui si disponeva era stato deteriorato o consumato nelle guerre precedenti, d’Etiopia e di Spagna. Mancava soprattutto la volontà di combattere ed era carente la qualità professionale degli Stati Maggiori dell’Esercito.
Dove le capacità tecnico-militari c’erano, come nell’Arma Navale, difettava la lealtà: Leggiero riprende la vulgata storica di alti ufficiali della Regia Marina legati al nemico e si affida alla pubblicistica di Antonino Trizzino sul “tradimento”. Accuse che hanno alimentato polemiche fino alla caduta del segreto militare sul progetto britannico Ultra Secret, quando si è appreso che la decrittazione (mai nota al nemico) del sofisticato sistema di cifratura germanico dei messaggi, consentiva di tradurre tutte le comunicazioni e apprendere le posizioni delle unità navali italiane in Mediterraneo e dei sommergibili di Betasom-Bordeaux in Atlantico.
Nella Seconda guerra mondiale, le battaglie più grandi e sanguinose hanno avuto per teatro territori tra i peggiori del pianeta: le sabbie torride africane e le steppe russe fangose o gelide. Degli eserciti in campo, furono i soldati italiani a pagare le conseguenze peggiori, appartenendo al più impreparato alla guerra, tanto più alla permanenza in quelle aree spettrali, per non dire del combattervi.
E sulla mancata preparazione, oltre ai contesti geografici sfavorevoli, si deve notare che mentre la campagna di Russia è stata un’invenzione di Mussolini (Hitler riteneva superfluo il nostro modesto apporto), quella d’Africa era inevitabile, per difendere le colonie sulla quarta sponda. Si sapeva che avremmo dovuto combattere nel deserto, ma niente venne organizzato, come niente si fece per neutralizzare Malta, che minacciava le nostre rotte verso l’Africa.
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