Miralegra
- Autore: Marina Silvestri
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2023
Il mondo e l’uomo, l’essere secondo Jung, sono una "complexio oppositorum", unione di contrasti, tematica già elaborata nel XV secolo dal filosofo della "dotta ignoranza" Niccolò Cusano. Trieste multietnica, dal sapore mitteleuropeo, anche patriottica, è un coacervo di contraddizioni. Forse per questa sua anima composita, composta e scomposta a un tempo, scanzonata e ansiosa, terra di grandi scrittori, di psicoanalisti di prestigio (Edoardo Weiss, analista di Saba, Silvio Cusin), esercita un fascino particolare in chi la scopre, ritrovando in sé qualcosa del suo vissuto; città sconosciuta eppure conosciuta, stranamente familiare.
Il romanzo di Marina Silvestri Miralegra, rieditato dopo un trentennio (Hammerle Editori, pp. 101, 2023), mette in luce le aporie della città, che scintillano in una prosa concentrata e densa, raffinata, spesso lirica ma con sapiente misura e dosaggio, non disdegnando, quale contrasto, ciò che Roberto Damiani, in una recensione apparsa nel 1993 su "Il Piccolo", quotidiano della città, ha definito "raccapricciante".
Vero, che cosa può esserci di più macabro dell’irrisione della morte di un proprio caro? A ciò allude il titolo in dialetto del libro; è tratto da una antica canzone popolare, diventa segno apotropaico e, paradossalmente, nel cinico rallegrarsi per il decesso, consolatore.
In questa nuova edizione il pezzo giornalistico di Damiani figura come prefazione, insieme a un cameo di Claudio Grisancich, poeta e scrittore cantore della città, in cui si mescolano lacrime di dolore e gioia.
Il racconto nasce e si conclude in una sola giornata, come accade ne L’Ulisse di James Joyce, mega romanzo di 800 pagine, iniziato proprio nella nostra Trieste.
Joyce, per sua stessa ammissione, la portava in cuore. E come il capolavoro joyciano, Miralegra si svolge per quadri spezzettati, indipendenti l’uno dall’altro, che scorrono come in una sequenza cinematografica (Silvestri, scrittrice e storica, giornalista e regista radiofonica, ha lavorato a Roma a contatto con il cinema, essendo segretaria di De Laurentiis). Usa spesso il "flashback", attualizzando il passato, e il "fermo immagine" per caratterizzare i personaggi con pennellate forti, efficaci.
Questi sono gli avventori di un’osteria, situata nel rione popolare di San Giacomo. Siamo in una giornata di fine inverno, che si annuncia soleggiata e preludio di primavera, per concludersi in pioggia. Anche il tempo meteorologico quindi è bivalente.
I personaggi appartengono a tutte le classi sociali, ma sono perlopiù piccoli artigiani e commercianti, dal calzolaio al salumiere, al pescivendolo. Incontriamo poi la musicista facente parte dell’organico del Teatro Verdi, l’antipatico incravattato impiegato di banca, il professore inflessibile, i pompieri che giocano alla morra, il giornalista che sta partendo per una breve vacanza a Klagenfurt con moglie insoddisfatta e figlia preoccupata dei suoi giocattoli.
Il matto Nereo, già fotografo di successo, è conturbante, ha molto da pensare, pur restando chiuso nel suo nobile silenzio, con caratteristiche autistiche. Dopo la grande riforma di Basaglia, i sofferenti psichici vivono a contatto con l’ambiente, non più segregati in manicomio. Il giovane Sandro vuole fuggire, partire, e partirà quella sera con tutti i sogni in tasca, sentendo Trieste statica, sempre uguale a se stessa. C’è la ragazzina che piange per amore, ma si consola presto.
I sogni degli adulti invece si sono già infranti, il futuro è incerto perché la vita è imprevedibile, "originale" come ha scritto Svevo, oltre che breve.
L’oste, Alfredo, è un filosofo mancato per sua scelta, soddisfatto di aver preferito l’osteria a una carriera accademica. In gioventù si era imbarcato, aveva conosciuto il mondo; i risparmi, invece di essere investiti in una laurea, gli servirono per mettere su il commercio ben redditizio.
Vivere o contemplare la vita da lontano? Alfredo decise per la vita. Il suo tormento inespresso, costante, è la gelosia ossessiva rivolta al primo fidanzato della moglie, un pugile morto sul ring; rimembra l’episodio con intensi momenti di sconforto, giacché proprio quel giorno un altro pugile è caduto sul campo. Tutti ne parlano animatamente, anche un vecchio sordo novantenne.
La tecnica di Silvestri è quella del "flusso di coscienza” inaugurato da Virginia Woolfe Joyce: i pensieri sono posti in primo piano, mentre i personaggi non comunicano quasi fra loro. Il regista della scena, sempre Alfredo, quando la giornata volge alla fine
Si sente cittadino del mondo, come in gioventù, quando sbarcava in porti lontani.
È, e non è. In nessun luogo.
L’osteria diventa l’universo, non solamente uno spaccato di Trieste, così come Grado per Biagio Marin, il poeta dialettale candidato al Nobel, come Trieste per Saba, via San Michele per Grisancich, Dublino per Joyce sono paradigma dell’universo. La totalità. Come il girotondo di Fellini nel finale di 8 ½.
È una felice coincidenza con le emozioni di Jan Morris, l’autrice di Trieste. O del nessun luogo.
Il luogo dell’utopia.
In due pagine memorabili, e sono ricordi fotografici di Nereo, la scrittrice riassume le ferite storiche della città: le foibe, la Risiera (l’abominevole forno crematorio, unico in Italia), il bombardamento degli americani nel ’44, l’occupazione di Tito per 40 giorni, l’esodo istriano e la partenza di tanti sconfitti e battuti verso l’altrove, fino in Australia, in esilio coatto, dopo aver perduto tutto, la propria terra e soprattutto i parenti uccisi, portati via con le bare.
Riguardo a ciò:
Nereo aveva fotografato le bare issate dai paranchi sulle navi.
Perché la storia aveva fatto irruzione nel mondo delle ombre, violato l’eterno. Negato la pietas.
L’osteria, come la pietà di Dio, riunisce tutti i dispersi nel canto serale, innaffiato da buon vino. È un sì all’esistenza, che riconcilia gli opposti.
Un gatto nero, Falisca (significa scintilla in dialetto triestino, ma pure in lingua russa, poiché è stato il titolo di un giornale di agitazione socialdemocratica nei primi anni del Novecento), è il numero tutelare della piccola, immensa comunità.
Si avverte nelle pagine un sentimento mistico laico, o pagano, arcaico, indistruttibile.
La figura del Dio Shiva, il distruttore rigeneratore, aleggia nella canzone delle donne anziane che la mattina giocano a carte. Un anno prima è morto il marito di una di loro, la Jolanda detta “Jole”, anch’essa morta di recente.
Le donne, un anno prima avevano cantano, in apparenza sfacciatamente:
Feghe un buso, feghelo fondo, che no ‘l torni più in ‘sto mondo, miralegra, alegra mi, miralegra, alegra mi…
Chiarisce Silvestri:
E cantando finalmente avevano pianto e si erano sentite meglio.
È un libro di allegria e malinconia riunite, ricco di forza vitale che non si estingue, dalla prima all’ultima pagina, in un giorno qualunque, ma unico, come unico è ogni istante. "Save the time", cogli il tempo vuol dirci, vivilo adesso, e canta.
Ultima chiosa, Marina mi ha confidato lo spirito uniformante, il senso riposto del romanzo:
Nel canto uno trova se stesso.
È stata la sua prima opera letteraria. Davvero mille complimenti.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Miralegra
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