Lo dichiararono morto nel giorno del suo ventunesimo compleanno. Comunicarono alla famiglia che Robert Graves era deceduto durante la Battaglia della Somme.
Se le cose effettivamente fossero andate così oggi Robert Graves sarebbe sepolto sotto una di quelle lapidi comuni adornate con la corona d’alloro che omaggia i caduti nella Prima guerra mondiale: sarebbe un “milite ignoto”, ormai divenuto polvere e il cui nome si è perso nel vento. Invece Robert Graves non era morto e avrebbe narrato quella triste vicenda nella sua autobiografia, Goodbye to All That del 1929 (tradotto in italiano da Adelphi come Addio a tutto questo, Ndr), che oggi rimane uno dei memoir più significativi e completi della vita di un soldato durante la Grande Guerra. Avrebbe scritto altre 120 opere, in poesia, in prosa, divenendo un autore acclamato e insignito di numerosi riconoscimenti, tra cui la Queen’s Gold medal for poetry nel 1968.
Graves era nato a Wimbledon, nel sud di Londra, il 24 luglio del 1895. Fu educato a Charterhouse e stava per iniziare a frequentare il St. John College di Oxford quando la Prima guerra mondiale interruppe la sua vita, infrangendo le sue aspettative e i suoi sogni. Lo avrebbero dato per morto il 24 luglio 1916, ma per fortuna si rivelò essere solo gravemente ferito. Scopriamo come andarono veramente le cose.
Robert Graves: la vita
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La guerra dunque segnò uno spartiacque nella vita di Robert Graves. Un attimo prima era un giovane intellettuale, aspirante poeta; un attimo dopo era un soldato che combatteva nel buio delle trincee di una guerra che doveva essere “lampo” ma si rivelò, invece, interminabile.
Si era arruolato subito volontario proprio perché desideroso di combattere per la patria. Gli venne assegnato un incarico nella Riserva Speciale dei Royal Welsh Fusiliers nell’agosto 1914. L’anno successivo prestò servizio nel primo reggimento e combatté nella battaglia di Loos. Proprio in questa occasione incontrò il commilitone, a sua volta soldato e poeta, Siegfried Sassoon.
Nel marzo del 1916 Graves si trovava proprio con il 1° battaglione a Fricourt, sulla Somme. Avrebbe avuto diritto a un periodo di congedo nel quale poté tornare a Londra, dopodiché avrebbe fatto ritorno sulla Somme nel mese di luglio, stavolta affiancato al 2° battaglione. Il gruppo di Graves si sarebbe inoltrato nel bosco di Mametz; qui le notti erano talmente fredde che il soldato batteva i denti e si ritrovò a rubare gli indumenti alle vittime tedesche per avere un poco di sollievo. Le atmosfere cupe del bosco di Mametz, il senso di morte sempre incombente, ispirarono a Robert Graves alcune delle sue migliori poesie, tra le quali ricordiamo Un Boche morto, versi composti dinnanzi alla visione - drammatica, sconcertante - di un cadavere.
Il 20 luglio del 1916 Robert Graves si trovava sul crinale est del cimitero di Bazentin-le-Petit insieme al suo battaglione, quando, tutto a un tratto, un’esplosione di granate spezzò il silenzio costringendo l’esercito alla ritirata. Fu una pioggia di fuoco, una granata tedesca scoppiò proprio accanto a Graves che venne sbalzato lontano “come se mi avessero dato un pugno tra le scapole”, avrebbe raccontato in seguito nella sua autobiografia. I colpi di fucile fecero il resto; mentre cadeva disteso, una scheggia di granata gli trapassò il petto. Venne portato subito nel bosco, dove già si trovavano gli altri feriti. Non vedendolo sul campo gli altri commilitoni lo diedero per morto, invece il giorno dopo il ferito, sopravvissuto miracolosamente alla lunga nottata, era stato trasportato nell’ospedale di Rouen. Nel frattempo alla famiglia era stata inviata una lettera in cui si dichiarava che Robert Graves era morto a causa delle ferite mortali riportate in battaglia. Il giorno dopo l’annuncio fu dato persino dal Times. Non potevano sapere che invece Robert era vivo ed era stato trasportato al Queen Alexandra’s Hospital di Londra.
Robert Graves era vivo e avrebbe continuato a scrivere poesie, pubblicando diverse raccolte già durante la Prima guerra mondiale.
In una poesia, The Face in The Mirror, tracciava il suo formidabile autoritratto in cui mostrava il suo volto giovane emaciato dalle ferite della guerra:
Occhi grigi e tormentati, che fissano distrattamente
Da orbite larghe e irregolari; una sopracciglia cadente
un po’ sopra l’occhio
A causa di un frammento di missile ancora in eredità,
come una sciocca traccia di combattimenti del vecchio mondo.Naso storto e rotto, causato da un placcaggio;
Guance solcate; capelli grigi e ruvidi che volano frenetici;
Fronte, rugosa e alta;
Guance, prominenti; orecchie, grandi; mascella pugilistica;
Denti, pochi; labbra, piene e rubiconde; bocca, ascetica.
A causa dello shock subito, denominato proprio “shock da granata”, nel 1919 Graves fu congedato dall’esercito con il grado onorario di maggiore. Aveva soli ventitré anni.
Robert Graves avrebbe attraversato il suo tempo con tutto il corpo: dall’Inghilterra edoardiana alle due guerre mondiali, dai rivoluzionari anni Sessanta al lungo oblio impostogli dall’Alzheimer. La sua scrittura, lungo tutto l’arco della sua vita, avrebbe continuamente lottato contro quel “non senso”, contro l’assurdità che si era palesata nella sua esistenza con la ferocia inenarrabile della guerra e lo avrebbe accompagnato sempre.
Robert Graves: le opere
La sua poesia, la sua prosa infine, si sarebbe sempre nutrita delle letture dei classici e della mitologia che avrebbe narrato e commentato in saggi divenuti perle letterarie e preziose opere di riferimento nel genere.
Scrisse la La Dea Bianca. Grammatica storica del mito poetico che T. S. Eliot pubblicò con entusiasmo nel 1948. Dopo gli esordi come poeta ottenne successo in veste di autore di romanzi storici, come Il vello d’oro (1944); King Jesus (1946). Riscrisse in prosa una versione divenuta famosa de L’asino d’oro di Apuleio. Scrisse più di cento opere, un numero sorprendente delle quali oggi è ancora in ristampa, tra cui romanzi, libri di testo, guide alla mitologia come I miti greci, I miti ebraici e La figlia di Omero.
Su Graves sono state tramandate ogni genere di leggende: la sua esistenza stessa divenne mito, così come la malattia neurodegenerativa che lo portò via poco a poco traghettandolo nell’oblio. Si racconta che lavorasse in maniera ossessiva, addirittura diabolica, quasi sino all’esaurimento nervoso. Il ritratto più curioso di Robert Graves ce lo ha consegnato Virginia Woolf, che lo definì:
Un bel giovane ingenuo e scorbutico.
Mantenne sempre qualcosa di stravagante nel suo aspetto, persino in età avanzata, tanto che gli davano del “Mago” poiché indossava un cappello nero a punta. Woolf lo trovava noioso; ma Graves seppe intuire, quasi profeticamente, molte tendenze culturali in voga nella nostra contemporaneità. Fu il primo a parlare di società matrilineari, di visioni trascendentali e a intuire che le nostre visioni di Paradiso e Inferno potrebbero essere derivate da antichi culti ancora praticati nelle società indigene. Credeva che guerra e amore provocassero una devastazione simile, così come storia e mito, in fondo, si trovassero sovente a coincidere:
C’è una storia e una sola storia
che varrà la pena di essere raccontata,
sia come dotto bardo che come bambino dotato;
A essa appartengono tutti i versi o le gesta minori
che fanno trasalire con il loro splendore
le storie in cui si perdono.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Robert Graves: vita e opere del poeta soldato che combatté sulla Somme
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