Ronnie Banti ha perso la scommessa
- Autore: Simone Ghelli
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2022
Ronnie Banti ha perso la scommessa (Divergenze Edizioni, 2022) è una novella che si può leggere come romanzo breve o racconto lungo. In queste pagine c’è tutta la maestria narrativa di Simone Ghelli, che rilasciò anni addietro un’intervista a Sololibri su chi fossero gli Scrittori precari rispondendo alle domande di Matteo Grimaldi e di Rachele Landi.
Nel frattempo Ghelli ha continuato a scrivere testi brevi: novelle, ma anche due romanzi. La forma breve gli ispira le cose migliori, è così da quando scriveva pezzi per il cinema che chi scrive metteva sempre in risalto, perché erano quelli più interessanti (abbiamo un passato in comune io e Simone Ghelli, che ho sempre ammirato per i suoi articoli di cinema, ma sono passati decenni, o forse meno).
Ronnie Banti non è Ghelli, perché anche laddove fossero inseriti nello scritto dei fatti autobiografici, la letteratura li trasforma in finzione, perché è nella sua natura affabulatoria e volontariamente mendace.
Il protagonista Ronnie, di cui sappiamo poco, oltre agli studi universitari fatti senza convinzione all’inizio e poi il lavoro, un lavoro qualsiasi per poter dimenticare di sera, o nella notte, il pensiero della sveglia per l’indomani, per poter scrivere qualcosa, con la consapevolezza che la precarietà della scrittura non paga bollette o affitti in case piccolissime. Chi scrive, spesso associa chi vuole disperatamente scrivere a un malato, mentre invece potrebbe avere una vita più semplice e forse più serena. Ma non c’è verso, una specie di urgenza e un bisogno di "autenticare" le azioni giornaliere, fosse anche quello di pensare e di scrivere di un film visto al cinema o in televisioni mezze rotte di una pellicola "fuori orario" su RaiTre commentata da Enrico Ghezzi e dalla splendida voce del compianto Vieri Razzini, che ci ha lasciati da poco (Vieri Razzini, scrittore e giornalista, è deceduto il 7 luglio del 2022).
Effettivamente la passione per i film di Ronnie è la stessa dello scrittore, ma senza ripeterci, c’è un passo del racconto che a questo proposito può essere esaustivo:
Aveva seguito l’indole, ma non aveva fatto programmi per il futuro neanche dopo la laurea. Ecco perché Siena era stata la sua Heimat (Patria, in italiano, Ndr) almeno dall’inverno del ’96 alla seconda estate del nuovo millennio.
Queste poche righe servono per capire che l’innocenza di Ronnie davanti a un futuro precario (chissà quante volte Ghelli ha scritto "precario" nei suoi racconti, moltissime volte, credo), ma ancora con delle possibilità, sperando in una energia nuova per portare stabilità nella sua vita, un lavoro che gli piacesse, ma tutto divenne vacuo e privo di speranza coi fatti di Genova del 2001 (episodi di cronaca nera terribili, nella città che ospitava gli otto "Presidenti" dei paesi più industrializzati) e poi il crollo delle Twin Towers, nello stesso anno. Ronnie rimase stupito dalla reazione degli amici, incollati al televisore, a vedere e rivedere il crollo, con troppe birre in corpo e la puzza di cannabis, esaltati senza ragione dalla debolezza del sistema militare e industriale americano.
A tutto questo si affianca la morte dell’amico Dario, un dramma che sancisce la fine dell’età dell’innocenza di Ronnie.
D’altra parte tra avvenimenti luttuosi di attualità e la morte dell’amico, lo scrittore Ghelli, della vita privata di Ronnie non racconta niente, oltre agli studi fatti, ai concorsi, alla quantità strabiliante di film visti e un accenno ai genitori che potevano permettersi di mantenere totalmente Ronnie agli studi e anche dopo la laurea, anche se il ragazzo aveva sempre lavorato per non sentire il peso economico ricadere interamente sulle spalle della sua famiglia.
D’accordo, è una novella, ma non c’è traccia di una fidanzata, o di qualcuna che le piacesse, dando per buona la certezza della eterosessualità del ragazzo. Né ci sono cene o pranzi familiari, in cui capiamo quanto il mondo di Ronnie sia distante da coloro che lo hanno messo al mondo, ma sono solo congetture. Perché l’autore, nelle maglie di un racconto lungo toglie fatti e situazioni inessenziali. L’università, il cinema e il lavoro, sembra inutile aprire sottotrame per la stesura di una paginetta.
Ed è anche sciocco chiedersi tanti altri particolari, perché questa novella è bella e ben scritta, anche in virtù delle cose tagliate, di un montaggio rigoroso, del dolore di vivere a causa della attualità cosparsa di fatti orribili e del primato della cultura sui lavori svolti in giovinezza fin quasi alla maturità. Questo primato, tuttavia, non serve al protagonista a rendere meno dura l’alienazione delle otto ore da passare in un posto anonimo come operaio o altro.
In questo quadro, umiliante ma umanissimo, scrivere è la vocazione per dare senso ai giorni che passano e nell’attesa di insegnare a noi lettori-alunni questo mondo buio e complesso, questa novella sarebbe piaciuta alla filosofa Simone Weil, che su alcuni punti sarebbe stata d’accordo, lei che addirittura scrisse Diario di una fabbrica (Marietti editore, 2015).
Ronnie Banti ha perso la scommessa
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