Sacro minore
- Autore: Franco Arminio
- Categoria: Poesia
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2023
La nuova opera poetica di Franco Arminio, Sacro minore (Einaudi, 2023), è caratterizzata da un frammentismo espressivo in cui la parola, immergendosi nella percezione sensoriale della realtà, raggiunge un grado estremo di asciuttezza ed epurazione formale che coincide con un’altrettanto nitida essenzialità di visione.
La frammentarietà di questi testi brevi , tutti introdotti dall’aggettivo sostantivato “Sacro” declinato al singolare e al plurale, fondendosi nella compagine del testo nella modulazione di un carme continuo, produce nella coscienza dei lettori l’impressione di un germoglio, repentino e vibrante, di fioretti spuntati dal vuoto cosmico, nell’accezione francescana del termine, per l’intensità, al contempo personale e corale, di un dialogo incessante con il miracolo elementare della creazione che acquista la risonanza solenne della preghiera, tanto più evocativa quanto più si manifesta in una forma povera e dimessa.
Sacre/le uova calde nella paglia/le nuvole che entrano/ed escono dalle orecchie/dei muli, le cicche, i vermi/le macchie d’olio sull’asfalto/i cani quando vai a trovarli,/il dolore umano e chi sa toccarlo.
Il “Sacro” per Arminio, come per l’autore del “Cantico delle creature”, è un’esperienza nutrita di stupore, di appartenenza e di comunione che lega la terra al cielo, le creature al loro Creatore; una continua opera di scoperta e di rivelazione , una ricchezza che consiste nel “ ridursi a poche cose / da perdere o da salvare”; una condizione dello spirito che resta fedele a un sentimento della realtà inviolabile giacchè contiene in sé il senso della nascita, del mondo e di ogni sua creatura, e che va quindi custodito e protetto , ovverosia messo al riparo. Ecco dunque che ogni parola di questo carme acquista, in chi la pronuncia o vi si pone in ascolto, la vibrazione profonda e il peso di una costruzione umana compiuta nella sequenza di ogni attimo di cui è composto il Tempo umano, ma al contempo sconfinante, nell’orizzonte di un progetto divino.
Osservare, mettersi in ascolto di ogni elemento della creazione, anche il più minuscolo e invisibile, coincide dunque con una nuova possibilità di visione che è anche uno sconfinamento, un’apertura verso un cielo che non è altro che il tetto , il recinto entro il quale la materica finitezza del reale riflette l’infinitudine del divino.
In questa percezione del Sacro come di un cielo non separato ma consustanziato alla dimensione umana, al tempo della fatica e del dolore; compromesso con la polvere e il fango, impregnato dei colori e gli odori dei luoghi dell’umile esistenza terrena ( e terragna) , come il mostro ricavato dalla spremitura della vite, c’è il mistero incarnato dell’acacia fiorita, del “filo d’acqua che rimane nel torrente”, dei vecchi negozi ingombri di oggetti desueti, del sonno dell’amata, del sole “che sorge/negli occhi stanchi di un asino”, della pazienza e saggezza dei nostri padri e delle nostre madri; dei contadini che “chiamano per nome i loro animali”; dei vecchi “che fanno finta di niente,si muovono/in mezzo alla morte senza nominarla”; e della parola stessa:
che arriva dal tremore/senza nessuna intenzione, nessuna missione.
Sacro pertanto tutto ciò che, offrendosi gratuitamente come un dono, attraverso le esperienze , i ricordi, le sensazioni, anche le più futili, ci induce a ripiegarci in noi stessi, nelle profondità del nostro sentimento, per ritrovarvi una verginità anziché una disarmonia, lasciando che le cose esistano, continuino a nascere e fiorire, alimentate da uno sguardo che le custodisca intatte, senza il bisogno “ricattevole” di doverle a ogni costo possedere. E dunque:
Sacro è il fico non colto,/ il suo silenzio assorto.
E come quell’umile pianta, che continua a crescere nella sua bellezza invisibile, anche la vita umana continuerà a splendere nelle sue malinconie e fallimenti (“Sacri/ sono i falliti”), nella sua giustezza invisibile e indipendente dai valori fasulli del successo, dell’opportunismo, dell’egoismo egolatrico, se riusciremo a riscattare dallo sciupio degli anni, dei mesi , dei giorni:
quel minuto/in mezzo alla giornata/che resta intero/come un fiammifero/non bruciato.
Come un agrimensore sapiente ed un "eterno principiante" (stilema evocativo di un libro di Mario Luzi, affine per ispirazione ed elezione alle pagine di questa raccolta), Arminio, perimetrando lo spazio del Sacro nell’orizzonte umano, ne pone i confini tra due termini che si stagliano con il rilievo e l’assolutezza di parole-verso, nel testo iniziale ( “Sacro è non perdere la timidezza”) e in quello conclusivo della raccolta : “Sacro è guarire”.
E se il primo pone l’accento sulla timidezza, ossia quel sentimento di reverenziale timore che deve accompagnare e nutrire ogni esperienza autentica, nel termine “guarire” sembra di percepire una incrinazione della voce, un magone dolente e una speranza commossa.
Come se la malattia del nostro tempo attuale, quell’immanentismo materialista e dissacrante costruito con il cemento di bisogni irreali ed eterodiretti, in cui l’uomo si dibatte e si costringe nella sua prigione senza sbarre non avesse del tutto neutralizzato il bisogno originale di una guarigione, che non è altro che una nostalgia di trascendenza, di eternità, di umanità.
Sacro minore
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