Il nome di Rudyard Kipling è universalmente noto per vari motivi, che spesso appaiono disgiunti: alcuni lo conoscono come l’autore de Il Libro della giungla (1894); altri come il più giovane Premio Nobel per la Letteratura della storia; altri ancora per i suoi romanzi e racconti di guerra; altri per le sue poesie. Pochi sanno che Kipling è stato tutte queste cose insieme: lo scrittore di libri per bambini, l’illustrissimo Premio Nobel, il corrispondente di guerra, il poeta. Appare difficile talvolta far convergere tutte queste idee e ruoli nella figura di un unico uomo. Ma c’è un’altra cosa che caratterizza fortemente la vita di Kipling, sia dal punto di vista biografico che letterario: l’essere stato il padre di John.
Alla memoria del figlio John chiamato affettuosamente “Jack”, scomparso precocemente durante la Prima guerra mondiale, Rudyard Kipling dedicò alcune delle sue più celebri poesie. Tra queste ricordiamo Se (1895) (titolo originale If, Ndr), scritta quando John era ancora vivo e aveva tutto il futuro davanti a sé, fu il dono del padre per il quindicesimo compleanno del figlio.
Si tratta della poesia più bella di Rudyard Kipling, una delle ragioni per le quali lo scrittore britannico - nato originariamente a Bombay, nel 1865 - è spesso citato e ricordato ancora oggi.
Se è una lezione di vita, ma anche il profondo atto d’amore di un padre nei confronti del figlio, il tentativo di dare delle regole e, al contempo, delle ali per affrontare l’esistenza in tutta la sua complessità. La poesia si lega a doppio nodo anche a un episodio cruciale nella vita di Kipling e a un senso di colpa che lo scrittore si porterà dietro come un fardello per tutta la vita, sino alla morte che lo colse all’improvviso il 18 gennaio del 1936.
“Se” infatti, dopo aver elencato vari precetti morali, si conclude con una frase cruciale:
Sarai un uomo, figlio mio
John Kipling rimase, invece, un eterno ragazzo: morì nel 1915 a soli diciotto anni, sul fronte francese, durante la Battaglia di Loos. Con lo scopo di farlo “diventare un uomo” il padre lo aveva mandato in guerra, facendolo arruolare presso il reggimento della Guardia Irlandese. La verità era che John non era destinato al fronte: aveva un serio problema alla vista che lo fece giudicare “non idoneo” alla visita per l’arruolamento. Fu lo stesso Rudyard Kipling - che era anche un ufficiale dell’esercito inglese - a insistere, a mettersi in mezzo perché il figlio fosse arruolato e partecipasse alla guerra come tutti i suoi coetanei. Grazie al suo intervento John fu fu nominato sottotenente nel secondo battaglione delle Guardie irlandesi e posto come comandante di un plotone che era destinato a combattere in Francia.
Rudyard Kipling in quel periodo vedeva la Prima guerra mondiale come una vera e propria crociata a favore della civiltà; i suoi interventi a favore della guerra erano numerosi, del resto era un ufficiale e un fervido patriota, naturale che volesse che il figlio partecipasse al servizio attivo. Ma John Kipling risultò tra i dispersi, dopo la battaglia di Loos, nel settembre 1915. Da quel momento Rudyard non si diede pace, cominciò le ricerche aiutato dalla moglie Caroline, mobilitò ogni sua conoscenza per ritrovarlo; ma fu tutto inutile. John era morto, era stato colpito alla testa da una granata - come dichiararono alcuni testimoni, che però non ebbero il coraggio di dire la verità ai Kipling. Alla vicenda è stato dedicato persino un film diretto da Brian Kirk, nel 2007, dal titolo My boy Jack.
Rudyard Kipling convisse con il senso di colpa per la morte del figlio sino alla fine della sua esistenza, non si diede mai pace. Della breve vita di John e del suo possibile futuro rimane traccia nella poesia Se che, letta con la coscienza del suo tragico destino, appare ancora più straziante.
In questi versi si avverte tutto l’amore di un padre che in fondo augura al figlio ciò che ciascun genitore vorrebbe: di crescere, di vivere la vita a testa alta e di affrontare al futuro. Rudyard Kipling assolveva il proprio compito di padre: insegnare a un figlio come vivere, e non come morire.
Lo scrittore non poté mai dare una degna sepoltura al figlio, ma preparò un epitaffio per la sua tomba:
If any question why we died, / Tell them, because our fathers lied.
Letteralmente: “Se qualcuno si chiederà perché siamo morti, / dì loro: perché i nostri padri hanno mentito.” Queste parole ci restituiscono l’esatta misura del senso di colpa provato da Kipling per la morte del figlio: credeva di avergli mentito, donandogli quella promessa di futuro che poi non si era avverata, volendo fare di lui un uomo mandandolo dritto sul fronte nelle fauci della morte. Gli insegnamenti che aveva scritto per John in Se ora doveva utilizzarli per sé stesso, farne tesoro per superare il dolore della sua perdita.
“Se” di Rudyard Kipling: testo
Se riesci a non perdere la testa quando tutti intorno a te
la perdono e ti mettono sotto accusa.Se riesci ad avere fiducia in te stesso
quando tutti dubitano di te,
ma a tenere nel giusto conto il loro dubitare.Se riesci ad aspettare senza stancarti di aspettare
o essendo calunniato a non rispondere con calunnie,
o essendo odiato a non abbandonarti all’odio,
pur non mostrandoti troppo buono,
né parlando troppo da saggio.Se riesci a sognare senza fare dei sogni i tuoi padroni.
Se riesci a pensare senza fare dei pensieri il tuo fine.
Se riesci ad incontrare il successo e la sconfitta
e trattare questi due impostori allo stesso modo.Se riesci a sopportare di sentire le verità
che tu hai detto distorte da furfanti
che ne fanno trappole per sciocchi o vedere le cose
per le quali hai dato la vita distrutte e umiliarti
a ricostruirle con i tuoi strumenti oramai logori.Se riesci a fare un solo fagotto delle tue vittorie
e rischiarle in un solo colpo a testa e croce
e perdere e ricominciare da dove iniziasti senza
mai dire una sola parola su quello che hai perduto.Se riesci a costringere il tuo cuore, i tuoi nervi,
i tuoi polsi a sorreggerti anche dopo molto tempo
che non te li senti più ed a resistere
quando ormai in te non ce più niente
tranne la tua volontà che ripete “resisti!”Se riesci a parlare con la canaglia
senza perdere la tua onestà
o a passeggiare con i re
senza perdere il senso comune.Se tanto nemici che amici non possono ferirti
se tutti gli uomini per te contano
ma nessuno troppo.Se riesci a colmare l’inesorabile minuto
con un momento fatto di sessanta secondi
tua è la terra e tutto ciò che è in essa
e quel che più conta sarai un uomo, figlio mio.
“If” di Rudyard Kipling: testo originale
If you can keep your head when all about you
Are losing theirs and blaming it on you,
If you can trust yourself when all men doubt you,
But make allowance for their doubting too;
If you can wait and not be tired by waiting,
Or being lied about, don’t deal in lies,
Or being hated, don’t give way to hating,
And yet don’t look too good, nor talk too wise:If you can dream—and not make dreams your master;
If you can think—and not make thoughts your aim;
If you can meet with Triumph and Disaster
And treat those two impostors just the same;
If you can bear to hear the truth you’ve spoken
Twisted by knaves to make a trap for fools,
Or watch the things you gave your life to, broken,
And stoop and build ’em up with worn-out tools:If you can make one heap of all your winnings
And risk it on one turn of pitch-and-toss,
And lose, and start again at your beginnings
And never breathe a word about your loss;
If you can force your heart and nerve and sinew
To serve your turn long after they are gone,
And so hold on when there is nothing in you
Except the Will which says to them: ‘Hold on!’If you can talk with crowds and keep your virtue,
Or walk with Kings—nor lose the common touch,
If neither foes nor loving friends can hurt you,
If all men count with you, but none too much;
If you can fill the unforgiving minute
With sixty seconds’ worth of distance run,
Yours is the Earth and everything that’s in it,
And—which is more—you’ll be a Man, my son!
“Se” di Rudyard Kipling: analisi e commento
Se di Rudyard Kipling è un componimento dal forte valore ispirazionale, motivo per cui la poesia ancora oggi viene letta e condivisa. La lezione di vita di Kipling è sempre valida, indipendentemente dal periodo storico o dalle circostanze.
Attraverso questi versi l’autore inglese spalanca molteplici scenari, con l’intento di dimostrare al figlio - ma anche ad ogni uomo - come superare le avversità in qualsiasi circostanza.
Il titolo è una proposizione controfattuale “Se” ed è rappresentativo dell’intero componimento, impostato da Kipling quasi come un’equazione matematica che si evince nella conclusione: se farai tutte queste cose, conclude l’autore, allora sarai un uomo.
L’insegnamento sostanziale di Kipling è l’invito ad esercitare l’autocontrollo e la perseveranza e al sapere accettare la sconfitta, quando si presenta.
Kipling pone l’accento in particolare sulla fiducia in sé stessi e l’empatia nei confronti degli altri, due caratteristiche fondamentali per vivere bene sia nella sfera pubblica che in quella privata. La poesia si snoda come un unico flusso di pensieri, costituisce di per sé una frase completa, un discorso compiuto.
Uno degli aspetti più interessanti del poemetto è la riflessione di Kipling sull’instabilità della vita: l’autore raccomanda di considerare il “successo” e la “sconfitta” allo stesso modo e li definisce, non a caso, con una personificazione come “impostori”, poiché non hanno nulla di durevole. Il successo può convertirsi in un disastro e viceversa. Il verso “If you can meet with triumph and disaster and treat those two impostors just the same” (trad. Che tu possa incontrare il trionfo e il disastro e fronteggiare quei due impostori nello stesso modo) è considerato una vera e propria frase motivazionale, tanto da essere stato inciso sul muro all’ingresso del Centre Court a Wimbledon, dove ogni anno ha luogo il torneo di tennis.
La nostra esistenza è sottoposta a inesorabili mutamenti: lo sapeva bene Rudyard Kipling che nella propria vita sperimentò la vertigine dell’ascesa - il premio Nobel, il successo internazionale, i riconoscimenti - e lo smarrimento della caduta - la morte dei figli, il dolore inconsolabile, la guerra. Tutto nella nostra esistenza è dato dal caso; ma Kipling in questi versi, come Seneca, ci insegna a governarlo o, quando questo non è possibile, ad accettarlo. Attraverso l’uso dell’anafora, la ripetizione costante della particella “se”, Kipling crea un senso costante d’attesa, poiché il lettore attende la seconda parte della proposizione, il finale che la completi - e infatti la conclusione non tarda ad arrivare.
Nelle ultime strofe la raccomandazione infatti è quella di resistere, e di imparare anche a superare il dolore tenendo i nervi ben saldi, a non soffermarsi sui dispiaceri e i pensieri negativi.
Se si riescono a tenere bene a mente tutti questi precetti, conclude Kipling, si avrà il mondo in pugno. Questa è la lezione poetica di vita dello scrittore premio Nobel che in fondo non è altro che un augurio di futuro per suo figlio, la volontà di farlo crescere in virtù e in saggezza. John, come sappiamo, morì troppo presto; ma rimane da sperare che, in vita, seppe esercitare saggiamente ogni consiglio datogli dal padre. Morì che era un ragazzo, ma in fondo era già grande, poiché aveva imparato a non arrendersi mai e a utilizzare ogni secondo del suo tempo senza mai sprecarlo. Aveva vissuto sino all’ultimo respiro, facendo proprio ogni attimo, ogni battito del cuore, proprio come suo padre, Rudyard Kipling, si era augurato.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Se” di Rudyard Kipling: la poesia dedicata al figlio John
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