Sindrome da panico nella Città dei Lumi
- Autore: Matei Vișniec
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Voland
- Anno di pubblicazione: 2021
L’esordio di questo esilarante romanzo Sindrome da panico nella Città dei Lumi di Matei Vișniec ‒ pubblicato in Romania nel 2008 dalle edizioni Cartea Românească con il titolo Sindromul de panică în Orașul Luminilor e in Italia da Voland nel 2021 nella traduzione di Mauro Barindi ‒ mi ricorda Aspettando Godot, per il clima di attesa che si crea al caffè Saint Médard di Parigi, palcoscenico ideale di incontri impossibili con il fantomatico signor Cambreleng. Costui è un editore che forse non pubblicò mai nemmeno un libro, che forse non aveva nemmeno una casa editrice, tiranno e improbabile mecenate dei suoi ipotetici autori.
Al contrario di Godot, però, Cambreleng arriva alla fine del primo capitolo, in ritardo di più di un’ora per l’appuntamento fissato con il personaggio-autore Vișniec, al quale sembra di intravedere in quel caffè Samuel Beckett e Michail Tournier o qualcuno che assomiglia molto a loro.
Cambreleng è il personaggio che esordisce nel primo capitolo e che apparirà fino all’ultimo, come lo stesso autore. Egli ci fa entrare in contatto con tanti altri personaggi, che convergono tutti al caffè Saint Médard per proporgli i loro manoscritti e dei quali conosceremo pian piano le storie.
Essi si affidano totalmente a questo affascinante incantatore che, fin dalle prime pagine, tuona contro l’incapacità degli scrittori cui dà udienza e si sbilancia in giudizi di merito e di valore su di loro, inveendo contro i romanzi scritti in prima persona per i danni culturali da essi causati; ma che riesce anche a introdurci in un mondo reale e al tempo stesso onirico, che ruota intorno a Parigi. La città è meta di una miriade di autori che non hanno compreso che essa è ormai un museo, un’illusione, una città criminale che ha strappato tanti talenti di scrittori dai loro alveoli originari per illuderli e fagocitarli.
Tra loro Vișniec che, quando arriva a Parigi, esule dalla Romania di Nicolae Ceaușescu e ottiene il passaporto nel 1987 decide di rimanere in Francia, dove è molto conosciuto (come nei paesi dell’Est Europa), in quanto famoso autore della poesia: La nave , una riuscita ed esilarante metafora sulla dittatura, che spopolò in Romania e provocò grandi danni all’ideologia ufficiale, e forse addirittura il crollo del comunismo.
In una Parigi di fine secondo millennio, in cui non muore mai nessuno, incontriamo i fantasmi degli scrittori vissuti lì, ci sediamo insieme a numerosi personaggi nei caffè “creatori” di grandi correnti letterarie o filosofiche, dove è nato il surrealismo o l’esistenzialismo o l’Enciclopedia Francese; a un certo punto, Emile Cioran viene invitato a sedersi al tavolino da Cambreleng, che si trova in compagnia di Vișniec sulla terrazza di un caffè accanto al Teatro Odéon.
L’autore ci narra le storie reali o surreali di numerosi personaggi, che sembrano prima slegate, poi si incrociano e si riflettono come in un caleidoscopico specchio, nel quale i frammenti delle loro vite si ricompongono lentamente e quasi magicamente riempiendo vuoti e restituendoci una pienezza di senso che all’inizio sembrava assente.
Matei Vișniec ha attraversato tante frontiere fisiche e reali, immaginarie e simboliche e con questo romanzo ci invita anche chiederci dove è posta quella tra essere persone e personaggi, dove inizia e dove finisce la nostra libertà di costruire, di scrivere, quando in realtà sono le parole a scrivere e a costruirci, dove inizia l’atto di volontà che spinge lo scrittore a far diventare una persona personaggio:
Avevo attraversato la frontiera terrestre più traumatizzante, quella tra l’Est e l’Ovest, avevo attraversato la frontiera tra la lingua materna e la lingua francese, avevo attraversato la frontiera tra la realtà e la finzione, avevo attraversato la frontiera tra la vita e i sogni, avevo attraversato tutte le frontiere di tutti i generi letterari… Frontiere piccole grandi, visibili e invisibili, interne ed esterne, psicologiche e fisiche, sociali e domestiche, erotiche e fantasmatiche … Ogni limite superato o quanto meno posto in discussione o in dubbio, era stata una frontiera. Ma non era sufficiente …
E ci sono individui che desiderano diventare personaggi e talvolta, i personaggi pretendono di avere più spazio e cercano in tutti i modi di attirare l’attenzione dell’autore per diventare personaggio principale; o almeno, per diventare un “personaggio secondario interessante” o avere più di qualche riga per farsi conoscere.
La dialettica, tipicamente pirandelliana, tra persone e personaggi cede il passo a quella tra autore e personaggio e dimostra che siamo tutti autori e personaggi delle nostre vite:
Georges indicò a François altre figure sul punto di diventare personaggi o autori, o di valicare la frontiera transitando da uno stato all’altro»; perché o si recita o si diventa personaggi o si scrive; si diventa autori che scrivono le storie dei personaggi e la frontiera tra finzione e realtà diventa quasi impercettibile.
E c’è una libreria dove la signorina Faviola si prende cura dei libri che soffrono, dei libri malati o infelici che nessuno legge. Perché le librerie sono canili o mattatoi dove i libri sognano di essere tirati fuori e sono obbligati a vivere l’uno accanto all’altro:
Noi non abbiamo un udito abbastanza sviluppato per sentire come gridano i libri dagli scaffali. Libri mai sfiorati, libri mai desiderati, libri mai sfogliati da un anno, da due anni, da dieci anni […] Non sentiamo neppure l’orrore sperimentato dai libri nell’essere sistemati gli uni accanto agli altri, obbligati a vivere appiccicati tra loro … Libri pregevoli, accanto a libri scadenti, libri moribondi appiccicati a libri ancora in vita, libri fondamentali appiccicati a libri nati morti.
E trova spazio anche l’ironica costatazione che siamo in un mondo in cui, di fatto, nessuno legge, [dove] è normale che tutti scrivano o il tragicomico salvataggio, presso il Salone internazionale del libro, di uno scrittore martoriato dalla propria casa editrice che, come tante altre, pubblica anche quelli che non può promuovere solo perché non siano altri a pubblicarli.
Molti capitoli sono esilaranti per la creatività delle soluzioni linguistiche, l’originalità della tecnica di incastro delle storie, la creatività delle invenzioni letterarie o la particolarità delle voci narranti: un gatto, una gobba autrice di un diario, in cui dichiara che il suo grande problema è l’amore o meglio la sua mancanza. Anche le tematiche affrontate sono varie: molto interessante la "fissazione" per le notizie del personaggio Georges e del suo cane Madox, che muore di depressione per la mancanza del cicaleggio delle notizie, quando non può più ascoltarle.
E leggiamo: dell’invasione di Praga da parte dell’URSS nel 1968, della rieducazione nei campi di lavoro di Hung Fao, uno dei candidati alla libertà, sotto le cui spoglie di personaggio si nasconde Geo Xingjian, lo scrittore cinese che riesce a fuggire da uno di quei campi, a raggiungere la Francia, a scrivere cinque romanzi sconvolgenti sulla rivoluzione cinese a vincere il Nobel nel 2000.
E Cambreleng, maoista pentito, a un certo punto è entusiasta perché nessuno dei suoi scrittori vuole più essere pubblicato, nessuno firma i propri fogli scritti e tutti:
hanno accettato di condividere le parole! [che] È l’unica forma di collettivismo, di comunismo che funzioni» e pubblica un unico libro, un capolavoro anonimo di «quattrocento pagine di parole raccolte dalla strada, in città, dalle etichette dei vestiti, da oggetti industriali, dalle automobili, da tutto quanto si muovesse o appartenesse al mondo urbano.
L’autore-personaggio alla fine si libera, smette di scrivere, si stanca delle parole, di “vedere” le parole, sfere enormi o meduse, le parole iceberg, da contemplare, da evitare; si stanca delle loro rivolte e si gode Parigi.
Da scrittore diventa lettera, segno e torna a Rădăuţi, nella sua città d’origine, dove ritrova il suo amico di infanzia: Gogu Boltanski uno specchio al contrario del destino dell’autore che non ha mai lasciato la sua città ed è diventato l’esemplificazione della teoria della semplificazione della vita, della sindrome che ha preso il suo nome.
Leggiamo questo bellissimo romanzo e renderemo possibile ciò che Matei dice alla fine:
So che non posso dire alle persone da cui sono circondato: Su abbracciamoci perché formiamo tutti un testo, una storia unica, fragile, destinata a evaporare nel momento stesso in cui la si scrive.
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