Spaghetti western 4. Il crepuscolo e la notte del genere (anni ’72 a oggi)
- Autore: Matteo Mancini
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2019
Negli anni Settanta frequentavo i cinema di terza visione. Lo facevo perché le maschere erano solite chiudere un occhio (per non dire tutti e due) sui divieti ai minori e perché una parte consistente del cinema popolare transitava da quelle sale. Per dirne una, in un solo pomeriggio potevi vedere Zombi e un’altra pellicola minore al costo di un solo biglietto. È più o meno in questo modo che sono diventato onnivoro di film. Ricordo diversi polizieschi con Maurizio Merli e/o Tomas Milian, qualche thriller sulla scia zoofobica dell’Uccello dalle piume di cristallo, tanti kung-fu movie (a un certo punto era scoppiata in Italia una vera mania per i kung-fu movie).
Tolti quelli ilari con Bud Spencer & Terence Hill non mi ricordo western. Negli anni Settanta l’onda lunga dei capolavori leoniani si era affievolita in modo consistente: il quarto volume del monumentale Spaghetti western 4. Il crepuscolo e la notte del genere (anni ’72 a oggi) di Matteo Mancini (Edizioni Il Foglio, 2019 preceduto da L’alba e il primo splendore del genere. Anni 1963-1966, La proliferazione del genere (anno 1967) e Il mezzogiorno di fuoco del genere (anni ’68-’71) ) lo conferma con assoluta cognizione di causa.
I film della new Hollywood decostruiscono il mito classico della frontiera (cowboy sempre integerrimi e pellerossa sempre brutti ceffi), vanno in scena i massacri, la violenza dell’uomo bianco sugli indiani (Soldato blu, Apache), assunta come proto-emblema del conflitto vietnamita in corso. Alle nostre latitudini sono i così detti anni di piombo: si spara per le strade e qualcuno trama nell’ombra tifando per il golpe. Chissà se per stemperare i climi, il western autarchico si tinge, per lo più, di sfumature parodistiche e dissacranti (es: Uomo avvisato mezzo ammazzato…Parola di Spirito Santo), ma è altresì difficile sorvolare sulla vena malinconica di Il mio nome è nessuno, capolavoro supervisionato dal mentore Sergio Leone.
Per riassumere e aggiungere qualcosa al discorso, con le parole di Matteo Mancini:
Il western italiano tenta di esorcizzare la crisi buttandosi sulla commedia., quindi sul barzelletta western e persino tentare un matrimonio impossibile col cinema delle arti marziali. Un declino da cui, a metà anni settanta, riesce a destarsi per effetto di un lotto di western disperati, incastonati in scenografie decadenti, intrise di fango e avvolte nella nebbia. E’ il canto del cigno del western all’italiana che regala capolavori quali i Quattro dell’Apocalisse, Keoma, California e Mannaja.
Vigoroso come e più dei volumi precedenti (il corpus complessivo dell’opera sfiora le 2000 pagine) questo quarto Spaghetti western segna l’ultimo capitolo di un saggio enciclopedico, un saggio storico a pieno titolo – storia del cinema di genere italiano, e storia sociale –, come i libri di storia (ben scritti) si presta a riflessioni, consultazioni circostanziali, riletture. Affermare che con la sua quadrilogia Matteo Mancini pronuncia la parola definitiva sul western made in Italy, non è esagerato. È la sola e semplice verità. Un altro merito di questo volume (ma, più in generale, dell’intera opera) è che la fluvialità della prosa non penalizza la scorrevolezza. Chi vuole leggere Spaghetti western come fosse un romanzo - un romanzo western, con numerosi scavallamenti e divagazioni - dunque si accomodi pure: non rimarrà deluso.
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