Storia delle armi. Dall’età della pietra ai giorni nostri
- Autore: William Reid
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
Il primo di tantissimi disegni e bozzetti mostra un cacciatore eschimese che impugna una fiocina. Nelle ultime pagine, la sagoma di un moderno fucile d’assalto SA80 con ottica di precisione ci porta ai nostri giorni. Dai sassi scheggiati alle pallottole blindate: Odoya ha pubblicato a ottobre una nuova edizione della piccola ma valida enciclopedia degli armamenti redatta dallo storico militare William Reid nel 1976. Acquisiti i diritti di Storia delle armi. Dall’età della pietra ai giorni nostri, la casa editrice di Città di Castello lo ha proposto al pubblico italiano nel 2010 e più recentemente l’anno scorso (2021, 414 pagine), nella traduzione di Anna Maria Antonelli e Giulio Ricchezza, con il corredo iconografico originale in bianco e nero, opera di numerosi illustratori.
Scozzese di Glasgow (1926-2014), a lungo primo curatore dell’armeria della Torre di Londra e poi direttore del National Army Museum di Chelsea, Reid è stato un’autorità nel settore, dopo avere trasformato una passione da bambino in una professione prestigiosa. Numerosi i suoi testi, cataloghi e saggi di strategia bellica.
Qui si è impegnato in una rassegna delle armi d’ogni tempo, anzi di tutti i tempi e diciamo subito che sorprende, in un esperto tanto autorevole, la chiara consapevolezza della crudeltà legata agli oggetti del suo interesse. Fino dalle selci scheggiate, infatti, il progresso di questi strumenti di offesa è stato spinto dalla ricerca di arrecare danni all’avversario. Una gara a fare più male e se possibile a più bersagli contemporaneamente. Il perfezionamento tecnologico delle armi ha cercato in via prioritaria strumenti e modalità di attacco sempre più efficaci, ai quali i contendenti hanno replicato dotandosi di strumenti e tecniche di difesa sempre più adatti. È stato così, dalle frecce con le punte di pietre aguzze ai sistemi missilistici attuali, passando dalle palizzate ai bunker di cemento armato e dagli scudi di legno alle corazze intere individuali.
Nell’ultimo secolo si è anche riscontrato che ferire tanti nemici risulta più produttivo che ucciderli. Curare la propria gente impegna e costa, molto più che seppellirla.
A proposito di armature, solo i nobili potevano permettersi le costose e complesse protezioni su tutto il corpo ammirate soprattutto nel XV secolo. Il grosso dei combattenti poteva spendere solo per dotarsi di qualche pezzo particolare: giachi, farsetti imbottiti, camagli sul capo, cotte di anelli di ferro (gli usberghi). Ma tutti ricorrevano all’antica legge di guerra: armi e armature del vinto passano come bottino al vincitore.
Nei ricami di Baieaux dell’XI secolo si vedono figure che spogliano i caduti dalle cotte di ferro e scene simili si osservano in altri dipinti medievali. Tuttavia, in qualche sepoltura comune sono stati rinvenuti resti umani ancora coperti dalle combinazioni protettive. Un esempio arriva dall’isola svedese di Gotland, dove nel luglio 1361 contadini ribelli vennero sgominati dai soldati del re danese Atterdag. In tre delle cinque tombe collettive fuori Visby, tra i millecinquecento scheletri sepolti sono state rinvenute numerose corazze inumate con il rispettivo proprietario. Il calore estivo deve avere scoraggiato ogni tentativo di spogliare cadaveri in rapida decomposizione.
Sempre a Visby, i rilievi di medicina forense sui resti dei caduti hanno mostrato la maggior parte delle ferite a carico della gamba sinistra, sotto il ginocchio, dal momento che si combatteva con lo scudo sul braccio sinistro, la spada impugnata nella mano destra e il piede mancino sporto in avanti. Anche davanti a quegli scheletri, si conferma comunque valida la teoria generale delle morti causate in massima parte da ferite penetranti al capo, inferte da frecce scagliate da una distanza media di 50 metri. Per non dire dell’impatto devastante dei quadrelli delle balestre, che trapassavano anche maglie di ferro e armature a scaglie.
In tema di ritrovamenti, le armi più antiche identificate con certezza sono due bastoni appuntiti di legno di tasso, tra le costole di uno scheletro di mammut in due depositi interglaciali nell’Essex e in Bassa Sassonia. Risalgono al paleolitico inferiore, 500mila anni fa. Vennero poi le aste di legno appuntite, indurite col fuoco e le ossa ricavate dagli animali di cui gli ominidi si erano nutriti. Avevano sviluppato evidentemente un’intelligenza sufficiente a elevarli dal genere animale.
Armi da taglio, da lancio e da getto, archi, frecce e lance furono via via sperimentate, adottate e perfezionate, per cacciare e per combattere.
Compaiono gli scudi in bronzo, nel Mediterraneo e in cuoio indurito e in legno. Questi ultimi datano anche 800 anni prima di Cristo, a cerchi concentrici e con una piastra di metallo montata al centro del pannello ligneo. Era l’umbone, un rilievo tondo e convesso che deviava frecce, pietre e colpi, mentre i caratteristici cerchi, incisi nel legno con una punta, servivano a rendere più rigido lo scudo. Ci sarebbe da discutere sull’efficacia delle protezioni in bronzo, intaccate anche dalle armi dello stesso materiale: più che uso bellico, avevano probabilmente una funzione rituale o scenografica.
E così via, per progressi lenti ma continui, via via accelerati, ravvicinati, resi esponenziali dalla rivoluzione industriale in poi, fino alle armi nucleari, che se impiegate metterebbero fine alle guerre e non solo.
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