Terre perse. L’amputazione della Venezia Giulia dall’8 settembre al 10 febbraio 1947
- Autore: Ulderico Bernardi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
Fate un salto indietro nel tempo di qualche decennio e chiedete a un alunno delle elementari quante sono le province della Venezia Giulia. Risponderebbe correttamente che sono tre: Udine, Gorizia e Trieste. Invece, sono state sei per secoli, perchè andrebbero aggiunte Fiume, Pola e Zara, sulla sponda balcanica dell’Adriatico settentrionale. Istria e Dalmazia hanno fatto corpo unico col territorio giuliano, dall’espansione dell’antica Roma oltre i confini orientali della penisola fino alla caduta della Repubblica di Venezia. E così è stato anche dalla Grande Guerra all’esito infausto del secondo conflitto mondiale per l’Italia.
Lo spiega con convinzione appassionata e in gran prosa Ulderico Bernardi, accademico, sociologo, scrittore e saggista trevisano (Oderzo, 1937-2021) in Terre perse. L’amputazione della Venezia Giulia dall’8 settembre al 10 febbraio 1947 (Biblioteca dei Leoni, Vignadello-Treviso, prima edizione maggio 2021).
Il giornalista Edoardo Pittalis informa, nella prefazione, che il professor Ulderico aveva finito di correggere le bozze di questo suo ultimo libro
Un paio di giorni prima di andarsene, a 84 anni, vinto da una malattia che lo ha stancato, costretto a stare in casa, anche se aveva sempre tenute aperte le finestre della mente e della curiosità intellettuale.
Chiuso in casa dal lockdown del 2020, aveva ripreso una grande passione, quella per l’Istria, che “ amava assieme al vecio parlar, alla vigna, alla cucina”.
Era attratto dalle emozioni della gente, ma non condizionato dai sentimenti. Puntava risoluto alla ricerca della verità, che può anche restare sommersa a lungo, però a un certo punto spunta fuori e nessuno la può fermare. Per natura, si sforzava di capire le ragioni di tutti, senza schierarsi necessariamente dalla parte dei vinti o dei vincitori. Guardava alla storia e la storia è anche il portato di successi e di sconfitte.
Dopo 1800 anni, non senza qualche periodo buio, un secolo di disastri si è abbattuto, su quel territorio lassù nell’Adriatico. Storici, politici, etnici, identitari.
Una sequenza di eventi fatali nel Novecento, di scontri, di rivendicazioni, di rancori etnici. D’altra parte, lo stesso Adriatico non ha mai potuto sottrarsi alla storia del mondo. “Diritta via che conduce al cuore del Mediterraneo” e collega le propaggini asiatiche al centro Europa, “cisterna di culture”, scrive pregevolmente Bernardi, ha conosciuto secoli di pacifico sviluppo e periodi di conflitto:
Fecondo deposito millenario di risorse umane e naturali dove sono sorte e mescolate tante civiltà.
Quella di Roma guardò all’area orientale veneta. L’imperatore Augusto costituì la Regio Venetia et Histria, arricchendola di città e nuove sistemazioni agrarie. A Pola, Pietas Julia per i Romani, venne eretta un’Arena e all’interno della laguna di Grado fondata una città, Aquileia, a guardia delle penetrazioni lungo la soglia orientale e l’arco costiero. Ma orde inarrestabili di popoli giunsero da est, uomini e donne di ogni età, bambini, carri, cavalli, guerrieri aggressivi. Gli Unni di Attila la distrussero nel 452 dalla nascita di Cristo. Quarantuno anni dopo il territorio divenne ostrogoto, sotto Teodorico. Nel 568 il viaggio di oltre duecentomila Longobardi volse alla conclusione. Arrivavano da luoghi freddi e selvatici, trovarono davanti a loro il giardino d’Europa...
Una lunga storia, ma niente è stato più drammatico del Novecento ai confini orientali dell’Adriatico, l’Amarissimo per D’Annunzio, scottato dall’avventura di Fiume, sottrattagli con la forza dall’Italia Regia, in attuazione del trattato di Rapallo dell’11 novembre 1920. Due anni dopo, il ventennio fascista impose l’orbace, una sola lingua obbligatoria, l’italianizzazione forzata.
La Seconda guerra mondiale portò in dote due occupazioni, nazifascista dopo l’8 settembre 1943, titina dalla primavera 1945, i “quaranta giorni rossi”, interrotti dall’Amministrazione alleata delle Zone A e B del Territorio Libero di Trieste. Il trattato di pace italo-jugoslavo del 1954 restituì il capoluogo all’Italia, ma alienò le tre province orientali.
Non si possono dimenticare - e Ulderico Bernardi non dimentica - il dramma delle deportazioni in Germania, la pagina terribile della Risiera di San Sabba, i tentativi degli jugoslavi di riprendersi quello che ritenevano fosse stato loro sottratto dopo la Grande Guerra. L’aspirazione di legare popoli diversi, croati, sloveni e serbi, sotto una bandiera rossa comune, portò alla violenza contro gli italiani, cacciati in trecentocinquantamila da quelle terre.
Nell’appendice, venti pagine di fotografie in bianconero e mappe a colori.
Ulderico Bernardi, ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi nell’Università di Venezia, si è occupato di migrazioni antiche e nuove, di senso della comunità nelle culture locali con la loro valenza universale. Il suo sito personale propone il lungo elenco dei contributi bibliografici in tanti anni di lavoro accademico.
Protagoniste di questa sua ultima opera sono Trieste, “la porta dei Balcani”; Pola, “capitale dell’Istria”; Fiume, con l’epopea della Reggenza dannunziana del Carnaro, spenta dal “Natale di sangue del 1920”; Zara, capoluogo storico della Dalmazia.
Terre perse. L'amputazione della Venezia Giulia dall'8 settembre al 10 febbraio 1947
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