Pubblicata la prima volta su “Il Marzocco” l’1 gennaio 1907 conoscerà altre due fasi di riscrittura nel 1921 e nel 1923 nella raccolta La mosca, la novella Tra due ombre di Luigi Pirandello ha un incipit che mostra la partenza del piroscafo dallo scalo dell’Immacolata.
Due i personaggi in viaggio: Faustino Sangelli e sua moglie. Lui ha trentasei anni; è professore di liceo e ha vissuto abbastanza per rendersi conto se la sua vita sia stata un successo o un fallimento. Lei, corpulenta e dalla voce sgradevole, soffre il mal di mare ed è percepita come un incubo. Insieme ai figli, dal comportamento irrequieto, sono in viaggio da Napoli a Palermo.
Tra i passeggeri in partenza Faustino aveva intravisto e riconosciuto un suo lontano parente: Silvestro Crispo che da giovane gli aveva tolto l’amore di Lillí, comune cugina di cui entrambi erano pretendenti.
“Tra due ombre”: la novella autobiografica di Pirandello
Diciamo per inciso che Pirandello negli anni giovanili si era innamorato della cugina Paolina (Lina), quattro anni più grande di lui e lei ricambiava il corteggiamento. Un’opportunità mancata per Faustino e anche per Pirandello, anch’egli insegnante di liceo e padre di tre figli che in seguito, studiando a Bonn, si era invaghito di Jenny Schulz-Lander, una ragazza tedesca cui aveva dedicato la Pasqua di Gea, una delle sue prime creazioni letterarie. Poi il matrimonio con la sfortunata Antonietta Portulano che dovette essere ricoverata in una clinica per malati di mente.
Potrebbero riscontrarsi questi cenni biografici nella novella? Vediamone testo e analisi.
“Tra due ombre” di Pirandello: analisi e commento della novella
Riprendendo il filo della narrazione, ricordi affiorano a Faustino che ripensa agli errori e ai rimorsi della prima gioventù. Anche i sentimenti d’allora rivive.
La descrizione del suo stato d’animo rivela un turbamento inquietante:
Al solo pensiero che quel Silvestro Crispo potesse vederlo, invecchiato e così dietro a quei tre ragazzi mal vestiti, e con quella moglie grassa e ridicola che strillava di là, si sentiva vaneggiare in un atteggiamento di vergogna, acre e insopportabile.
Avverte una sorta di sdoppiamento che, riportandolo al primo innamoramento, lo separa dall’effettiva realtà del momento:
Proprio come se lui non fosse questo Faustino d’adesso, ma quello: diviso in due vite distanti e contemporanee; vere tutt’e due, e vane tutt’e due nello stesso tempo.
Ombre, solo ombre nelle due fasi della sua vita: la prima e la successiva; “ombre” che fanno venire in mente il mito della caverna in Platone in cui si è prigionieri. Faustino compie allora la discesa nella memoria alla ricerca del tempo andato:
Ah, tante volte, tante volte, ebbro d’amore, gliel’aveva baciato lui quel piccolo seno! E ora voleva che quell’uomo lì lo sapesse. Sì, sì. Sorrideva a quel modo per farglielo sapere. E con tal rabbia, con tal livore – pur con quel sorriso sulle labbra – pensava, sentiva, vedeva tutto questo…
Si era trovato faccia a faccia con lui, ma Silvestro Crispo, che l’aveva guardato con la coda dell’occhio, non l’aveva riconosciuto. Il mancato riconoscimento lo raggela e capisce di essere “l’ombra miserabile di se stesso”, “ombra irriconoscibile” dopo sedici anni:
i sedici anni di tutti i sogni svaniti, e di tante noje e di tante amarezze; i sedici anni che lo avevano invecchiato precocemente; che gli avevano portato la sciagura di quella moglie, il tormento di quei figliuoli.
Di solito paziente con la moglie, diventa una belva e proietta sui figli il malumore. Incapace di addormentarsi, riflette sul suo rimpianto. Anche sul suo fallimento e di Lillí, esprimendo il senso del disagio che sigla l’oscuro della sua vicenda. Lo scontro fra il passato e il presente è un motivo essenziale del fallimento:
Egli rimase un pezzo nella cuccetta, seduto, coi gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani. E stando così seduto, si vide, a un certo punto, sotto gli occhi emergere il pancino, che da alcuni anni gli era cresciuto; e vide quasi per ischerno ciondolare dalla catena dell’orologio una medaglina d’oro, premio volgare d’un misero concorso vinto. A diciott’anni, innamorato di Lilli, aveva sognato la gloria. Era finito professor di liceo, non tanto miserabile perché la moglie gli aveva recato una buona dote. Ah Dio, un po’ d’aria, un po’ d’aria! Si sentiva soffocare!.
Passeggia poi per un tratto sul ponte riservato alla prima classe; alzando il capo lo rivede:
Al bujo non discerneva bene. Ma pareva lui, Silvestro Crispo. Doveva esser lui […] Dunque pensava. Anche lui, dunque, sapendo che l’antico rivale viaggiava sullo stesso piroscafo, non poteva dormire, quella notte. Che pensava?.
Lo sguardo di Pirandello si fa sottilmente investigativo e si sofferma a indagare la psiche di Faustino di cui vorrebbe conoscere i segreti pensieri. Una pena si fa in lui più amara e più angosciosa. È la pena della vita, fatta così, che egli avverte; è la pena dei dolorosi ricordi, ma appena questi volge attenzione alla volta celeste, sconfinata e tenebrosa, il tragico del vivere si rimpicciolisce. Tutto si fa evanescente e ogni passione si sminuisce.
Il protagonista, insomma, esce dal suo angoscioso labirinto: è una delle scene finemente onirica e psicologica della novella; c’è l’immensità della polvere di stelle, mentre in lui agisce l’inconsistenza del transeunte.
Ciò fa da transfert liberatorio:
Ma a poco a poco cominciò quasi a svaporargli quella pena, nella vastità sconfinata, tenebrosa, sotto quella polvere di stelle, e si vide, si sentì piccolissimo, e piccolissimo vide il rivale; piccolissima la sua miseria annegarsi nel sentimento che gli s’allargava smisurato, della vanità di tutte le cose. Allora, con amaro dileggio, si persuase a profittar del mare tranquillo e del sonno della moglie e dei figliuoli per farsi una dormitina anche lui, fino all’approdo in Sicilia a giorno chiaro.
All’arrivo del piroscafo a Palermo, a mezzo del pontile, gettando per caso uno sguardo verso la gente che assiste allo sbarco dei passeggeri, riconosce Lillí venuta col bambino ad accogliere il marito:
lo stesso viso; lo stesso corpo; saldo, svelto, formoso; solo gli parve che avesse i capelli ritinti, dorati.
Anche lei lo guarda; più che sbalordita, quasi oppressa di stupore. Ed ecco il colpo di scena che ancora una volta fa incontrare l’inatteso: lei non si accorge di suo marito che attraversa l’ufficio della dogana “fosco” e “solo”. Tante le domande che il professore si pone e quasi malignamente ne gode.
L’epilogo è tragicomico: avrebbe voluto fuggire da quei tre figliuoli non belli e da quella stupida moglie; avrebbe voluto commettere la pazzia della fuga e raggiungerla nella carrozzella dov’è lei, in quella carrozzella che insegue un enorme e sgangherato omnibus in cui lui aveva preso posto con la famiglia:
- Perché lo guardava ella così? Che pensava? Che voleva? […] Lo derideva? […] e si mise a ridere […] a ridere per fare a sua volta un ultimo dispetto a lei che lo seguitava a venirgli appresso senza essersi accorta del marito arrivato con lui […] Pensava e rideva, rideva. Ma come una lumaca sul fuoco.
C’è in conclusione nella novella, reale e surreale con possibili risvolti autobiografici, la rappresentazione ironica dell’irrecuperabilità del tempo trascorso. Definitivamente perduto benché a esso si guardi con rimpianto.
È un apologo questa novella in cui si fa impossibile l’evasione; un apologo in cui ciascuno potrebbe riconoscersi, scritto con la vivacità e l’umorismo del miglior Pirandello.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: "Tra due ombre" di Luigi Pirandello: la novella sull’irrecuperabilità del tempo
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