Tutti a casa
- Autore: Simonetta Simonetti e Andrea Giannasi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
Tutti a casa è un film di Luigi Comencini del 1960, con lo strepitoso Alberto Sordi nei panni credibili dell’ufficiale di una divisione costiera nel Veneto disorientato dallo sbandamento delle nostre Forze Armate dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 con gli angloamericani. Tutti a casa è oggi un libro di Simonetta Simonetti e Andrea Giannasi, titolare delle edizioni lucchesi Tralerighe Libri. Hanno collaborato per dare alle stampe questo saggio che presenta storie e memorie di Internati Militari Italiani di Lucca e provincia, in prima edizione a quasi ottant’anni dai fatti (settembre 2021, 351 pagine). Nove testimonianze dirette di allora giovani ufficiali e militari, un lavoro realizzato con il contributo dell’Associazione Toscana Volontari per la Libertà.
Dopo la laurea in lingue e letterature straniere, Simonetta Simonetti è stata condotta dalla passione per la storia a laurearsi in scienza della formazione e darsi alla ricerca storica e alla scrittura. È saggista oltre che editore anche Andrea Giannasi, laureato in storia contemporanea (tecnica militare) e autentica autorità nello studio dei contingenti militari brasiliani e nippoamericani impiegati in Italia nel 1944-1945, nel teatro di guerra della Garfagnana.
“Ich habe ein stuck verboten”, “ho perso un pezzo” dicevano le guardie degli stalag quando constatavano la morte di un internato. Italienische Militar Internierten (IMI) era la dizione inventata dalle autorità tedesche per escludere le centinaia di migliaia di nostri rastrellati in Europa nel 1943 dai diritti riconosciuti dalla Convenzione di Ginevra ai militari prigionieri. Berlino considerava l’armistizio unilaterale del’8 settembre un tradimento dell’alleanza italo-germanica.
Si calcola che i tedeschi abbiano disarmato 1.007.000 dei quasi 2milioni di italiani alle armi, alcuni dopo avere opposto resistenza ed essere scampati alla rappresaglia immediata. Quasi duecentomila fuggirono, salendo in tanti in montagna a formare le bande partigiane. Oltre 13mila annegarono nelle tragedie dei trasporti navali affondati nel Mediterraneo. Sicché, più di 800mila italiani vennero condotti nei campi di concentramento, ben 250, disseminati in Germania e nei territori occupati dai nazisti, Polonia, Francia, Jugoslavia e Grecia.
Alla costituzione della Repubblica Sociale Italiana, 94mila camice nere della Milizia aderirono a Salò e tornarono subito in Italia. Successivamente, 103mila accettarono l’arruolamento nelle formazioni della RSI, la divisione alpina Monterosa, la Littorio, i marò San Marco, i bersaglieri e altri contingenti territoriali (difesa antiaerea, milizia, polizia...).
600mila quindi gli stucke rimasti nei campi di concentramento. Risulta da alcuni documenti che l’idea di derubricare lo status venne ad Hitler: la formula voleva punire gli ex alleati e favorire l’impiego di quegli uomini come lavoratori coatti, al servizio della macchina industriale teutonica. A tutti gli effetti, schiavi dei nazisti, nell’industria bellica (35,6%), in quella pesante (7,1%), nelle miniere (28,5%), nell’edilizia (5,9%) e nell’alimentazione (14,3%), compresi quelli nelle fattorie.
Anche dieci ore di lavoro al giorno. Alloggio nei lager, con due appelli quotidiani, al mattino e nel tardo pomeriggio: vere torture fisiche e psicologiche, visto che
potevano durare perfino due ore, al freddo o sotto il sole. Igiene zero nelle baracche con letti a tre-quattro piani e una, massimo due coperte a testa. Punizioni e umiliazioni incessanti.
L’alimentazione era rapportata alla produzione, ma i militari italiani erano arrivati nei campi già depredati di ogni oggetto, denutriti e deboli: le prestazioni lavorative potevano solo peggiorare e questo portava all’esaurimento della forza lavoro, ma poco importava ai nazisti. Nei Lazaret, le infermerie, non venivano somministrati farmaci, i malati dovevano guarire da soli, ammesso che ce la facessero. Unico conforto era evitare il lavoro.
Trattamento pessimo e vitto scarso falciarono letteralmente giovanti vite. Tantissimi i morti per denutrizione e malattie. E l’atteggiamento dei tedeschi non cambiò, nonostante le proteste della Croce Rossa, che chiedeva di assistere anche i prigionieri italiani. Anzi, le cose peggiorarono nell’estate 1944, quando Mussolini ottenne di convertire formalmente gli IMI in lavoratori civili, credendo di mitigarne le condizioni ma peggiorandone lo status. Ultimi degli ultimi nei lager, “solo due linee sopra gli zingari e i russi nella terribile gerarchia concentrazionaria”.
A tutto questo, si è aggiunta al rientro in Italia la vergogna del mancato riconoscimento dei sacrifici. Le organizzazioni reducistiche hanno dovuto penare decenni per fare uscire gli IMI dal limbo storico in cui erano stati relegati.
Qui ascoltiamo le storie del capitano dell’artiglieria contraerea Paolo Zumbo (1915-1988), degli alpini Corinno Magistrelli, Sestilio Lunardi, Remo Luccarini radiotelegrafista classe 1923, dei fanti Lido Simonetti e Aldo Luciani, del capitano Francesco Simonetti reduce della Grande Guerra, di Renzo Pellegrini e Giuseppe Giambastiani. Nove internati lucchesi che non hanno mai dimenticato quanto vissuto.
Tutti a casa. Storie e memorie di Internati Militari Italiani di Lucca e provincia. 8 settembre 1943
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