Una notte ho sognato che parlavi
- Autore: Gianluca Nicoletti
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2013
Così ho imparato a fare il padre di mio figlio autistico
Una notte ho sognato che parlavi (Mondadori, 2013) è un libro in cui si intrecciano esperienze di vita vissuta, riflessioni sulle tematiche sociali e dimostrazioni di quanto la nostra società sia ancora tragicamente impreparata di fronte a quella dimensione di disabilità che, pur non appartenendo a tutti, è comunque parte integrante del mondo in cui viviamo.
Gianluca Nicoletti, voce storica della radio e attualmente conduttore di una trasmissione radiofonica su Radio24, scrive questo libro parlando di Autismo, un autismo visto con gli occhi di un padre, lui stesso, che convive da 14 anni con un figlio che incarna questa malattia e del quale si prende quotidianamente cura fin da quando è nato.
E’ la turbolenta e mai melodrammatica narrazione di un’intensa vita familiare in cui si intrecciano due esistenze, quella di un padre pieno di impegni, con una moglie e un altro figlio e quella di un ragazzo autistico che non può vivere da solo e che ha bisogno continuamente di essere controllato e curato.
Nicoletti non scrive per commuovere, il suo stile è lo stesso che riconosciamo nella sua voce alla radio, ironico, divertente e, solo quando è necessario, profondamente realistico e consapevole. Per questo attraverseremo la loro storia, tra il riso e le lacrime, ma probabilmente saranno più i momenti divertenti che renderanno Tommy, bimbo-uomo, come un gigante taciturno ai nostri occhi distratti, che all’improvviso si troveranno di fronte una dimensione familiare che smette di essere privata e personale e diventa drammaticamente una realtà da capire e affrontare.
L’autismo manifesta l’incapacità di comunicare e c’è da chiedersi se sia in qualche modo un fattore negativo, perché lo stesso Nicoletti sottolinea che a volte Tommy sembra quasi dotato di una saggezza superiore che lo rende immune dall’ansia di socializzazione che si è impossessata delle menti umane moderne e soprattutto da quella spasmodica volontà che tutti noi abbiamo di manifestare affetto e riceverlo. Un autistico dimostra raramente affetto o coinvolgimento, Tommy accarezza poche volte il padre, ma lui sa che quando questo accade non risponde a nessun dovere o obbligo, non è nessuna risposta ad un precedente gesto fatto dal genitore, ma è soltanto l’espressione più pura di un desiderio che non ha nulla di meccanico e che soprattutto non ha alcun filtro né sociale né personale. Quindi è un gesto vero, tanto vero da rendere Tommy disinteressato a ricevere o dare comprensione, perché l’autismo non si preoccupa di cosa sia giusto o sbagliato, di cosa sia finito o infinito.
E’ una malattia che ti pone al di fuori del tempo, negandoti la possibilità di percepire il senso di morte, facendoti apparire come un essere senza legami e senza appartenenza, rendendoti forse indietro, seppur ad un prezzo fin troppo alto, quella libertà dell’anima che sostituisce quella del corpo e della vita stessa. Nonostante Tommy possa apparire più libero di ciascuno di noi perché è nel silenzio che lui trova la sua dimensione esistenziale, testimonianza di una capacità di tirarsi fuori, anche se involontariamente, dalle frustrazioni, gli sfoghi, le mancanze che sentiamo noi tutti i giorni quando desideriamo essere amati ed amare, è inevitabilmente un ragazzo che ha bisogno di cure, che reagisce incontrollatamente ai suoi disagi e che spesso usa la forza fisica per manifestare i suoi dissensi.
Nonostante il clima a volte felice, altre profondamente tragico per la gravità della malattia, l’intento dell’autore non è impietosire né intenerire, bensì risvegliare nell’animo di tutti e primo nelle istituzioni una sana e produttiva attenzione verso questi ragazzi che non andrebbero curati nel senso tecnico del termine, ma bensì aiutati a costruirsi una loro dimensione, magari in spazi a loro dedicati, dove possano interagire l’uno con l’altro, questo soprattutto quando i loro genitori non ci saranno più. Perché come tutti i genitori anche Nicoletti si preoccupa del futuro del figlio e sa fin troppo bene che senza di lui il ragazzo non potrà sopravvivere, avendo costante bisogno di cure e di assistenza in tutti i sensi. Perché non dimentichiamolo, Tommy è pur sempre
“un perenne estraneo, imprigionato tra gente a lui sconosciuta, inconoscibile, e dalla quale ha pochissime speranze di essere realmente capito.”
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