Unità a Mezzogiorno. Come l’Italia ha messo assieme i pezzi
- Autore: Paolo Macry
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2012
"[L’Italia] era governata da principi di periferia e regimi autoritari e, in tempi brevi, diventa uno stato nazionale che si ispira ai modelli alti del liberalismo costituzionale europeo”.
Il processo unitario si compie in “un letto di spine”. Questa prima riflessione nella sezione introduttiva del saggio di Paolo Macry, storico e docente universitario presso l’Università Federico II di Napoli, ci dà già una prima indicazione sulla complessità del fenomeno risorgimentale. Unità a Mezzogiorno. Come l’Italia ha messo assieme i pezzi (il Mulino, 2012), in uno stile elegante e pacato, ripercorre gli avvenimenti risorgimentali noti ai più con annotazioni epistolari, di archivio e di bibliografia ottocentesca e contemporanea. Il saggio è articolato in quattro sezioni e una conclusione.
Mezzogiorno. La grande diversità
Il progetto risorgimentale cavouriano non prevede che un Regno in prospettiva sabauda e “circoscritto alle regioni settentrionali”. Ma le vicende italiane si muovono secondo una traiettoria imprevista con la spedizione dei Mille, che Cavour teme possa modificare il suo programma di Nazione italiana.
Il Meridione ha sviluppato, in verità dai moti settecenteschi e per tutto l’Ottocento, una “cronica conflittualità, spaccandosi al proprio interno, tra signori e contadini, tra gruppi di rivali di notabili, tra amministratori locali e amministrati”. Senza alcuna possibilità di incidere sulla realtà meridionale, i Borboni cercano di appianare queste conflittualità con la reintroduzione della Costituzione del 1848 e l’istituzione di una Commissione per verificare le problematiche; per Macry, il Regno del Sud resta sostanzialmente una “tigre di carta”.
Sicilia. Dar fuoco alle polveri
Gli storici appaiono divisi nel dare un giudizio sulla reale situazione dell’Italia meridionale nel 1860, “robusta e promettente", per altri uno Stato che controllava con “strumenti coercitivi […], con politiche paternalistiche, con l’appoggio del clero”. Il Regno è isolato politicamente fin dall’epoca di Ferdinando II, e questo isolamento si accentua dopo i moti rivoluzionari del 1848. Inoltre va sottolineato che lo Stato del Meridione è una sorta di Stato nello Stato. Il Meridione con Napoli e la Sicilia viaggiano a velocità diverse. Macry sostiene che:
“Il regime muore per cause interne. Viene destrutturato dagli errori della sua stessa élite dirigente, con n’operazione che assomiglia molto al suicidio politico. Ma prima ancora è colpito a morte dalla Sicilia”.
La conquista del Meridione con Garibaldi, eroe nizzardo, agli antipodi rispetto a Cavour sia per gap culturale sia per ideali politici-risorgimentali, appare come un evento assolutamente imprevisto. La popolarità dell’eroe dei due mondi viene sostenuta dalla stampa inglese, dall’“ingrediente della distanza”, dal suo amore per la creola Anita. Tutti questi sono “elementi” che ben veicolati creano una luce intorno alla figura del generale, che “finirà per oscurare il ruolo che l’isola ribelle svolge nel crollo dei Borbone, ma ne farà un evento mediatico di scala internazionale”.
La Sicilia è un’isola “ingovernabile" (F. Crispi) e sulla sua antica volontà separatista ha fatto leva il processo risorgimentale.
Napoli. Cronache di un suicidio politico
Dopo la conquista della Sicilia, Francesco II, ultimo dei Borboni, introduce un cambio di rotta riportando in vigore la Costituzione del 1848 e scegliendo come Ministro degli Interni Liborio Romano, avvocato originario di Salerno, “liberale antiborbonico di vecchia data” e con un “pedigree da oppositore”. Le scelte messe in campo saranno sembrate al re necessarie e utili per salvare il Regno delle Due Sicilie, ma esse si rivelano nefaste e autodistruttive. In particolare, la carica a Liborio Romano permise al ministro di determinare lo smantellamento delle strutture politiche borboniche, di allontanare dai posti di comando persone di provata fedeltà lealista, addirittura di reclutare forze della camorra per costituirle in forze di polizia del regno. Insomma un “suicidio politico”!
Il 5 settembre 1860, il re e sua moglie si preparano a lasciare Napoli per recarsi in esilio a Gaeta e osservano la rimozione dei gigli borbonici dal negozio di uno speziale fino ad allora filoborbonico. Anche il “gruppo degli unitari napoletani tesse le proprie trame antiborboniche”. E Napoli si può dire conquistata il 13 febbraio 1861 con la resa di Gaeta. Dopo questa data, nel Meridione “la guerra diventa guerriglia”, “la legalità è garantita da gruppi illegali”; "gli ideali si sfilacciano nel camaleontismo”; va ridimensionato il ruolo svolto dalle rivolte continentali nello smantellamento di uno Stato, avviato “da un re costituzionalista per caso e dal ministro cospiratore Liborio Romano”.
Italia. Un epilogo lungo centocinquant’anni
La conquista di Garibaldi apre un periodo complesso dal punto di vista storiografico, in quanto in Italia si verifica un periodo di “guerra civile” (definizione non condivisa da tutti gli storici) con il discusso e controverso fenomeno del Brigantaggio.
Per Macry fu un fenomeno di natura sociale oltre che politica; alla “ferocia dei briganti” venne contrapposta “la ferocia dello Stato”. Le forme di repressione più efferate furono quelle ordinate dal generale Cialdini contro le popolazioni di Pontelandolfo e Casalduni. Negli anni post unitari, il governo italiano accentrato mette in atto una politica di “contrattazione”, di “clientelismo” e di “redistribuzione localistica”. Nel 1902 Gaetano Salvemini dichiara:
“Finora lo stato ha assorbito ricchezza nel sud e l’ha investita nel nord; da ora in poi bisognerà che lo stato assorba ricchezza nel nord e la riversi nel sud”.
Conclusioni. Mettere assieme i pezzi
In conclusione il modo di governare nell’Italia post unitaria ha prodotto un “sistema di equilibri squilibrati” e
“qualunque sia stato storicamente il ruolo dei governanti centrali, molta parte del problema del dualismo, va addebitata alla classi dirigenti e alle comunità del Mezzogiorno”.
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