Uno strappo bianco
- Autore: Roberto Lamantea
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2021
Forse già dalle epigrafi che Roberto Lamantea (Padova, 1955) ha scelto come introduttive al suo libro di versi Uno strappo bianco (Interno Poesia, 2021), possiamo intuire quale sia il filo conduttore della sua riflessione poetica.
Louise Glück e Adam Zagajewski, scrivendo della “luce bianca / non più travestita da materia”, della “luce delicata che erra, svanisce / e ritorna”, sembrano alludere al dileguarsi del reale nella sua concretezza, quando sfuma in una impalpabile, evanescente luminosità. Luce bianca incorporea che, rischiarando ogni orizzonte, finisce tuttavia per confondere lo sguardo umano, incapace di spingersi oltre la consistenza delle cose.
Luce e bianco sono termini ricorrenti nel volume di Lamantea, quando parla del paesaggio “di luce in luce sfinito”, o del candore di ovatta cipria neve latte luna biancospino: bianco che si oppone al nero, alla minaccia della negatività. Questa luce, questo bianco dovrebbero rimandare al fiabesco, all’infanzia, alla genuinità, in contrapposizione alla prosaicità del reale… Ma “il metro del mondo / non sarà / un girotondo di fate / e zucchero e albe”, perché la storia non è mai innocente nelle sue vicende collettive e private, e il poeta ne è ben consapevole:
con le mani di terra / e corteccia / e linfa e spine / abbiamo arato colline / e sgozzato conigli // dalle zolle affiorano mani / e teschi.
Il sangue versato da tutte le vittime di guerre a Treblinka, in Siria, in Iraq ne costituisce indelebile testimonianza.
Nemmeno la natura viene risparmiata da violenze e crudeltà, agite o patite.
La metafora del bosco si ripresenta in tutte le sezioni del libro, anche in quelle dedicate a fugaci figure femminili che danno “sapore a un attimo distratto”, o a ricordi di vacanze adolescenziali. Il bosco, a cui è dedicata la prima sezione della raccolta, diventa simbolo di adesione panica all’esistenza, in un’apoteosi del vegetale (licheni foglie erbe rametti baccelli fronde muschi sterpi rami germogli rose glicini betulle) e dell’animale (scarabei insetti serpi ragni), in un tripudio di verde selvatico non addomesticabile, ma contemporaneamente può rappresentare una minaccia, nelle improvvise, abbaglianti visioni di pericolo e morte:
per mano ti portano per mano / nel bosco – non sentieri dossi rune / l’intrìco di rìvoli ex nidi / e spiume slavato è lingua / i fossi e rivi e cune / di terra dune piogge e brevi / d’attese, forse, e di slavati / sguardi – i cardi selvatici / di spine.
Subisce prepotenza e soprusi, il bosco, quando anche i suoi alberi vengono abbattuti e trasformati in carta, utile a stampare “poesia noiosa”; nello stesso tempo però si fa asilo e protezione di aggressive brutalità.
Chiaro e scuro si rincorrono in questa raccolta, sottolineati anche da frequenti variazioni nel registro stilistico: alla sonorità tutta giocata tra ripetizioni, rime e assonanze, innocui calembour – nostalgico richiamo ai girotondi, alle ninnenanne, alle cantilene dei bambini – si contrappone un audace sperimentalismo linguistico che utilizza allitterazioni, artifici eufonici, martellamenti ritmici, secondo la più collaudata lezione surrealistica. Eccone alcuni esempi:
“snuda notte snìdia / in gola sfiorata / notte senza labbra vento senza labbra / notte sgozzata”, “ai denti fuoco e gioco / m’imbavo e rinasco / baco nel nido di terra nudo nel nudo di terra nido m’imbivo e bibo bulbo / e ovulo e ibisco e fiele / in vischio m’innesto e miele in ameba in ovulo // a rinascere terra // a rinascere terra”.
Anche i versi, differenziandosi nella lunghezza, variano da strofe pacatamente distese a distici contratti nell’allusività del significato: “nel giardino il sonno / tra le dita di un ragno”, e l’impressionismo descrittivo di molte composizioni si converte nella seconda parte del volume in una visionarietà più intimidatoria e ostile.
Una varietà di forme e contenuti che Lamantea ben riassume nel titolo ossimorico, dove lo strappo – di solito associato al rosso del sangue, al nero dell’affronto – esibisce la sua inoffensività nel bianco della resa.
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