Vita di un reporter, tra papi, presidenti, ribelli, reietti e terroristi
- Autore: Victor Simpson
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2023
Quarant’anni da corrispondente in Italia e non solo: Victor Simpson racconta.
Da giovane reporter alle prime armi, Svetlana Stalin gli era sembrata una donna attraente che nascondeva la sua avvenenza.
L’ottantacinquenne Giorgio de Chirico non rispondeva alle interviste e urlava che “l’arte moderna è morta”. Giovanni Paolo II telefonò in ospedale a una puerpera romana, per complimentarsi della nascita della figliola. Lo stesso papa polacco fece arrossire l’ambasciatore australiano, respingendo l’offerta di accompagnare col vino rosso l’insalata d’aragosta sul volo intercontinentale Qantas: sul pesce ci va il bianco.
Sono aspetti privati di personaggi pubblici, che il grande giornalista americano ha voluto a suo tempo non rivelare per rispetto.
Ebreo, sposato con una collega italiana e a lungo corrispondente dell’Associated Press, ne ha scritto decenni dopo, anche mezzo secolo, in un libretto piccolo e prezioso Vita di un reporter, tra papi, presidenti, ribelli, reietti e terroristi, pubblicato da Fefè Editore (Roma, settembre 2023, collana Il pelo nell’uovo-Svegli&Risvegli).
La traduzione dall’inglese è di Claudio Cavalensi, la prefazione di Leo Osslan, poeta e scrittore, giornalista e visitatore del mondo, direttore editoriale della casa editrice attiva nella capitale dal 2005.
Inarrivabile il modo elegante dell’intellettuale romano di origini russe di motivare la definizione “prosociale” che riconosce al giornalista newyorkese, citando il saggista e docente americano Arthur C. Brooks. Gentilezza e amabilità non sono la stessa cosa, per quanto qualità eccellenti.
Qualcuno sostiene che i newyorchesi siano gentili, ma non amabili “Hai una gomma a terra, cretino. Passami il cric!”, mentre i californiani amabili ma non gentili “Mi sembra che lei abbia una gomma a terra. Buona giornata!”. Nonostante le differenze, i sociologi le riuniscono in una qualità unica, il “comportamento prosociale”, quello di Simpson, gentile e allo stesso tempo amabile. Ha praticato per tutta la vita una professione che richiede concretezza e cinismo, ma lo ha fatto con grande umanità e attenzione ai rapporti interpersonali.
Azzarda a definirlo:
Un uomo di frontiera, tra un carattere e l’altro, in quella zona grigia che riunisce le peculiarità di un territorio (umano) e dell’altro.
Nato nel 1942 a Manhattan, cresciuto nell’Upper West Side multietnico, multireligioso e multiculturale degli anni ’40-’60, ha scelto il giornalismo affascinato soprattutto dal ruolo di corrispondente estero.
Tralasciando la professione legale del padre e del fratello maggiore, era entrato nella seconda metà degli anni Sessanta nella principale Agenzia di stampa del mondo. Dal 1972 al pensionamento, è stato in Italia, nell’ufficio di corrispondenza romano dell’AP, per cui è stato vaticanista e che ha pure diretto.
Nel libro, racconta tra l’altro i suoi incontri con la figlia di Stalin, de Chirico, il maresciallo Tito, l’ex re dell’Afghanistan e altri, tutti uomini e donne "di frontiera" e in quel momento perfino emarginati.
Svetlana Allilujeva aveva defezionato dall’Urss nel 1968 e viveva a Princeton, in una casa moderna ma modesta, nei pressi dell’università. Concesse un’intervista al Simpson ventiseienne perché intenerita dall’eccitazione del giovane giornalista. Parlava un inglese sorprendentemente impeccabile, diceva di non provare nostalgia per la Russia e di vivere sbrigando la corrispondenza e uscendo per compere, come qualsiasi donna americana.
Ricorda l’anziano pittore italiano Giorgio de Chirico nel 1973, in vestaglia sulla sedia a rotelle, davanti al televisore che trasmetteva a tutto volume cartoni animati per bambini. Non rispondeva alle domande dell’intervistatore, ad alcune lo faceva la moglie, più giovane e visibilmente dominante.
All’ennesimo interrogativo caduto nel vuoto, il grande e “grosso” artista si levò in piedi di colpo, agitando un bastone e gridando:
“L’arte moderna è morta!”
Simpson scelse d’ingoiare l’imbarazzo e nascondere quanto accaduto, omettendo di rendere pubblico quello scoop, pur cronisticamente ragguardevole. Del resto, ha confessato solo adesso di aver pensato come altri che il nuovo papa fosse africano, dopo la fumata bianca del 16 ottobre 1978, quando il camerlengo annunciò ch’era stato eletto il cardinale Wojtyla.
Nel 1987, la telefonata del pontefice polacco raggiunse la moglie di Victor ed era legata a un tragico evento che aveva segnato per sempre la vita della loro famiglia. Il gesto straordinario aveva le radici nell’evento orribile avvenuto due anni prima. Il 27 dicembre 1985, in partenza per la vacanza negli Stati Uniti dall’aeroporto Leonardo da Vinci, i Simpson finirono coinvolti nell’attacco di un commando palestinese al box della Compagnia di bandiera israeliana El Al. Terroristi mascherati assalirono l’area affollata del check-in a Fiumicino.
Bombe a mano e numerose raffiche di mitra sulla folla di viaggiatori in partenza.
Il bilancio salì a 18 morti e oltre 110 feriti con un secondo attentato avvenuto pochi minuti dopo nell’aeroporto di Vienna. La figlia undicenne dei Simpson, Natasha, rimase uccisa (tra i 13 caduti a Roma), Gravemente ferito il figlio Michael, di 9 anni. Victor Simpson riportò ferite lievi. Illesa la moglie cattolica, Daniela, fuori del terminal con il loro cagnolino.
Sopravvisse uno solo dei quattro terroristi, un diciottenne.
Per loro, nessun rancore del giornalista americano e padre di una vittima innocente. Khaled Ibrahim Mahmoud è rimasto in carcere 25 anni. Era libero a Roma (e si direbbe sinceramente pentito), quando un malore lo ha stroncato, nel 2021. Al mandante, Abu Nidal, toccò l’ergastolo, ma non ha scontato un solo secondo della condanna.
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