Vita scritta da esso
- Autore: Vittorio Alfieri
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
Pochi mesi prima di morire, Enzo Siciliano, scrittore e critico letterario, pubblicò su La Repubblica un articolo intitolato Una cotta per l’Alfieri, nel quale si legge:
«A vent’anni mi innamorai di Vittorio Alfieri […] di lui amai le parole, […] il loro ritmo, o la piega dentro la quale esse andavano a nascondersi e a rivelare una incauta vitalità -nervosismo e tratti di schizofrenia, dolore, entusiasmo, un’ostilità all’esistenza che è profondo amore per essa, orgoglio virile, e infine bellezza».
Si può dire di me la stessa cosa, cambiando solo l’età; pochi mesi fa, nel marzo del mio quarto anno di liceo, lo lessi e lo studiai sui libri di scuola: mi conquistò la sua vitalità prorompente, la sua irrequietezza, il violento impeto del grido di «Volli, volli sempre, fortissimamente volli» affidato alle pagine delle sue infinite Lettere.
Questa iniziale infatuazione non scemò quando da lui passammo a Foscolo e poi a Manzoni e, per quanto questi autori potessero stuzzicare la mia fantasia e il mio gusto, Alfieri non mi usciva di mente, e non credo lo farà tanto presto.
Ed ecco dunque che mi fiondo in libreria per procurarmi Vita scritta da esso, uscendone poco dopo tutta contenta con il delizioso volumetto in mano.
Amando già l’autore, non si può non amare quest’autobiografia, in cui Alfieri ha voluto «lasciar fare alla penna», accompagnandoci dalla sua nascita, avvenuta ad Asti nel 1749, alla giovinezza, trascorsa alla Reale Accademia di Torino, che egli detestò e dalla quale uscì sentendosi niente più che «asino fra gli asini», fino a poco tempo prima della morte, sopraggiunta nel 1803.
Sin dall’infanzia, vediamo emergere in lui la tendenza alla solitudine, accompagnata da una costante, sfibrante irrequietezza, che sarà poi il fuoco che lo terrà sempre in movimento, il vento irresistibile che lo trascinerà nei suoi vagabondaggi per la Francia, l’Inghilterra, la Svezia, la Danimarca, la Prussia, l’acqua, infine, che farà sbocciare in lui il «tacito orror» per i paesaggi impervi e desolati e alimenterà il suo sdegno verso ogni forma di potere.
Dell’andare non mi saziava mai, ma immediatamente mi addolorava lo stare.
Ma la Vita, oltre che essere un racconto autobiografico, ci parla di quelle che per il poeta furono le tappe interiori di un percorso che inizia con la sua conversione letteraria del 1775 e prosegue con il successivo sviluppo della poetica tragica, spaziando dal titanismo e l’io megalitico al radicale pessimismo e il senso di impotenza di fronte alle sofferenze e le disgrazia che la vita, per sua natura, comporta. È anche la storia di due grandi amori, l’uno per la letteratura, che condusse alla genesi delle sue tragedie e dei suoi altri scritti, e l’altro per la contessa d’Albany, il «degno amore», che, a suo stesso dire, insieme alla scrittura fu quel che lo salvò dalla disperazione.
Mi avvidi, che la mia infelicità proveniva soltanto dal bisogno, anzi necessità ch’era in me di avere ad un tempo stesso il cuore occupato da un degno amore, e la mente da un qualche nobile lavoro; e ogniqualvolta l’una delle due cose mi mancò, io rimasi incapace dell’altra, e sazio e infastidito e oltre ogni dire angustiato.
Con l’accurato e intimo studio che compie di se stesso, Alfieri sembra spezzare anche le ultime catene che lo tengono legato alla dottrina dei «gelati filosofisti che da null’altro son mossi fuorché da due e due son quattro». E come potrebbe, d’altronde, la marmorea compostezza dell’epoca dei lumi adattarsi al genio preromantico che diede vita a trionfi di sensibilità quali sono il Saul o l’Agamennone, al paladino delle «cagioni intime» e di quel «forte sentire» che il razionalismo, assassino inclemente quanto astuto, tenta di soffocare?
Questo e molto altro è la Vita scritta da esso, compendio di un autore che ha fatto la storia della letteratura, sì, ma, soprattutto, ritratto sincero di un uomo che non potendo appartenere alla sua epoca decise di appartenere solo ai libri e all’amore, e ancor più, a se stesso e alla sua capacità di sentire.
Dio chiamo io l’uomo vivissimamente sentente.
Vita di Vittorio Alfieri da Asti Scritta da Esso
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