Cosa accomuna Giacomo Leopardi alla Befana?
Apparentemente nulla, eppure nella sua sterminata produzione letteraria il poeta di Recanati non mancò di identificarsi nella fantastica vecchina volante che secondo la tradizione porta i dolciumi il 6 gennaio in occasione dell’Epifania. Ecco il testo della lettera, a chi era indirizzata e perché Giacomo Leopardi decise di scriverla firmandosi la Befana.
L’epistolario del giovane Giacomo Leopardi
L’infanzia di Giacomo Leopardi sui manuali di letteratura occupa solo poche righe, spesso ridotte agli anni di “studio matto e disperatissimo”, eppure anche l’enfant prodige della letteratura italiana è stato bambino.
Un bambino curioso della vita e allegro, oltre ogni previsione.
Il piccolo Giacomo tuttavia poteva diventare pericoloso con una penna in mano, capace di comporre tenzoni e opere goliardiche a scapito di chi non sopportava. In alcune parti dell’epistolario leopardiano si trovano riferimenti a delle missive scritte in latino contro i genitori di cui Leopardi si scusava con la madre.
Giacomo Leopardi: perché in una lettera si firma La Befana
I bersagli delle sue lettere sfrontate potevano anche essere persone esterne alla cerchia familiare, come accadde alla povera Marchesa Roberti.
Proprio alla Marchesa, che mal tollerava, Leopardi appena dodicenne indirizzò una lettera goliardica ricca di termini scurrili firmandosi “La Befana”. La lettera probabilmente fu intercettata dal Conte Monaldo e non pervenne mai tra le mani della Marchesa Roberti, una nobildonna di Recanati stretta amica della famiglia Leopardi.
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Di tutto questo parla Nicola Cinquetti nel libro La piscia della Befana. Vita di Giacomo Leopardi bambino in cui narra l’infanzia del Conte di Recanati partendo appunto da una lettera goliardica che il piccolo Leopardi scrisse alla Marchesa Volumnia Roberti.
Di seguito riportiamo il testo integrale della lettera che il poeta scrisse alla Marchesa.
Il testo della lettera di Giacomo Leopardi alla Marchesa Roberti
A Volumnia Roberti
Carissima signora
Giacché mi trovo in viaggio volevo fare una visita a Voi e a tutti li Signori Ragazzi della Vostra Conversazione, ma la neve mi ha rotto le tappe e non mi posso trattenere.
Ho pensato dunque di fermarmi un momento per fare la piscia nel vostro portone, e poi tirare avanti il mio viaggio. Bensì vi mando certe bagattelle per cotesti figliuoli, acciocché siano buoni ma ditegli che se sentirò cattive relazioni di loro, quest’altro anno gli porterò un po’ di merda. Veramente io voleva destinare a ognuno il suo regalo, per esempio a chi un corno, a chi un altro, ma ho temuto di dimostrare parzialità, e che quello il quale avesse li corni curti invidiasse li corni lunghi.
Ho pensato dunque di rimettere le cose alla ventura, e farete così. Dentro l’anessa cartina trovarete tanti biglietti con altrettanti Numeri. Mettete tutti questi biglietti dentro un Orinale, e mischiateli bene bene con le vostre mani. Poi ognuno pigli il suo biglietto, e veda il suo numero. Poi con l’anessa chiave aprite il Baulle. Prima di tutto ci trovarete certa cosetta da godere in comune e credo che cotesti Signori la gradiranno perche sono un branco di ghiotti. Poi ci trovarete tutti li corni segnati col rispettivo numero. Ognuno pigli il suo, e vada in pace. Chi non è contento del Corno che gli tocca, faccia a baratto con li Corni delli Compagni. Se avvanza qualche corno lo riprenderò al mio ritorno. Un altr’Anno poi si vedrà di far meglio.
Voi poi Signora Carissima avvertite in tutto quest’Anno di trattare bene cotesti Signori, non solo col Caffè che già si intende, ma ancora con Pasticci, Crostate, Cialde, Cialdoni, ed altri regali, e non siate stitica, e non vi fate pregare, perche chi vuole la conversazione deve allargare la mano, e se darete un Pasticcio per sera sarete meglio lodata, e la vostra Conversazione si chiamarà la Conversazione del Pasticcio. Frattanto state allegri, e andate tutti dove io vi mando, e restateci finche non torno ghiotti, indiscreti, somari scrocconi dal primo fino all’ultimo.
La Befana
(Recanati - 6 gennaio 1810)
Leopardi e la lettera alla Marchesa Roberti: un commento
Secondo l’analisi del professor Francesco Moroncini, uno dei più importanti critici dell’opera leopardiana, può darsi che la lettera non fu mai recapitata alla destinataria. In particolare Moroncini fa riferimento alla
“soverchia libertà del dettato, e specialmente alcune parole di crudo realismo”, che avrebbero trattenuto i genitori di Leopardi “dal dare esecuzione allo scherzo, per quanto innocente” (Fonte).
Storicamente è noto che il Conte Monaldo Leopardi animasse il salotto della Marchesa Volumnia Roberti con discussioni filosofiche al quale il piccolo Giacomo era costretto, suo malgrado, a presenziare.
Leopardi infatti non gradiva il salotto della Marchesa né tantomeno i suoi figlioletti che spesso lo schernivano per via del suo aspetto. Decise di vendicarsi quindi di quel supplizio scrivendo una lettera goliardica dalla quale emerge tuttavia già il carattere cinico e a tratti altezzoso del Leopardi maturo. Nella lettera Leopardi, sfruttando la personificazione della Befana, attua la sua vendetta anche sui figli della Marchesa ai quali intende destinare alcune “bagatelle” e che definisce come un branco di golosi, scrocconi, somari.
Nel testo, il Conte bambino utilizza un linguaggio volgare e scurrile che lascia perplessi i lettori del poeta di Recanati, di certo molto diverso dai termini aulici che caratterizzano le liriche più celebri di una delle figure più importanti della letteratura mondiale.
Tuttavia fa sorridere leggere oggigiorno queste parole irriverenti e scherzose scritte da Leopardi che si firma infantilmente “La Befana”. Ci ricorda che anche i grandi sono stati bambini una volta.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La lettera in cui Giacomo Leopardi si finse la Befana
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