Il 15 aprile 1980 si spegneva a Parigi Jean-Paul Sartre, scrittore e filosofo, considerato uno dei massimi esponenti, nonché il fondatore, dell’esistenzialismo.
Da tempo provato fisicamente dalla malattia, Sartre spirò alle ore 21 presso l’ospedale di Broussais dove era ricoverato dal 20 marzo. Ai suoi funerali partecipò una folla sovrumana, si stima che vi fossero cinquantamila persone.
Fu sepolto a Parigi nel cimitero di Montparnasse, dove ora riposa accanto alla compagna di una vita Simone de Beauvoir.
Nel libro La cerimonia degli addii (1981), scritto da Beauvoir dopo la morte di Sartre per elaborare il lutto, Simone affermava che per tutta la vita Sartre non aveva fatto altro che “Pensare contro se stesso”.
Una definizione che forse meglio di ogni altra riesce a darci la misura della mente eccelsa e della smisurata capacità di pensiero di Jean-Paul Sartre, massimo esponente dell’esistenzialismo francese che dedicò la vita alla riflessione sulla vita.
La nausea di Jean-Paul Sartre
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Per tutta la vita Sartre aveva cercato di spiegare il concetto di esistenza, che raggiunse la massima teorizzazione nel suo libro-capolavoro La nausea (1938). Nelle intenzioni originarie dell’autore il libro doveva esprimere la “contingenza dell’umano”. Ne risultò una sorta di diario filosofico nel quale lo scrittore affermava l’angoscia connaturata alla condizione umana e, al contempo, la responsabilità dell’uomo chiamato ad agire secondo una morale. È proprio l’agire morale, dunque, che limita l’angoscia esistenziale arginando il baratro dell’assenza di senso.
Il titolo originale del romanzo era Melancholia, in omaggio all’omonima stampa di Albrecht Dürer che il filosofo francese trovava rappresentativa della condizione umana. In seguito divenne La nausea, un’espressione più calzante che meglio si confaceva a esprimere una forma di disagio, “l’inferno del quotidiano” che l’autore spietatamente dissezionava tra le righe.
La nausea di Sartre è una dimensione metafisica e un atteggiamento psicologico nei confronti dell’esistenza. Non è un malessere transitorio, ma una costante, un turbamento perenne che non lascia scampo agli esseri mortali.
Cos’era quindi la vita secondo Jean-Paul Sartre? Cerchiamo di spiegarlo con una sua celebre frase tratta da La nausea.
Cos’è la vita secondo Jean-Paul Sartre
Nelle pagine finali de La nausea troviamo un passaggio chiave nel quale Jean-Paul Sartre descrive l’esistenza in questi termini:
L’esistenza non è qualcosa che si lasci pensare da lontano: bisogna che v’invada bruscamente, che si fermi su di voi, che vi pesi sullo stomaco come una grossa bestia immobile - altrimenti non c’è assolutamente più nulla.
Tramite il flusso di coscienza del suo protagonista Antoine Roquentin, Sartre mette in atto una riflessione pura sull’esistenza che tocca vertici di sbalorditiva lucidità espressiva squarciando il velo di Maya dell’apparente, l’illusione che nasconde la Verità.
Sartre analizza il contrasto implacabile tra l’Essere e il Nulla: due dimensioni che non possono in alcun modo coesistere. L’esistenza, afferma Sartre, è pienezza: “l’essere è il pieno”, ed è ovunque, ed è dappertutto. L’esistenza - questo l’assioma indiscutibile - è un pieno che l’uomo non può abbandonare.
I miei occhi non incontravano mai altro che del pieno. (...) Tutto era pieno, tutto era in atto, non c’era interruzione, non c’era intervallo, tutto, persino il più impercettibile sussulto era fatto con un po’ d’esistenza.
L’esistenza, conclude Sartre, non è mai delimitata da altro che dall’esistenza. Anche gli alberi, sostiene il filosofo nel suo lungo flusso di coscienza, forse non avevano voglia d’esistere eppure non potevano esimersi dal farlo.
L’esistenza è senza memoria; di ciò che scompare non conserva nulla, nemmeno un ricordo.
E quindi giunge a una conclusione perfetta, straordinaria, forse tragica, ma di una lucidità disarmante:
Ogni esistente nasce senza ragione, si protrae per debolezza, e muore per combinazione.
Nel capitolo finale de La nausea il pensiero di Jean-Paul Sartre distilla una chiarezza abbacinante, a tratti disarmante. Esistere - afferma il filosofo tramite la voce del suo protagonista - significa anche convivere con l’immensità che si cela dietro il non esistere, il baratro spalancato dell’abisso. Ancora ritorna l’Essere e il Nulla. E la vita è paragonata a una melodia di sassofono, un sottofondo costante che avvolge interamente l’uomo.
E poi che ne resta? Un barlume nella coscienza, un ricordo, un Io che lentamente si dimentica di se stesso. Quelle quattro note di una melodia di “suoni bianchi e aciduli” che l’uomo si sforza di afferrare. È una melodia malinconica.
“Some of these days,
you’ll miss me honey.”
Il suono del sassofono e questa musica triste ritornano come un ritornello costante e liberatorio. La melodia, più volte ripetuta, dà una stretta al cuore: sembra ricordare che tutto è effimero ed è destinato a passare.
Echi e note che si perdono nell’aria, sbiadiscono nella memoria, ma l’uomo cerca risolutamente d’afferrare, registrare, interiorizzare. La musica diventa metafora dell’esistenza: i suoni (gli uomini, Ndr) di giorno in giorno si decompongono, “si squamano e scivolano verso la morte”, eppure la melodia rimane la stessa, riprende sempre daccapo con quella voce eternamente giovane e ferma, imperturbabile.
Attraverso quella musica Roquentin scopre infine di essere libero e che quella libertà è la sua più grande risorsa e, al contempo, l’origine della sua disperazione.
Decide quindi di scrivere un libro per registrare la sua esperienza, cosa che così gli permetterebbe “di ricordare la vita senza ripugnanza”. Il messaggio finale di Roquentin è un invito all’azione, poiché non si può vivere senza un progetto, senza un fine che dia un senso alle gratuità immensa e vacua del nostro esistere.
Nella conclusione de La nausea Jean-Paul Sartre fa di nuovo riferimento a un “treno che parte tra due ore”. Ecco, quel treno che parte tra due ore è l’emblema stesso della vita.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “L’esistenza è senza memoria”: il pensiero di Jean-Paul Sartre ne “La nausea”
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