A ogni costo, l’amore di Laura Calosso

“A ogni costo, l’amore” (Piccola Biblioteca Oscar Mondadori, 2011)
è il romanzo d’esordio di Laura Calosso, scrittrice e giornalista. L’autrice dedica questo libro a “chi della propria vita ha perso il filo”. Eh già! Perché, prima o poi, capita a tutti di perdere la “strada” della propria esistenza, di perdersi per poi ritrovarsi, di fermarsi a riflettere con uno sguardo al passato e un’incognita sul futuro.
Ed è così che la lettura di questo libro ci porta nell’ordinatissima vita di Mario, notaio cinquantenne, che vive in una piccola città di provincia, sposato e senza figli, sempre attento a tenere ben lontane emozioni e situazioni che possono alterare la sua routine quotidiana e la sua sistematica esistenza, costruita nel corso degli anni.
Nel giorno del suo cinquantesimo compleanno mentre Mario, chiuso nel suo studio, sta riflettendo sulla sua età e sullo scorrere inesorabile del tempo, analizzando i vari aspetti della sua vita, ecco che la vista dalla finestra di una giovane donna con le scarpe rosse con il tacco alto, lo scuote, lo anima e quando i loro sguardi si incrociano per un attimo da lontano, una strana sensazione lo pervade:

Mi sentii debole, avvertii un battito d’ali nello stomaco, inattesa farfalla per regalo di compleanno.

Diventerà per lui una routine di conforto e consolazione, guardare dalla finestra ogni sera, alla stessa ora, quella giovane donna arrivare e fermarsi a guardare la vetrina della gioielleria:

Quei cinque minuti erano una specie di ricreazione fuori tempo massimo, un’oasi di disordine nella mia vita ordinatissima.

Ma questo particolare momento della vita di Mario, verrà ravvivato da altri avvenimenti inusuali: ci sarà l’incontro con un’amica di sua moglie, la signora Gerbi, la moglie del macellaio, che gli farà una richiesta molto particolare:

Intuii che quanto mi stava chiedendo andava oltre i confini professionali, la classica situazione che da sempre cercavo di sfuggire.

E come questi, anche altri incontri portano il protagonista a continuare questa sorta di viaggio introspettivo, come quelli, casuali ma sempre più frequenti, con una sua vecchia compagna di scuola.
Alla luce di questo è l’inquietudine a prendere spazio in lui. Un’inquietudine che lo fa riflettere sulla staticità e mediocrità della vita fin a quel punto condotta, che non gli sta lasciando nulla se non una profonda sensazione di inconcludenza e disagio.
Quello strano processo, innescato la sera del suo compleanno, alla vista della ragazza con le scarpe rosse, porterà il protagonista a porsi un’importante domanda esistenziale: fino ad allora come aveva vissuto? Perché aveva volutamente sfuggire alla vita?

Avevo paura di soffrire. Una paura che mi portavo dietro da cinquant’anni; chiamandola solo con un diverso nome: disprezzo per l’umanitá, per esempio.