Olandese, classe 1965, Maarten van Aalderen è l’autore de “Il bello dell’Italia. Il Belpaese visto dai corrispondenti della stampa estera” (Albeggi edizioni, 2015).
Van Aalderen da diciotto anni, è corrispondente del maggiore quotidiano olandese, De Telegraaf, per l’Italia e per la Turchia, è stato Presidente dell’Associazione della Stampa Estera in Italia nel biennio 2009-2011 e dal marzo 2013 al marzo 2015.
Ma non finisce qui: perché Maarten è, tra le altre cose, anche condirettore del corso di Global journalism all’università telematica Uni-Nettuno di Roma.
Torna ora in libreria con “Il bello dell’Italia”, venticinque interviste a venticinque giornalisti che lavorano come corrispondenti stranieri in Italia. La domanda chiave è: qual è il bello dell’Italia? Cosa incuriosisce, cosa appassiona, cosa affascina del nostro Belpaese?
Abbiamo parlato con l’autore di questo e di molto altro.
- Maarten van Aalderen, con Il bello dell’Italia hai descritto il nostro Belpaese attraverso gli occhi di venticinque giornalisti stranieri che lavorano come corrispondenti dall’Italia per le rispettive testate estere. Ma partiamo dalla copertina: perché scegli l’Icaro caduto di Igor Mitoraj?
Nel mio libro ho chiesto a 25 colleghi (13 donne e 12 uomini di tutto il mondo) cosa piace loro dell’Italia. Per la copertina potevo scegliere tra una decina. Nove copertine erano belle e basta, solo questa che ho scelto faceva riflettere. Si tratta di un Icaro caduto che non vuole arrendersi e vuole rialzarsi. Mi interessa questo simbolo. Far finta che l’Italia sia solo bella e basta vuol dire peccare di ingenuità, imperdonabile per un giornalista. L’Icaro caduto che si vuole rialzare è l’Italia. E dietro c’è la copertina verde, il coloro della speranza, che poi fa parte del tricolore.
- Veniamo ora all’Introduzione. Affermi – cito testualmente:
“Un giornalismo “positivo” sembra quasi una contraddizione in termini. Dov’è il contributo del giornalista alla società quando plaude a qualcosa? Tutto quello che è buono, tutto ciò che funziona non fa notizia”.
Perché il “giornalismo positivo” sembra quasi un “non-giornalismo”? E perché, invece, tu scegli questa via?
Perché l’Italia ha un forte bisogno di segnali positivi. Anche se il giornalismo deve essere sempre critico (la libertà della critica è quella che distingue la dittatura da una democrazia), si rischia in Italia di scivolare nella negatività. Voglio dare un contributo affinché l’Italia e gli italiani credano più in se stessi. In questo senso, so che può sembrare troppo ambizioso, si tratta un po’ di una missione. E di patriottismo, ma propositivo e non vecchio e retorico, per un paese dove non sono nato, ma dove ho scelto di vivere.
- Tra tutte le interviste che hai realizzato mi ha colpito in particolar modo la prima, quella al giornalista tedesco Udo Gümpel. Udo parla della creatività e dell’imprevedibilità tutte italiane, facendo anche il nome di due famosi imprenditori italiani, Brunello Cucinelli e Diego Della Valle. Sei d’accordo con quanto affermato da Udo? Cosa pensi, nello specifico, dell’imprenditorialità italiana?
Era un bell’intervento, perché Gümpel ritiene che proprio quando state più male riuscite a venire fuori nel modo migliore, grazie alla vostra creatività. Si tratta di un messaggio di grande ottimismo. Mi trovo d’accordo su varie cose, anche con la sua critica alla burocrazia. Questo problema esiste, anche se le regole non sono affatto sempre inutili. Ma le leggi in Italia sono troppe ed esiste soprattutto un problema di lentezza nel funzionamento della magistratura. Mi trovo d’accordo con gli esempi positivi di Cucinelli e Della Valle.
- Altro punto interessante: ne Il bello dell’Italia Rossend Domènech, corrispondente a Roma per il quotidiano El Periódico di Barcellona, si sofferma sull’importanza di Slow Food, multinazionale, oggi presente in più di cinquanta paesi, che ha l’obiettivo di difendere la materia prima, garantendo cibo puro, di qualità, sottoposto a controllo di igiene e al giusto prezzo. Cosa pensi della cucina italiana in generale ed in particolare proprio dell’iniziativa promossa da Slow Food?
Voi sapete bene quali sono i vostri pregi e difetti e sapete bene che in tutto il mondo siete imbattibili nell’enogastronomia. Siete i migliori nel mondo, anche grazie al vostro conservatorismo gastronomico, ossia il tenere molto ai prodotti del proprio territorio. Slow Food è stata una invenzione geniale, che ha fatto scuola all’estero, e sono felice che è stata nominata nel libro.
- E invece quale intervista – se ne esiste una tra quelle che hai fatto – ti è piaciuta di più? Quale quella che ti ha incuriosito maggiormente?
C’è l’imbarazzo della scelta. Importante è che gli intervistati hanno scelto degli argomenti molto vari. Mi è piaciuto moltissimo l’intervento del collega egiziano che spiega i motivi per cui il mondo arabo, specie l’Egitto, preferisce sempre l’Italia rispetto a paesi quali l’Inghilterra o la Francia. Nell’intervista il collega dà molti esempi e racconta molte cose che quasi nessuno sa. Ma mi piace anche l’intervento del collega iraniano sul fatto che i suoi connazionali adorano la lingua italiana per la sua bellezza e l’intervento della collega rumena sulla Comunità di Sant’Egidio. Poi si vede che la collega polacca e la collega colombiana sono molto preparate sull’arte contemporanea italiana (una vera sorpresa) e il cinema contemporaneo italiano. Ma ci sono anche cose più “leggere”, come il collega giapponese che è appassionato delle trattorie romane e la collega brasiliana che adora la vostra ironia e satira, mentre il collega cinese svela per quale motivo 150 milioni dei suoi connazionali tifano per una certa squadra italiana, che qui non rivelo. Bellissima poi la descrizione di Stromboli da parte di un collega svedese e interessante l’attualità di Enrico Berlinguer in Grecia, spiegato da un collega greco.
- C’è stato, invece, qualche giornalista che si è rifiutato di essere intervistato? O che, magari, ha negato – dal suo personale punto di vista – l’esistenza di elementi positivi rintracciabili nell’esperienza (e nella storia) italiana?
Sì, mi ricordo una collega americana e una collega inglese che non sapevano trovare nessun argomento positivo. Mi è sembrato incredibile. L’ho scritto nella prefazione, senza dare i loro nomi ovviamente.
- Qual è, secondo te, il bello dell’Italia? A cosa dovrebbe puntare il nostro Belpaese per tornare di nuovo sulla cresta dell’onda?
Il bello dell’Italia sono una infinità di cose. Siete un paese che ha tantissime risorse. Per tornare di nuovo sulla cresta dell’onda bisogna non avere una mentalità negativa, ma positiva, avere più fiducia in se stessi e non dare la colpa sempre agli altri, che è un vizio troppo diffuso, ma assumersi la propria responsabilità. Bisogna sempre prendere iniziative. Lamentarsi è inutile.
- Ed infine, tre buoni motivi per cui un italiano dovrebbe leggere Il bello dell’Italia!
- Per tirarsi su di morale e credere di più nel proprio paese
- Per venire a sapere molte cose sul proprio paese che i giornalisti esteri sanno
- Perché chi lo compra e arriva a Roma, sarà, se lo gradisce, il mio ospite all’Associazione della Stampa Estera, dove sono stato più volte Presidente, dove lavoro regolarmente e dove ho fatto quasi tutte le interviste. E volentieri racconterò quello che facciamo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: A tu per tu con Maarten Van Aalderen: qual è Il Bello dell’Italia?
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